“La natura della moneta” è un ottimo saggio che approfondisce uno dei concetti più sfuggevoli del pensiero accademico (Geoffrey Ingham, Fazi editore, 2016, 330 pagine effettive, euro 20).
La dottrina economica classica considera “la moneta come “un velo neutro” [o un lubrificante] steso sopra i meccanismi dell’economia “reale”. È neutro alla lunga, si dice, perché eventuali variazioni della sua quantità possono influenzare soltanto il livello dei prezzi e non la produzione e la crescita dell’economia” (p. 26). È un fenomeno neutrale perché servirebbe solo a superare la mancanza di coincidenza degli interessi degli attori, l’inconveniente principale del baratto.
Alcuni economisti pensano che “Le variazioni dello stock di moneta possono soltanto influenzare i prezzi nominali nell’economia lasciando inalterate le variabili reali. Si conviene che le variazioni della quantità di moneta possano avere effetti a breve termine. È anche appurato, tuttavia, che non esiste un mezzo teorico per arrivare a una distinzione significativa da breve e lungo termine” (nota a p. 335).
Tutto diventa ambiguo e oscuro sotto i raggi magnetici e implacabili della moneta. Infatti “tutti i sistemi monetari hanno bisogno di una moneta di conto astratta”, ma alcuni non usano i contanti.
Per le teorie eterodosse la moneta è una “forza di produzione” non neutrale (Minsky, 1986). La moneta non è un velo neutro steso davanti agli scambi commerciali (Max Weber), ma anzi il denaro “è principalmente un’arma in questa lotta, e i prezzi sono espressione di questa lotta; essi sono strumenti in questo scontro solo come quantificazioni stimate delle relative opportunità in questa lotta” (Economia e società, Donzelli, 2012). I prezzi sono il risultato di conflitti di interessi e di “costellazioni di potere” che agiscono nella “lotta per l’esistenza economica” (p. 118).
In linea generale si può affermare che il ruolo principale della moneta risiede nel misurare il valore con le unità di conto. Chiaramente esiste anche la funzione di riserva di valore, quella di mezzo di pagamento unilaterale e quella di mezzo di scambio. La scrittura, i numeri e la moneta permettono una forte “razionalizzazione della vita sociale” e “Grazie alla moneta le decisioni possono essere rinviate, riviste, riprese, annullate; è come un” desiderio congelato (Buchan, 1997).
Oggi vengono considerate varie forme di moneta (assegni, titoli vari, ecc.), che sono più o meno collegate ai prezzi dei beni e dei servizi, ma fino ad oggi nessuno è riuscito a mettersi d’accordo “su cosa fosse la “moneta” e su come precisamente entrasse nell’economia” (p. 27). Infatti non basta “Dire che le forme e la circolazione della moneta identificano la moneta come tale”.
E “A parte reiterare l’ovvia importanza della “fiducia”, la sociologia non ha affrontato il problema della vera natura della moneta, di come funziona e di come viene prodotta e conservata come istituzione sociale” (p. 29). Anche l’importanza della moneta nel pagamento dei debiti fiscali è data quasi sempre per scontata. Nei processi di colonizzazione l’imposizione delle tasse monetarie era il mezzo migliore per costringere i membri delle popolazioni native a lavorare per i colonizzatori.
In modo paradossale nemmeno l’analisi economica ha avuto successo nel prendere in esame la moneta in modo approfondito. La moneta viene semplicemente considerata come una merce, anche se gli economisti non sono mai riusciti a definirla in modo preciso. Del resto non sono mai riusciti a spiegare bene le cause, le conseguenze e i significati maturati dalle relazioni monetarie. Pensiamo ad esempio al problema sempre trascurato della creazione bancaria della moneta attraverso l’indebitamento (mutui, carte di credito, ecc.). E nonostante la sparizione della moneta ancorata al valore dell’oro “i postulati di fondo del pensiero economico ortodosso moderno restano radicati nella vecchia teoria delle origini e delle funzioni della moneta” (p. 38).
Secondo Ingham la vera moneta “deve innanzitutto essere costituita come debito trasferibile basato su una moneta di conto astratta. Più concretamente, uno Stato emette moneta come mezzo di pagamento per beni e servizi sotto forma della promessa di accettarla per il pagamento delle tasse… La moneta non esiste a meno che non esista simultaneamente un debito che essa è in grado di estinguere… qualsiasi debito all’interno di un determinato spazio monetario” (p. 33). Il punto di vista sociologico deve considerare la moneta come una preesistente “relazione sociale di credito e debito denominata in moneta di conto”, che può cancellare qualsiasi debito, poiché le relazioni sociali “esistono indipendentemente dalla produzione e dallo scambio delle merci”.
