“L’ultimo rifiuto di collaborare da parte del Cairo con gli inquirenti italiani (perché le richiesta di Roma sarebbero contrarie alla Costituzione egiziana, che peraltro vieta anche la tortura nondimeno praticata su scala quotidiana…) ci dice che siamo a un punto fermo in cui l’iniziativa italiana deve riprendere al più presto” ha dichiarato oggi a Pressenza Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International.
Dovrebbe essere dato seguito alle parole del Ministro degli Esteri Gentiloni, che aveva preannunciato le ormai celebri quanto inattuate ulteriori misure graduali e progressive in caso di mancata collaborazione alle indagini da parte egiziana. La sensazione invece è che ci sia una notevole voglia di normalizzazione e che si intenda perseguire quella strada, rivelatasi sin qui inefficace, delle due rette parallele: verità per Giulio e buoni rapporti col Cairo.
Lunedì 25 luglio alle 19 a Roma, in una piazza che deve essere ancora concessa dalle autorità locali e che comunicheremo nei prossimi giorni, in tanti ricorderemo Giulio Regeni a sei mesi dalla sua scomparsa. L’emozione e l’indignazione per la sua terribile morte sono ancora vive in tutto il paese: me ne accorgo continuando a girarlo in lungo e in largo e scoprendo striscioni gialli (“il giallo Giulio” come lo chiama mamma Paola) in ogni dove.
Questi sentimenti meriterebbero un atteggiamento migliore da parte del governo italiano, che da più parti manda segnali che si sarebbe ormai “fatto il massimo”. C’è invece molto da fare, in Italia (ma anche in Europa) per Giulio. Una modesta proposta: rendere l’ambasciata al Cairo un luogo sicuro e protetto per chi volesse testimoniare ciò che ha visto.