Il PPI pretende d’essere un indice di pace positiva / di società pacifica. Ma è più che altro un indice di “ambiente positivo per gli affari”; da parte dell’Institute for Economics & Peace, sa più di economia che di pace.
Per capirci di più, immaginiamo che ci serva un indice della salute. Ovviamente, per sapere di che si tratta avremmo bisogno di criteri di valutazione, come:
- Per una salute negativa: assenza di malattie d’origine esterna – contagio, shock – e strutturale interna – cardiovascolare-tumorale-mentale.
- Per una salute positiva: equilibrio fra corpo-mente-spirito e socialmente; senso di benessere nell’essere vivi e utilizzando corpo-mente-spirito al lavoro e in amore.
Poi, gli indicatori, l’indice appunto che indica il percorso: prevenzione, protezione–distanza–vaccinazioni-quarantena, riguardo al corpo, all’abbigliamento, all’abitazione; evitare fuoco e shock (e di cadere, per gli anziani!); adeguata gestione delle acque reflue – igiene personale – alimentazione – esercizio fisico; interventi sanitari curativi per malattie acute e croniche.
Ci serve però anche un indice di morbilità per sapere che cosa stiamo affrontando, definito da un certo grado d’inabilità al lavoro, alle relazioni interpersonali.
E tutto questo per i singoli individui, aggregato per gruppi sociali, per stati, per gruppi di stati (regioni), per il mondo; pro capite.
Poi, i fattori correlati, che “c’entrano in qualche modo” ma in rapporti problematici. Prendiamo il numero dei dentisti: un criterio sanitario è una dentatura priva di carie, cui badano i dentisti; ma altrettanto l’igiene orale e un’alimentazione adeguata. All’età della pietra gli umani avevano, come gli animali, dei buoni denti: alimentazione adeguata. I dentisti possono contribuire, ma aumentandone il tasso rispetto ai pazienti si ottiene un tipico correlato che può risultare addirittura contro-producente: incuria personale perché intanto ci penseranno i dentisti (o i medici). È salute?
In quanto agli indicatori, più ce ne sono meglio è – fino a un certo punto. E non necessariamente lineari, magari esponenziali, che poi si appiattiscono. E i fattori correlati sono spesso a cuspide: dapprima produttivi, sempre più, poi sempre meno, controproducenti.
E passiamo alla pace. Ci serve un indice di quello a cui ci si oppone: per la violenza diretta un Indice di Partecipazione Bellica e per la violenza indiretta e strutturale un Indice delle Disuguaglianze; a livello di stati, regioni, mondo intero. ma il coefficiente Gini per la disuguaglianza è un artefatto matematico: rapporti fra poteri d’acquisto massimi/minimi; è forse più indicativo fra l’1% al vertice e il 99% al fondo.
Abbiamo inoltre bisogno di criteri per la pace, definizioni. La distinzione fra pace negativa e pace positiva che introdussi nel 1958 era inspirata alla distinzione di Marie Jahoda fra salute mentale negativa e positiva, criterio precursore della psicologia positiva. Il che non implica alcun monopolio sulla definizione. Per una valida nozione scientifica è tuttavia indispensabile una conoscenza del campo, a discernimento degli elementi da escludere o includere. Così, quando il Giappone spacciò l’alleanza con gli USA per “pace positiva”, sono stato convocato a spiegare, e si cambiò la definizione in “sicurezza collettiva”, più onesta e indicativa.
Ci servono criteri sulla pace per sapere di che trattiamo, per la
- pace negativa: assenza/basso livello di violenza diretta e strutturale, tali per cui vengono soddisfatti i bisogni basilari umani e di natura-diversità-simbiosi;
- pace positiva: presenza di cooperazione-equità, armonia-empatia trasversalmente ai fronti conflittuali, di genere-generazione-razza-classe-natura-territoriali (province/regioni).
Violenza significa qualcosa di brutto nel rapporto; pace negativa significa nulla di brutto; pace positiva significa che si muove qualcosa di buono. Pace è un rapporto fra le parti, [come] salute è un equilibrio nelle persone.
