L’Unione europea deve sospendere immediatamente l’applicazione dell’accordo con la Turchia che prevede il ritorno dei richiedenti asilo in quest’ultimo paese, falsamente considerato “sicuro” per i rifugiati.
È quanto ha sollecitato oggi Amnesty International, pubblicando un documento intitolato “Nessun rifugio sicuro: richiedenti asilo e rifugiati privati di protezione effettiva in Turchia”.
Il documento denuncia l’inadeguatezza del sistema d’asilo della Turchia e le difficoltà cui vanno incontro i rifugiati fatti rientrare nel paese: due ragioni che hanno spinto Amnesty International a parlare di un comportamento illegale e privo di scrupoli da parte dell’Unione europea.
Il sistema d’asilo della Turchia è messo a dura prova dalla presenza di oltre tre milioni di richiedenti asilo e rifugiati. I richiedenti asilo vanno incontro ad anni di attesa prima che il loro caso venga esaminato. In quel periodo, l’assistenza per trovare un riparo e un sostentamento è scarsa, se non nulla, col risultato che bambini anche di nove anni sono costretti a lavorare per mantenere la famiglia.
“L’accordo tra Unione europea e Turchia è irresponsabile e illegale. Le ricerche di Amnesty International dimostrano che l’idea che la Turchia sia in grado di rispettare i diritti umani e di soddisfare le necessità di oltre tre milioni di richiedenti asilo e rifugiati è una mera finzione” – ha dichiarato John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.
“Nei suoi incessanti tentativi di impedire gli ingressi irregolari in Europa, l’Unione europea si è ostinata a rappresentare quanto sta accadendo in Turchia in modo del tutto diverso. È probabile che il nuovo sistema d’asilo, nel paese che ospita il più ampio numero di rifugiati al mondo, farà fatica a funzionare. Se da un lato è importante sostenere e incoraggiare la Turchia a dotarsi di un sistema d’asilo perfettamente funzionante, l’Unione europea non può comportarsi come se quel sistema fosse già in vigore” – ha aggiunto Dalhuisen.
La Turchia non protegge i rifugiati
Nonostante il suo approccio ampiamente positivo verso l’accoglienza dei rifugiati, il gran numero di persone attualmente presenti nel paese (2.750.000 rifugiati siriani e 400.000 richiedenti asilo e rifugiati provenienti soprattutto da Afghanistan, Iraq e Iran) ha messo sotto notevole pressione il nuovo sistema d’asilo della Turchia e ha compromesso la capacità di venire incontro ai bisogni basilari di queste persone.
Il rapporto illustra come il sistema d’asilo della Turchia non soddisfi tre requisiti fondamentali previsti dal diritto internazionale per il ritorno dei richiedenti asilo: lo status, una soluzione duratura nel tempo e la disponibilità dei mezzi di sostentamento.
Lo status
La Turchia non è in grado di esaminare le domande d’asilo, col risultato che centinaia di migliaia di persone restano in un limbo giuridico anche per anni. Le autorità di Ankara hanno rifiutato di fornire ad Amnesty International dati sull’asilo. Ad aprile, tuttavia, avevano dichiarato di aver esaminato circa 4000 domande, ossia il 1,5 per cento delle 266.000 domande d’asilo registrate nel 2015 dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati.
Una soluzione duratura nel tempo
I rifugiati dovrebbero essere integrati nel paese che li ha riconosciuti tali, reinsediati in un altro paese o, se le condizioni di sicurezza lo consentono, rinviati nel paese di origine. Da un lato, la Turchia nega lo status completo di rifugiato a tutti i richiedenti non europei; dall’altro, la comunità internazionale non mette minimamente a disposizione posti sufficienti per il reinsediamento. Il risultato è che i rifugiati si ritrovano doppiamente vincolati: nei prossimi anni non potranno ricostruire le loro vite in Turchia ma avranno anche poca speranza di farlo in un altro paese.
Faiza (il suo vero nome è stato cambiato) e sua sorella, entrambe afgane, sono fuggite da un matrimonio forzato in Iran e sono state riconosciute rifugiate in Turchia. Hanno trascorso tre anni in attesa di essere intervistate dall’ambasciata di qualche paese disposto a reinsediarle e alla fine hanno deciso di affidarsi a uno scafista che le ha portate in Grecia.
“Se ci fosse stata anche la minima prospettiva di vivere in modo regolare e sicuro in Turchia o qualche speranza nel reinsediamento, avremmo aspettato” – ha raccontato Faiza.
“Avevamo paura del viaggio verso l’Europa, sapevamo che era pericoloso, ma eravamo talmente disperate… Ci siamo dette: ‘Forse moriremo, forse non arriveremo vive, ma non importa: non possiamo rimanere più in Turchia’”.
