Cosa sta accadendo in queste ore in Siria? Chi oramai non percepisce il bisogno di porsi una domanda come questa, respirando l’assurdità in cui s’inciampa quotidianamente?
Cerchiamo di rispondere a queste domande intervistando Massimiliano Fanni Canelles, medico italiano impegnato in prima linea a salvare vite umane in Siria. Ma prima riepiloghiamo quanto accaduto nelle scorse giornate:
21 luglio 2016 – La coalizione guidata dagli Stati uniti uccide quasi 60 civili durante un’incursione aerea nel villaggio di Al Tukhar.
22 luglio 2016 – La città di Aleppo viene nuovamente trascinata nel terrore a causa dell’ennesimo bombardamento delle forze governative siriane.
25 luglio 2016 – Aleppo viene sommersa dalla follia scatenante delle forze occidentali e così 6 ospedali e una banca del sangue vengono rase al suolo rendendo inagibili delle strutture. Le agenzie governative dichiarano durante gli scontri la morte di un bambino di due anni.
27 luglio 2016 – Sembra aprirsi uno spiraglio di pace dopo le dichiarazioni del portavoce Onu in Siria, Staffan De Mistura che dichiara che nel mese di agosto potrebbero negoziarsi degli accordi per un cessate il fuoco. Nel frattempo i bombardamenti sempre più intensi portano a 18 i morti nella città di Aleppo e 42 nella citta limitrofa di Al Tareb. Nel nord est della Siria un’autobomba provoca la morte di almeno 40 persone; l’attentato viene rivendicato da frange armate dell’Isis.
28 luglio 2016 – Al Queda perde un pezzo consistente del gruppo Jihadista e il leader Abu Mohammed Al Julani dichiara che si darà vita a una nuova frangia armata di ribelli per la lotta armata siriana, Jabhat Fateh.
Non esiste né un’etica della guerra né tantomeno una coscienza alla quale appellarsi nella speranza di un cessate il fuoco. Negli ultimi giorni in territorio siriano non si è più in grado di contare i decessi. La potenza e la crudeltà con cui oramai gli attacchi vengono sferrati a danno di civili e soprattutto bambini genera una sorta d’incubo senza fine dal quale sogniamo ogni giorno di uscire. Le popolazioni del territorio si sono viste portare via la speranza di una salvezza. Tra attacchi Kamikaze e tentativi di accordi occidentali, i volontari e i medici che si trovano sul fronte prendono sempre più coscienza del caos che li circonda.
29 luglio 2016 – Convinti di avere assistito al peggio, ecco arrivare l’ennesima sorpresa di cattivo gusto. Nella mattinata, la notizia di un attacco terroristico in una zona in mano ai ribelli, con la distruzione dell’ospedale pediatrico Idlib a Kafar Takharim; un gesto infame a danno dei più deboli.
I medici e i soccorritori non sono ancora in grado di dare il numero preciso dei morti mentre ancora, in queste ore, si stanno estraendo, i corpi dei bambini dalle macerie. Chi è riuscito a salvarsi dalla disgrazia non dimenticherà mai le urla delle madri straziate dal dolore che gridavano il nome dei propri bambini.
Abbiamo cercato di approfondire la situazione contattando le associazioni @uxilia e Maram Foundation, che da anni sono coinvolte in prima linea con medici e i volontari tra il confine turco siriano.
Abbiamo intervistato così un medico italiano, Massimiliano Fanni Canelles, laureato in Medicina e Chirurgia. Specializzatosi prima in Medicina Interna e poi in Nefrologia. Dirigente Medico, responsabile clinico del CAD di nefrologia e dialisi all’Ospedale di Cividale del Friuli. Professore a contratto all’Università Alma Mater di Bologna, docente di Cooperazione sanitaria Internazionale nella Facoltà di Scienze Politiche. Presidente del Comitato Italiano Progetto Mielina che finanzia la ricerca riguardante le malattie rare e demielinizzanti. Presidente di Auxilia Foundation.
Per noi è molto importante informare, puoi aiutarci a comprendere cosa sta accadendo in Siria?
Devo essere onesto, mi sento disilluso in questo periodo, soprattutto a causa della meccanica caotica che sta prendendo tutta la situazione; due grandi problemi: il problema maggiore è chi governa e manovra il complesso meccanismo, mentre il secondo è che la maggior parte della popolazione si lamenta di tutto ciò che li circonda. Mi sono reso conto in questi anni che una grande fetta della popolazione se ne avesse l’opportunità sceglierebbe di fare parte della tavola rotonda che decide le sorti delle nazioni. Ci sono persone che criticano i potenti per come si comportano (corruzione, violenza, interessi personali ecc.) ma farebbero uguale a loro se potessero. L’ evoluzione e il conseguente progresso è portato avanti solo dal cinque per cento della gente, mentre l’ampia fetta preferisce scegliere il nulla, per stanchezza o per paura, restando così a guardare.
Quale potrebbe essere la risorsa per fermare tutto questo?
Questo dovrebbe far comprendere quanto sia complesso anche per noi mettere in moto gli ingranaggi del cambiamento, l’unica possibilità si nasconde nel creare un gruppo di pressione. Riunendole e creando una propria lobby.
Ovviamente una lobby della Pace; con @uxilia è il sogno che coltiviamo da molti anni. Lottare contro meccanismi opposti e la concorrenza che vede coinvolte le varie ONG sul territorio, non semplifica questa ricerca. E’ molto demotivante. Questa stanchezza è però quel carburante che crea la forza dei potenti. Vanno raccolti soldi, vanno denunciate le violazioni dei diritti umani esponendosi sempre in prima persona, mettendosi in gioco ogni giorno e rischiando anche nella vita privata, mentre gli altri non lo fanno.
Voi siete molto conosciuti, qual è la strategia per combattere il caos?
Non siamo una forza in grado di modificare il sistema, riusciamo a malapena a tirare avanti; quando si parla di ospedali stiamo parlando di costi elevati in termini di attrezzature e infrastrutture. La possibilità di vittoria contro l’ingiustizia ruota intorno al denaro. Per combattere contro il caos bisogna creare consensi nel caos, non è semplice. L’unica possibilità ad oggi è riuscire a portare luce e speranza tra gli ingranaggi del potere.
Quali sono stati i progetti realizzati sino ad oggi di cui andate orgogliosi? I
I progetti più rilevanti per noi sono stati il recupero dei bambini soldato in Srilanka e l’emancipazione femminile, grazie alla formazione lavorativa, sempre in Srilanka. Poi il sostegno sanitario e formativo ai bambini in Siria, durante la guerra. Ora la costruzione di un ospedale pediatrico in Congo.