Poi, gli indicatori. Per la pace positiva: cooperazione con equità e armonia, condivisione di gioie e dolori mediante l’empatia. Per la pace negativa: equità per ridurre le disuguaglianze, rimozione delle cause di guerra e violenza diretta riconciliando i traumi – le ferite di violenze passate – e trasformando i conflitti, fonti di violenza presente e futura.
Equità X Empatia
Pace = _______________________
Trauma X Conflitto
Tale formula della pace è molto simile alla formula della salute: Equilibrio corpo-mente-spirito + sociale / malattia cronica + acuta
Aumentando il positivo [nominatore], diminuendo il negativo [denominatore], si riduce malattia/ violenza. La pace sta alla violenza come la salute sta alla malattia.
Vediamo ora le definizioni dell’Institute for Economics and Peace:
- pace negativa: “assenza di violenza o di paura di violenza”. Ignorare la violenza strutturale vuol dire che possono essere considerate pacifiche anche società-regioni-mondi talmente repressive da non dover ricorrere all’uso della violenza [diretta].
- pace positiva: “atteggiamenti, istituzioni e strutture che creano e sostengono società pacifiche, atte alla prosperità del potenziale umano”. Tali attributi possono contribuire al concetto, ma la pace positiva è una relazione positiva. Va bene focalizzarsi sull’elemento umano, ma manca l’elemento natura: inaccettabile.
I suoi “indicatori”: 8 “pilastri”, 3 per ciascuno, totale 24. Commenti:
- Governance ben funzionante. Il punto non è l’efficacia generale di governo, il predominio della legge, e la cultura politica, bensì se esse fungano a rapporti pacifici entro e fra le società
- Sano ambiente per gli affari. Il punto non è se sia facile fondare o gestire aziende bensì se i rapporti amministratori-responsabile-dirigenti-dipendenti-clienti portino a benefici uguali entro e fra le società.
- Equa distribuzione delle risorse. Il punto non è se l’aspettativa di vita è alta o bassa, bensì de è uguale trasversalmente ai fronti conflittuali. Equa distribuzione è un criterio (tautologico!); l’indice Gini una misura artificiosa. E non si badi solo a quanti vivono con meno di $ 2 al giorno, ma anche, per dire, con oltre $ 2.000 al giorno.
- Accettazione dei diritti altrui. La cooperazione di gruppi identitari omogenei entro una società è un criterio (tautologico!). Ma il punto non è diritti e libertà bensì il loro utilizzo per ridurre la violenza e aumentare la pace, negativa e positiva; non l’emancipazione delle donne, ma le relazioni uomini-donne.
- Buoni rapporti coi vicini. Il punto non è il numero di visitatori (turismo) ma se aumenti l’empatia. Se l’integrazione regionale si basa sull’uguaglianza nel proprio ambito e con altre regioni: ecco un criterio. Ma non bastano le regioni; le armi a lunga distanza e il loro commercio servono alla violenza diretta e strutturale in tutto il mondo. Globalizzate i diritti umani!
- Libero flusso d’informazione. Il punto non è la libertà di stampa e per i giornalisti bensì un giornalismo di pace che identifichi conflitti e soluzioni; non solo cellulari fra i fronti di conflitto ma una comunicazione positiva.
- Alti livelli di capitale umano. Gli esseri umani non sono fattori d’investimento come il capitale; un criterio è la loro realizzazione. Il punto non è molti alle scuole superiori ma l’uguaglianza fra i fronti conflittuali; non lo sviluppo dei giovani ma le relazioni intergenerazionali (giovani-media età-anziani); non chissà quanta scienza ma scienza per la pace.
- Basso livello di corruzione. la corruzione a beneficio privato é un furto, un delitto; ma la corruzione potrebbe essere anche a beneficio altrui: questione complessa.
I 24 indicatori sono più che altro criteri di pace, o indicatori irrilevanti; quindi si tratta di ciarlataneria. Tutt’e 24 tuttavia servono agli affari in un modo o nell’altro. PBI, Positive Business Index, sarebbe quindi un nome più onesto e indicativo.
Johan Galtung
Editoriale del TRANSCEND Media Service, n° 437 – 11 luglio 2016
Titolo originale: Charlatanism: “The Positive Peace Index”
Traduzione di Miki Lanza e Franco Lovisolo per il Centro Studi Sereno Regis