Lo scorso lunedì 22 contadini paraguaiani accusati del Massacro di Curuguaty sono stati condannati a pene tra i 4 e i 30 anni di carcere in un processo reiteratamente denunciato come irregolare e di parte. Un ex ministro della Corte Suprema del Paraguay, alcune ore prima della sentenza, sintetizzava così il processo.
Da Emergente
Editoriale di Luis Lezcano Claude, ex Ministro della Corte Suprema, parte della difesa nel caso Curuguaty.
Il 15 giugno 2012, in prossimità della città di Curuguaty, a circa 250 km a nord-est di Asunción, si è compiuto il Massacro di Curugyaty. Contadini poveri che lottavano per l’accesso alla terra si erano accampati su terreni di proprietà dello stato paraguaiano.
L’azienda Campos Morumbí, di proprietà di Blas Riquelme, uno dei latifondisti e impresari vicini al dittatore Stroessner durante tutto il suo regime, ha reclamato diritti sulle terre occupate, adiacenti a quelle di proprietà dell’azienda. Grazie alla sua influenza e attraverso falsi procedimenti legali ha ottenuto il riconoscimento di supposti diritti su di esse, benché il caso non sia ancora chiuso.
Quella mattina più di 300 agenti della Polizia Nazionale (incluse forze militari di gruppi specializzati) dovevano effettuare un’indefinita operazione di irruzione / sfratto dei contadini. Secondo dati della stessa polizia, nel terreno in cui si sono introdotte le forze di polizia si trovavano circa 60 contadini. L’operazione è degenerata in uno scontro a fuoco in cui sono morte 17 persone: 6 poliziotti e 11 contadini.
I morti e i feriti presentavano ferite da armi del calibro corrispondente a quelle automatiche e semiautomatiche in dotazione alle forze di polizia. L’accaduto è stato utilizzato anche come una delle cause del cosiddetto “giudizio politico” al presidente Fernando Lugo, benché finora non si sia riusciti a dimostrare la sua responsabilità morale.
Il relativo processo, in corso da circa un anno, si svolge ad Asunción, e infine oggi, lunedì 11 luglio, si conoscerà la sentenza di prima istanza.
L’azione del Pubblico Ministero, in relazione al massacro, è stata condotta con irregolarità. Un chiaro esempio dell’assoluta mancanza di obiettività dei procuratori che si sono occupati del caso è il fatto che l’investigazione sia stata orientata unicamente alla morte dei 6 poliziotti. Nulla è stato fatto per ciò che riguarda la morte degli 11 contadini. Tutto il processo ha puntato a determinare le responsabilità riferite a quelle 6 morti e nient’altro.
Alcune prove sono state occultate o sono scomparse, alcuni procedimenti, come le autopsie, sono stati condotti male. Il Pubblico Ministero ha cercato a tutti i costi di accusare alcuni supposti colpevoli per chiudere il caso, con l’idea che trattandosi di contadini poveri il processo non avrebbe avuto grande rilevanza per la stampa e per l’opinione pubblica.
Un gruppo di 12 contadini è stato accusato di “associazione a delinquere” (quando erano in trattative con il competente organo statale – l’Istituto Nazionale di Sviluppo Rurale e della Terra, INDERT – al fine di regolarizzare l’occupazione delle terre), di “invasione di proprietà altrui” (quando lo stato non aveva formalizzato alcuna pretesa) e di “tentato omicidio colposo” (nonostante l’assurdità che ci fossero 17 morti), che in sede di accusa è diventato “omicidio colposo” per vari degli accusati, senza che avessero avuto l’opportunità di esercitare il proprio diritto alla difesa in relazione ai fatti contestati.
In verità, dato che una questione di fondo è la lotta contadina per l’accesso alla terra, al fine di ottenere i livelli minimi di una vita degna, attraverso questo processo si cerca di continuare a posticipare indefinitamente la legittima aspirazione dei contadini e di mantenere i privilegi di un’infima parte delle classi dominanti: i latifondisti.
Il Pubblico Ministero ha dimostrato un eccessivo zelo draconiano richiedendo dai 5 ai 20, 25 e fino ai 30 anni di prigionia. Si tenta di criminalizzare la lotta sociale e di imporre pene che servano da lezione a quelli che si suppone siano coinvolti e da esempio a eventuali nuovi delinquenti, non tanto per dissuaderli da attentati contro la vita, bensì dalla concentrazione della proprietà immobiliare.
Organismi dello stato come la Polizia nazionale e il Ministero pubblico sono stati utilizzati con questa finalità persecutoria. C’è una flebile speranza che la magistratura – rappresentata dal Tribunale – non cada in questa manipolazione. Il dilemma è tra il fare giustizia, attraverso l’assoluzione di tutti quelli sotto processo, o condannare alcuni “capri espiatori” al fine di chiudere il caso.
Uno speciale ringraziamento a CigarraPy per il materiale fotografico concesso
Traduzione dallo spagnolo di Matilde Mirabella