La moneta è quindi una forma di promessa di pagamento e anche una “creazione della legge”: nasce da un’istituzione, su garanzia dello Stato, che con la sua autorità autorizza un determinato mezzo di pagamento” (Georg Friedrich Knapp). In realtà l’istituzione dei derivati è un modo per ovviare a questi limiti, con tutti i problemi che possiamo constatare con l’aumento della “quasi-moneta” (Minsky). Qui c’è un’autorità privata che afferma di creare valore, ma non c’è una vero limite scritto, né un vero riconoscimento da parte della popolazione e non c’è nessuna autorità pubblica che può garantire a medio o a lungo termine un uragano di debiti matematici. Ingham cita i titoli legati alle cartolarizzazioni dei crediti relativi ai futuri pagamenti degli interessi delle carte di credito, titoli venduti da Citicorp sul mercato vaporoso della quasi-moneta (nota a p. 349).
Comunque il valore reale di una moneta è garantito anche dalle realtà produttive di una regione e di una nazione: la prima attività finanziaria del Monte dei Paschi di Siena era possibile grazie alla garanzia del formaggio prodotto dai pastori della zona, che era sempre necessario e consentiva la sopravvivenza della popolazione locale e delle popolazioni più vicine (“L’ABC dell’Economia”, Ezra Pound, Bollati Boringhieri, 2009). In periodi eccezionali di crisi dei beni molto particolari possono assumere il ruolo di moneta: nelle guerre moderne e in carcere le sigarette industriali, facili da contare e conservare e difficili da produrre, hanno assunto più volte la funzione di moneta (dentro e fuori i campi di prigionia). In altri casi può essere il tempo e la reciprocità a ricoprire il ruolo di moneta pratica e informale: se tu hai fatto qualcosa di utile per me, io farò qualcosa di utile per te.
La fiducia reciproca, l’ottimismo e l’egoismo sono le basi naturali del capitalismo e del credito: “Di tutte le cose che trovano esistenza nelle menti degli uomini, nessuna è più estrosa e piacevole del credito; non deve mai essere imposto, si fonda sull’opinione, dipende dalle nostre passioni di speranza e paura” sulla vita futura (Charles Davenant, c. 1682, cit. in Pocock, 1975, p. 77). E se è vero che “il capitalismo crollerebbe se tutti i debiti venissero”ripianati è “a maggior ragione messo in pericolo quando nessuno rimborsa i suoi debiti nel tempo specificato dalle norme del sistema” (qui Ingham cita le riflessioni di Marc Bloch del 1997).
Del resto se la cosa più difficile da spiegare è che cosa differenzia la moneta dalle altre merci, forse la definizione migliore è questa: la moneta è quella cosa che può essere riprodotta solo dalle banche e che può essere garantita solo dagli Stati. Ad esempio il valore del Bitcoin è stato avallato quando è stato confiscato e rivenduto per la prima volta dal governo americano. E l’instabilità governativa, la conflittualità politica e i ripetuti fallimenti economici spiegano “l’incapacità cronica dell’Argentina di produrre una moneta funzionante” a causa del cattivo “bilanciamento delle forze sociali e politiche” (p. 36). La “deflazione da debito” giapponese ha invece come causa principale l’immobilità politica e forse anche demografica, ed è più difficile da curare. I tassi di interesse e la pressione fiscale possono arginare, ma non stimolare l’attività economica. Non si può “spingere una corda” (p. 258). Se i prezzi si riducono troppo, le aziende si concentrano nel rimborsare il “debito in essere”, riducono gli investimenti e subentra la stagnazione.
Quindi “La moneta consiste nella rete sociale di credito e debito dell’economia capitalista… se messa in pericolo da insolvenze su larga scala, può innescare una reazione a catena e portare a una crisi monetaria. Controllare questi eventi facendo da prestatore di ultima istanza è probabilmente il ruolo più importante e indispensabile di una banca centrale, molto più che garantire la stabilità dei prezzi” (citazione di Mayer 2001 e Goodhart 2003, p. 314).
