Il progetto di revisione costituzionale, approvato dal Parlamento e che il prossimo autunno verrà sottoposto al referendum popolare, modifica 47 dei 134 articoli vigenti della Costituzione. Gli argomenti oggetto del cambiamento sono anche molto differenti tra loro, il che suscita già non poche perplessità dal punto di vista metodologico. Nel merito ci sono alcuni aspetti – talvolta considerati a torto secondari – che necessitano di qualche approfondimento e valutazione critica.
- La riforma attribuisce la deliberazione dell’eventuale stato di guerra (art. 78 della Costituzione) soltanto alla Camera dei deputati, escludendo il Senato. È vero che tale deliberazione non sarà più presa a maggioranza dei presenti in aula, ma dovrà essere approvata a maggioranza assoluta degli aventi diritto. Occorre però tenere conto che la nuova legge elettorale (detta “Italicum”) attribuisce la maggioranza dei seggi al primo partito che supera il 40% dei voti oppure che si impone al ballottaggio tra i primi due, indipendentemente dai consensi ottenuti al primo turno. Ciò significa che di fatto a decidere un eventuale stato di guerra saranno i rappresentanti di una minoranza del popolo italiano, diventati decisivi soltanto grazie ad un discutibile premio di maggioranza. È evidente che consegnare anche una decisione così importante per il futuro di un Paese nelle mani dei rappresentanti di un solo partito (tendenzialmente minoritario) è oggettivamente molto rischioso. Tra l’altro questo è un esempio di come le modifiche alla seconda parte della Costituzione possono incidere anche sui principi fondamentali, perché è evidente che se passasse il progetto di revisione, avremmo come conseguenza effettiva un indebolimento dell’art. 11 della Costituzione.
- Il Senato non verrà più sciolto, ma ciascun senatore verrà sostituito quando verrà rinnovato l’organo elettivo da cui proviene, cioè un consiglio regionale o comunale. Dato che le Regioni e i Comuni vengono eletti anche in tempi diversi, ci saranno consistenti sostituzioni di membri del Senato in diverse fasi di una legislatura relativamente alla Camera. Questa situazione renderà difficoltoso il lavoro delle Commissioni del Senato, perché chi subentrerà, troverà sempre un lavoro già iniziato, del quale dovrà prendere visione prima di poter dare il proprio contributo.
- Per diventare senatori è necessario essere anche sindaci o consiglieri regionali. Attualmente questa combinazione è vietata, per due evidenti ragioni. Anzitutto perché non si possono svolgere bene contemporaneamente due attività così importanti e impegnative. E poi perché il Parlamento e i Consigli Regionali sono due organismi legislativi distinti, in potenziale conflitto di interesse. Con la riforma costituzionale si rovescia totalmente la prospettiva. Ma nessuno ha spiegato come sia possibile superare le due obiezioni della contemporaneità e della sovrapposizione di ruoli.
- I senatori non riceveranno alcun emolumento. Sono dei volontari, che dovrebbero svolgere questo volontariato a scapito dell’attività per la quale sono retribuiti dalla collettività, cioè fare il sindaco o il consigliere regionale. Sarebbe come dire che un medico in organico in un ospedale pubblico, ogni giorno si assenta per alcune ore dalla sala operatoria per andare a fare il volontario sull’ambulanza della croce rossa. Ha senso tutto questo?
- La procedura legislativa ordinaria prevede che le leggi siano approvate dalla Camera. Il Senato ha dieci giorni di tempo per chiedere di esaminarlo su richiesta di un terzo dei suoi componenti. Com’è possibile che i senatori (tutti part-time per le ragioni suddette) abbiano il tempo di leggere con attenzione ogni legge approvata dalla Camera, di valutare se sia opportuno chiederne l’esame e nel caso di trovare il consenso di almeno un terzo dei componenti (dei quali sicuramente una parte assente perché impegnata nell’altro part-time remunerato)? Con meno ipocrisia sarebbe stato più corretto scrivere in Costituzione che il Senato non può esaminare le leggi approvate dalla Camera.
- Il progetto di riforma costituzionale stabilisce che “il Regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni”. Dato che il Regolamento della Camera viene approvato a maggioranza semplice, significa che lo statuto delle opposizioni verrà deciso dalla maggioranza. Come se affidassimo al gatto la decisione su che cosa può fare il topo! Anzi, dato che con il premio di maggioranza in realtà la maggioranza dei parlamentari non rappresenta la maggioranza dei cittadini, potremmo rovesciare la metafora: sarà il topo a decidere che cosa può fare il gatto!
- Le leggi elettorali – con la riforma – potranno “essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale, su ricorso motivato presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o da almeno un terzo dei componenti del Senato della Repubblica”. Senza entrare nel merito della questione, viene da chiedersi perché per la Camera si stabilisca una soglia del 25%, mentre per il Senato si alzi il quorum al 33%. Che senso può avere?
- Con la revisione viene abolito il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), che attualmente è uno dei due “Organi ausiliari” (l’altro è il Consiglio di Stato) che fanno parte del Governo, oltre al Consiglio dei Ministri e alla Pubblica Amministrazione. Dato che non verrà sostituito da nessun altro Ente, significa che il Governo farà a meno “di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive” che possono “contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale” (art. 99). Insomma, si vuole diminuire il ruolo della società nel Governo del Paese. Non sarebbe stato meglio, al contrario, dare più spazio alle formazioni sociali?
- Dalla Costituzione spariscono le Province (salvo alcuni casi come Trento e Bolzano), ma restano le Città metropolitane (che in varie situazioni corrispondono al territorio di alcune Province) e la possibilità di costituire “enti di area vasta”. La più significativa differenza sta nel fatto che i rappresentanti delle Province, come già stabilito dalla cosiddetta Legge Del Rio, non vengono più eletti dal popolo, ma sono il risultato di accordi tra forze politiche. Insomma, nominati e non più eletti, come per il Senato. Sicuramente un passo indietro nella partecipazione alla gestione della “cosa pubblica”.
- L’abolizione delle Province avrebbe potuto comportare la contemporanea abolizione delle Prefetture a livello provinciale. Invece, restano i Prefetti, che sono estensione dei poteri del Governo. Negli anni della Costituente Luigi Einaudi proponeva di abolire proprio le Prefetture per favorire il decentramento, come prevede l’art. 5 della Costituzione. Anche in questo caso emerge la tendenza al “centralismo”, che permea in profondità la revisione costituzionale voluta dal Governo.
Questa breve analisi ovviamente non esaurisce le problematiche che il progetto di revisione introduce, ma certamente dà il segno sostanzialmente negativo di una riforma che da un lato mostra evidenti lacune e dall’altro rivela aspetti rischiosi. La Costituzione è come un’orchestra che suona seguendo uno spartito musicale. Quando si decide di modificare qualche nota o intere parti di una sinfonia, bisognerebbe anzitutto accertarsi che la melodia continui a suonare in modo armonico. Invece, nel progetto di revisione non sono poche le stonature.