Acque agitate nel mondo politico britannico: dopo la pubblicazione del rapporto Chilcot sull’intervento militare in Iraq l’ex primo ministro Tony Blair rischia un voto di condanna del Parlamento per aver deliberatamente esagerato la minaccia delle armi di distruzione di massa in possesso di Saddam Hussein e in futuro potrebbe ritrovarsi escluso da funzioni pubbliche.
Davanti alla prospettiva di una lunga battaglia interna per decidere il successore del dimissionario Cameron i conservatori hanno tagliato la testa al toro: Andrea Leadsom ha rinunciato a candidarsi a leader del partito e capo del governo, lasciando il campo libero a Theresa May, ex ministro dell’interno e da mercoledì nuovo premier del Regno Unito.
In campo laburista, l’ossessiva battaglia dei parlamentari moderati contro Corbyn ha invece prevalso sulla necessità di unirsi e presentare un’alternativa politica e sociale davanti alle grandi sfide che il paese deve affrontare, come chiesto più volte (e invano) dallo stesso Corbyn. Oggi Angela Eagle, esponente dell’ala del Partito Laburista che ha votato a favore dell’intervento militare in Iraq e si accinge ad appoggiare il rinnovo del programma britannico Trident proposto dal governo, nonostante il costo esorbitante di quattro nuovi sottomarini nucleari, ha presentato ufficialmente la sua candidatura a leader del partito, sfidando Corbyn. Ha scelto però male i tempi e alla fine del suo discorso, invece del previsto spazio riservato alle domande e risposte, si è trovata davanti un fuggi fuggi dei principali giornalisti, molto più interessati al cambio della guardia in campo conservatore. Il membro del governo ombra e sostenitrice di Corbyn Diane Abbott l’ha definita la candidata dell’”Impero colpisce ancora”, riferendosi probabilmente alle sue scelte guerrafondaie.
Domani il Comitato Esecutivo Nazionale del Partito Laburista dovrà decidere su una questione tecnica che in realtà ha una enorme valenza politica: gli avversari di Corbyn chiedono che raccolga le firme di almeno 51 parlamentari, necessarie per presentare la propria candidatura alle primarie, mentre i suoi sostenitori dichiarano che essendo stato sfidato ha diritto a partecipare senza altri requisiti. Vista la guerra spietata che gli è stata mossa dai parlamentari laburisti, probabilmente in questo momento Corbyn non riuscirebbe a raggiungere le 51 firme necessarie; d’altra parte, come ha ripetuto spesso, meno di un anno fa ha stravinto le elezioni interne con quasi il 60% dei voti e pertanto non ha nessuna intenzione di dimettersi. Ignorare questo appoggio significherebbe uno scontro frontale tra il gruppo parlamentare e migliaia di iscritti al partito, per non parlare dei maggiori sindacati, tutti schierati con Corbyn.