Mezzi di sostentamento
La vasta maggioranza dei siriani e degli altri rifugiati presenti in Turchia deve cercarsi un posto dove vivere senza l’assistenza del governo turco. Sebbene ospitino oltre 264.000 rifugiati siriani in campi situati nelle province meridionali di confine, le autorità turche non sono realisticamente in grado di fornire un riparo al restante 90 per cento (ossia 2.480.000 persone). Quanto ai 400.000 rifugiati non siriani, sono stati messi a disposizione alloggi popolari a 100 di essi (lo 0,025 per cento del totale). Questo significa che circa tre milioni di richiedenti asilo e rifugiati sono lasciati a sé stessi nella ricerca di un riparo.
Tra marzo e maggio 2016, i ricercatori di Amnesty International in Turchia hanno intervistato 57 rifugiati. Tutti hanno raccontato la disperata lotta per la sopravvivenza, senza quasi alcun sostegno da parte delle autorità e potendo fare affidamento solo sulla solidarietà dei familiari, di altri richiedenti asilo, delle associazioni o delle comunità religiose. Si sopravvive in rifugi precari e di fortuna, si dorme nelle moschee, nei parchi cittadini o nelle stazioni della metropolitana. A Istanbul due famiglie afgane, al momento dell’intervista, dormivano sotto un ponte dopo che tre dei loro figli erano annegati nel tentativo di arrivare in Grecia.
“La Turchia è un paese ospitale verso i rifugiati ma quanto ha promesso ai leader dell’Unione europea non corrisponde alla realtà: richiedenti asilo e rifugiati rimangono bloccati per anni e, mentre attendono che accada qualcosa, non ricevono sostegno né hanno il diritto di cercarlo per conto proprio” – ha commentato Dalhuisen.
“Siamo di fronte a un test importante per i leader europei. Esternalizzare l’obbligo giuridico di aiutare le persone in fuga dai conflitti può anche essere un espediente politico. Ma se pensano di poterlo fare in modo legale o senza infliggere ulteriore miseria a persone già scappate da sofferenze terribili, è ovvio che si stanno tragicamente sbagliando” – ha aggiunto Dalhuisen.
Bambini rifugiati costretti a lavorare per la sopravvivenza
Poiché le famiglie di rifugiati lottano per la sopravvivenza, il lavoro minorile è un tratto comune della loro vita in Turchia.
Una donna siriana, madre di tre figli, ha raccontato ad Amnesty International che le sette persone che compongono la sua famiglia fanno affidamento solo sulle 5 – 10 lire turche (circa 1,50 – 3,00 euro) che uno dei figli, di nove anni, porta a casa la sera dopo aver lavorato in un negozio di alimentari. Il capo-famiglia non può lavorare a causa delle ferite da schegge di proiettile riportate in Siria.
L’Unione europea deve condividere, e non esternalizzare, le responsabilità
Invece di scaricare le sue responsabilità sulla Turchia, l’Unione europea dovrebbe prendere in esame l’avvio di un ambizioso programma di reinsediamenti per i rifugiati che si trovano attualmente in territorio turco.
Mentre la Turchia ospita oltre tre milioni di richiedenti asilo e rifugiati, più di ogni altro paese al mondo, nel 2015 l’Unione europea nel suo complesso ha reinsediato solo 8155 rifugiati.
“L’Unione europea ha risposto a una delle peggiori catastrofi umanitarie contemporanee erigendo barriere, dispiegando un maggior numero di guardie di frontiera e firmando inaffidabili accordi coi paesi vicini per tenere lontane le persone dalle sue frontiere. Il risultato? Miseria, sofferenza e molti più morti in mare” – ha concluso Dalhuisen.
Rimpatri forzati dalla Turchia
Il 18 marzo 2016 Unione europea e Turchia hanno firmato un accordo di ampia portata sul controllo dell’immigrazione, ufficialmente sotto forma di dichiarazione. In cambio di sei miliardi di euro e di concessioni politiche da parte dell’Unione europea, la Turchia ha accettato di riprendere tutti i “migranti irregolari” giunti sulle isole della Grecia a partire dal 20 marzo.
La giustificazione dell’accordo, da parte dell’Unione europea, è che la Turchia è un paese sicuro in cui richiedenti asilo e rifugiati possono essere fatti tornare. Oltre a non rispettare i diritti dei rifugiati nel suo territorio (aspetto su cui si concentra il documento odierno di Amnesty International), la Turchia non può dirsi paese sicuro dato che rinvia persone verso paesi in cui corrono il rischio di subire violazioni dei diritti umani.
Precedenti ricerche di Amnesty International hanno dimostrato che alla fine del 2015 e all’inizio del 2016 richiedenti asilo e rifugiati che si trovavano in Turchia sono stati rimandati esattamente incontro a quel rischio in Afghanistan, Iraq e Siria.