Il voto di sfiducia di 170 parlamentari laburisti nei confronti del leader Jeremy Corbyn, da più parti definito un “golpe”, non è l’unico evento ad agitare le acque del principale partito di opposizione britannico. Il 6 luglio è stato reso pubblico il Rapporto Chilcot sull’intervento militare del Regno Unito in Iraq nel 2003. La commissione d’inchiesta guidata da Sir John Chilcot ha lavorato per sette anni ed è giunta a conclusioni devastanti per Tony Blair, l’allora primo ministro che, forte del suo “legame speciale” con il presidente americano Bush, ha trascinato il paese in una guerra definita fin dall’inizio “immorale e illegale” da milioni di persone che in tutto il mondo cercarono di impedirla.
Le conclusioni del rapporto danno loro ragione: l’invasione dell’Iraq è stata decisa prima che venissero esauriti tutti i mezzi pacifici e diplomatici per risolvere la situazione, sulla base di informazioni errate fornite dai servizi segreti sull’esistenza (mai confermata) di armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein e ingigantite da Blair per giustificare la sua scelta. Scelta che ancora adesso difende, pur esprimendo il suo rammarico per i 179 militari britannici morti in Iraq. Ma tra quanti chiedono che Blair venga processato per crimini di guerra ci sono proprio le famiglie dei caduti.
Dopo un simile colpo, viene da chiedersi quale credibilità rimanga a Blair, ispiratore più o meno velato dei furibondi attacchi dei parlamentari laburisti moderati a Corbyn, di cui il voto di sfiducia è solo l’ultimo capitolo. E ancora una volta il contrasto tra i due leader laburisti non potrebbe essere più marcato: Jeremy Corbyn, che nel 2003 votò contro l’intervento in Iraq, si è infatti pubblicamente scusato a nome del suo partito per la disastrosa decisione di entrare in guerra. Ha definito l’invasione “un atto di aggressione militare lanciato in base a un falso pretesto”, che ha in seguito creato una situazione catastrofica in Iraq e “alimentato e diffuso il terrorismo, destabilizzando tutto il Medio Oriente. Ora però abbiamo la possibilità di lavorare insieme per costruire relazioni più costruttive e mutuamente vantaggiose con il resto del mondo, basate sulla cooperazione, la pace e la giustizia internazionale” ha aggiunto.
Nel frattempo, la mobilitazione della base per sostenere Corbyn cresce di giorno in giorno. Nella sua pagina Facebook si succedono post di sindacati, sezioni di partito e personalità, uniti dall’hashtag #CorbynStays e il numero dei nuovi iscritti continua a crescere. Se si dovesse arrivare a una nuova votazione per eleggere il leader del partito, la riconferma di Corbyn sembra molto probabile.