“Eserciti di carta” è un saggio brillante che illustra l’essenza del lavoro giornalistico e il vero ruolo del giornalista in Italia (Ferdinando Giugliano e John Lloyd, Feltrinelli, 2013, 283 pagine, euro 18).
I due autori hanno esaminato il mondo del giornalismo con occhi imperturbabili, seguendo il classico principio anglosassone e hanno affermato: l’obiettività dei giornalisti è “di grande aiuto nella creazione della cultura civica di un paese. Pertanto, sebbene l’obiettività non potrà mai essere raggiunta, crediamo che i giornalisti debbano aspirarvi – proprio come le grandi religioni aspirano alla perfezione umana” (p. 8).
I sette doveri dei giornalisti dovrebbero essere i seguenti: riferire la verità dal proprio punto di vista con onestà intellettuale, essere sempre leali nei confronti dei cittadini, verificare i fatti, essere indipendenti, considerare la responsabilità pubblica della critica, dare risalto a tutte le notizie importanti e rendere interessanti e comprensibili i fatti con una visione a 360 gradi.
Naturalmente in Italia il panorama editoriale si riduce alla classica lotta di tutti contro tutti, dove un editore si scontra contro un altro editore a seconda delle alleanze politiche del momento. È il tipo di giornalismo che piace a Giuliano Ferrara. In Italia il giornalismo “non è una professione, è un aspetto della vita politica… la libertà del giornalista non è la libertà del giornalista ma la libertà di avere tanti editori in conflitto tra loro” (Ferrara, p. 23). In Italia non esistono “editori puri, ovvero di imprenditori i cui interessi economici siano soltanto nel mondo dell’informazione”, perciò i giornali si sono “trasformati in torri che servono a respingere gli attacchi dei nemici”.
Inoltre “l’efficacia della stampa non dipende solo dai giornalisti: il giornalismo ha bisogno di una società capace di reagire. E questa relazione, spesso implicita, tra giornalismo e la società civile in cui esso agisce ha bisogno di un’attenzione costante. In Italia, purtroppo, il rapporto fra giornalismo e società civile si è progressivamente spezzato” (p. 15). Per riassumere con una battuta si potrebbe dire che il giornalismo italiano è tutto chiacchiere, distintivo, tifo e gossip.
Comunque in tutte le nazioni, quando un editore paga un giornalista, anche indirettamente attraverso la pubblicità, mette il giornalista nella condizione di essere costretto a scrivere solo delle cose non possono causare danno o dispiacere a chi fornisce il denaro. La situazione è molto simile anche quando esistono i finanziamenti pubblici alla stampa, come succede in Francia e in Italia, poiché nessuno vuole rischiare di perdere il posto di lavoro criticando duramente la classe dirigente.
D’altra parte esiste anche l’autocensura volontaria e involontaria, meno visibile, legata al conformismo e all’accettazione sociale. Tutte le società sono più o meno classiste, più o meno religiose, più o meno nazionaliste e più o meno gerarchiche. Tutti cercano di migliorare la propria posizione sociale (di solito al miglioramento del posizionamento è legato l’aumento dei guadagni).
In ogni caso se Giugliano un giorno vorrà dire tutta la verità, “Gliela faranno pagare calando su di lui una coltre di silenzio: da quando i roghi non usano più è la sorte che attende i conformisti che non si conformano” (Indro Montanelli riferito alla vita di Massimo Fini, Una vita, autobiografia, Marsilio, 2015). A me è già successo.
Il primo citizen journalist italiano che ha pubblicato un libro sul giornalismo partecipativo, non è mai stato intervistato o citato dalla stampa, non è mai stato invitato in tv e nemmeno a un festival del giornalismo, cosa che invece da semplice scrittore è avvenuta più di una volta (ad esempio Michele Mirabella mi ha intervistato su Rai 3). Nel web qualcuno ha avuto il coraggio di chiedermi qualcosa di importante e di concedermi la famosa libertà di parola che per legge dovrebbe essere garantita a tutti i cittadini.
Ferdinando Giugliano ha fatto molte cose e oggi lavora per “la Repubblica”. Per approfondimenti video: www.youtube.com/watch?v=GaNIJgaCEnA, www.youtube.com/watch?v=QaARs0jCikc, www.youtube.com/watch?v=DuqKfm9u0Ms. Si può contattare tramite LinkedIn.
John Lloyd è un editorialista del “Financial Times”, collabora con “la Repubblica” e dirige il Centro Studi di Oxford sul Giornalismo (http://reutersinstitute.politics.ox.ac.uk). Per approfondimenti video: www.youtube.com/watch?v=d1iJs144blU, www.youtube.com/watch?v=cvvuXXDpWSo, www.youtube.com/watch?v=oAGr-Gsnht0. Si può contattare tramite LinkedIn.
Nota – Naturalmente nel libro si analizza molto il ruolo avuto da Berlusconi, ma nella recensione ho preferito evitare di citarlo, poiché non sono la persona che ama perdere tempo parlando di cose passate. Per fortuna il ruolo politico di Berlusconi è oramai decaduto per vari motivi (età, ecc.), anche se i gravi danni legati a una legge elettorale ingannatrice sono ancora presenti.
Nota personale – Il libro sul giornalismo partecipativo, “Libero pensiero e liberi pensatori” del 2009, è stato rimosso anche dal profilo dei miei libri di Ibs, ma si può recuperare gratis online al seguente indirizzo: http://www.atuttascuola.it/collaborazione/mazzotti/copMAZZOTTI.pdf.
Nota finale – Per l’Italia e il resto del mondo vale sempre il motto di Joseph Pulitzer: “Una stampa cinica e mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile” (www.pulitzer.org, https://it.wikipedia.org/wiki/Joseph_Pulitzer).