Non solo Boko Haram: il governo centrale di Abuja fa i conti con ferite etniche mai sanate, una corruzione endemica che non intende arrestarsi e nuove spinte indipendentiste e di lotta alle multinazionali del petrolio. E la repressione delle proteste nel sangue potrebbe portare a una nuova guerra civile
Una strage annunciata. Durante le manifestazioni in ricordo dei 46 anni dalla fine della guerra in Biafra si è compiuta l’ennesima mattanza di civili seguaci dell’IPOB (Indigenous people of Biafra) nel sudest della Nigeria. Tra il 29 e il 30 maggio a Onitsha, stato dell’Anambra, i militari hanno aperto il fuoco verso i manifestanti. Il numero dei morti è incerto, dal momento che l’esercito ha rimosso diversi corpi e sequestrato i feriti. Secondo Amnesty International sono almeno 40 le vittime e oltre 50 i feriti. “Aprire il fuoco su sostenitori pacifici IPOB e sugli spettatori, che chiaramente non rappresentavano alcuna minaccia, è un uso scandaloso della forza non necessario ed eccessivo che ha portato in molteplici morti e feriti. In un incidente una persona è stata uccisa dopo che le autorità hanno sparato mentre i manifestanti dormivano “, ha scritto M.K. Ibrahim, direttore di Amnesty International Nigeria.
Nel silenzio quasi generale, in Nigeria è in atto una repressione sistematica degli indipendentisti pro-Biafra, come vi abbiamo già ampiamente raccontato su Frontiere News. Con il nord dilaniato da Boko Haram, una corruzione capillare, nuovi scontri etnici e gli abitanti del Delta del Niger che tornano a minacciare le multinazionali del petrolio, la Nigeria dell’anziano e traballante Buhari sta vivendo uno dei momenti più delicati della sua complicata storia.
IDENTITA’ DIVERGENTI E CRISI AMBIENTALE. A 56 anni dall’indipendenza dalla Gran Bretagna la sfida del forgiare l’unità nazionale è ancora lontana dall’essere vinta dai governanti di Abuja. Le tensioni socio-politiche hanno assunto dimensioni incredibili, a partire dagli scontri sanguinosi tra gli allevatori nomadi di bestiame, musulmani e di etnia fulani e gli agricoltori del sud, cristiani e per lo più igbo. Secondo i report i primi, armati, spingerebbero di continuo il proprio bestiame nei campi di grano del sud. Tensioni che riflettono il cambiamento climatico indotto dalla scarsità di risorse. Una crisi alimentare che minaccia, prima della sicurezza nazionale, la sopravvivenza della popolazione. I media locali sono colmi di notizie su mutilazioni, omicidi, stupri e altre forme di banditismo associato ai pastori nomadi.
A Enugu, decisamente più a sud dei pascoli usuali, ci sarebbe stata recentemente una mattanza di oltre 100 civili. Eccidi totalmente dimenticati dallo stato, che hanno portato a un’insofferenza diffusa verso i pastori nomadi e verso i fulani più in generale (con l’hashtag #fulaniherdsmen ai primi posti nei trend dei social media). Il raccolto degli agricoltori produce oltre l’80% del cibo della Nigeria e gli agricoltori, la cui maggioranza è formata da donne, costituiscono la base dell’economia informale del paese. Senza una convivenza civile tra la pratica secolare della pastorizia nomade e gli insediamenti agricoli che sono il fondamento della vita economica e sociale il collasso è garantito.
NIGER DELTA AVENGERS. La detenzione di Nnamdi Kanu, leader carismatico dell’Ipob, ha di fatto creato affinità tra le battaglie degli indipendentisti e nuovi moti legati alla gestione delle risorse naturali nel Delta del Niger. I Niger Delta Avengers (NDA) sono emersi a febbraio, quando hanno attaccato condutture subacquee della Shell. Hanno dichiarato guerra aperta a Buhari autodefinendosi un gruppo locale che vuole liberare la Nigeria dalla corruzione dei suoi amministratori. La differenza, rispetto ad altri gruppi armati della regione, è la loro dedizione alla battaglia di Kanu e dei suoi seguaci per arrivare a un Biafra indipendente. E se il governo li considera alla stregua di Boko Haram, gli indigeni del Biafra hanno pubblicamente dichiarato il loro appoggio, definendoli fratelli. “I Niger Delta Avengers non stanno combattendo per controllare le risorse e per ottenere un programma di amnistie, quanto piuttosto per il Biafra”, si legge in un comunicato a firma dei portavoce dell’Ipob Emma Mmezu e Chukwuemeka Iroanya (leggi l’intervista). Qualora la secessione dovesse avvenire, i vertici del movimento promettono che le risorse verrebbero controllate dai proprietari dei terreni dove le stesse si trovano. In un incontro segreto, mercoledì i capi del NDA hanno incontrato il ministro del petrolio, Ibe Kachikwu, con l’obiettivo di porre fine alle azioni di boicottaggio, che hanno ridotto la produzione giornaliera di petrolio della Nigera a 680.000 barili, venendo così superata da quella dell’Angola.
Del resto l’inquinamento prodotto dalle estrazioni di petrolio continua a causare disastri ambientali, provocando danni non quantificabili alla salute e ai mezzi di sostentamento dei locali. Nell’arco del 2015 si sono susseguite varie fuoriuscite di petrolio e quelle precedenti non sono state ancora bonificate. Nel silenzio quasi assoluto del governo, che non ha mai perseguito penalmente le multinazionali.
E’ difficile prevedere che direzione prenderà il malcontento generale verso le amministrazioni centrali, ma ad oggi il governo di Buhari sembra totalmente inadeguato a gestire le emergenze interne e a comprendere le urgenze della popolazione, spesso delegando alla forza brutale e corrotta dell’esercito il compito di placare le grida di disperazione. Nel frattempo, mentre la strage “bianca” dei manifestanti biagrani prosegue, a nord Boko Haram continua a fare stragi di civili. Un’altra sconfitta di Abuja, in una Nigeria sempre più militarizzata e divisa.