La moneta statale pubblica o privatizzata è un ottimo compromesso nella “battaglia economica dell’uomo contro l’uomo” (Weber) e l’euro è “una pura moneta privata, creata su richiesta esclusiva di agenti privati da banche obbligate a rispettare gli obiettivi fissati dalla banca centrale… sostenuta dalle aspettative dei mercati finanziari” (Parguez, 1999, p. 66). In altre parole, il tasso di cambio dell’euro sarà in grandissima parte determinato dal giudizio dei mercati valutari sulla credibilità degli accordi di Maastricht (Ingham, 2016, p. 308). Comunque non esiste nessuna risposta soddisfacente relativa alla nascita e alla quantificazione della moneta, anche se esisterà sempre una lotta politica e un accomodamento “tra diversi interessi per l’esistenza economica. Senza questo conflitto la moneta non può avere valore” (p. 330).
In ultima analisi per comprendere meglio la moneta bisogna mettere da parte la metafisica e bisogna rivalutare la funzione usi e costumi: “la moneta è ciò che la moneta fa” (Francis Walker, 1878; in Schumpeter, 1972). La moneta è soprattutto una costruzione sociale che viene inserita in un registro sociale o istituzionale ed è “il bene più liquido in assoluto” (p. 24). Ed è quella cosa molto variabile che viene prodotta e commercializzata dalle banche (tra di loro o rivenduta alle imprese e ai cittadini).
Geoffrey Ingham è nato nel 1942, è professore di Sociologia ed Economia Politica all’Università di Cambridge e Fellow al Christ’s College.
Nota – Il modello dell’equilibrio generale walrasiano di Arrow-Debreu non ha inserito l’analisi della moneta, che viene introdotta insieme al “banditore d’asta” (Hann, 1982, p. 1, in Ingham p. 41). Per Basil Moore, il fondatore dell’orizzontalismo, la moneta bancaria è una variabile endogena, la cui offerta è sensibile alla domanda e non qualcosa del tutto controllato dalla banca centrale (1979).
Nota aristotelica – Anche ai tempi di Aristotele esistevano quattro forme principali di scambio: il baratto, che esiste ancora oggi con lo scambio di materie prime tra le nazioni; il classico scambio di merce per denaro, in cui è più facile fare combaciare gli interessi delle due parti; l’acquisto di un bene per rivenderlo a un prezzo maggiorato in un altro posto o a distanza di tempo; prestare il denaro per ricavare grandi interessi, anche a livello usuraio, come accade in molti paesi con le carte di credito (il denaro che mangia denaro e procura molti danni ai membri della comunità).
Nota italiana – Se “Assoggettiamo l’uomo ad una regola uniforme, sia questa imposta da un’oligarchia di monopolisti privati, sia da un ceto di tecnici sapienti posti al vertice della macchina collettiva… voi avrete, in ambo i casi… la graduale scomparsa dello spirito creatore… della virtù creatrice della ricchezza materiale come dei beni spirituali: la libertà” (Luigi Einaudi, Liberismo e liberalismo).
Nota americana – L’unico Stato americano non in crisi, con tutti i conti in attivo, è lo Stato del Nord Dakota, che ha una banca statale pubblica gestita direttamente dal Governatore, dal Procuratore e dal Commissario all’Agricoltura. In questo modo non si estremizza il ruolo di usuraio legalizzato che invece è magistralmente interpretato dalle banche private controllate da poche famiglie molto privilegiate e da qualche manager amorale accuratamente selezionato.
Nota realista e iperrealista – “Così come l’incapacità di leggere la stampa era la sventura dei secoli passati, nel nostro tempo la sventura consiste nell’analfabetismo economico” (Ezra Loomis Pound); “Il capitalismo americano è il più grande spettacolo del mondo. E a volte il biglietto ti costa l’intera vita” (Amian Azzott); “La nostra paura di spendere a “Deficit Positivo” [ad esempio le spese in ricerca e sviluppo] è “una superstizione… una religione arcaica per spaventare la gente con dei miti, affinché si comportino in modo accettabile dal sistema civile” (Paul Samuelson, premio Nobel per l’Economia nel 1970); “Avremo un governo mondiale, che vi piaccia o no. La sola questione che si pone è di sapere se questo governo mondiale sarà stabilito col consenso o con la forza” (James Warburg, banchiere, di fronte al Senato USA, 17 febbraio 1950).
Nota indigesta – Probabilmente è giunto il momento di recuperare l’ancestrale significato della moneta, che “simboleggiava la reciprocità tra le persone, cioè quello che le collegava emotivamente con la loro comunità: era un simbolo dell’anima degli individui” (William H. Desmonde). Probabilmente “Tutte le perplessità, le confusioni, le miserie che affliggono l’America non vengono dai difetti della Costituzione… o dalla mancanza di integrità dei cittadini. Bensì dalla loro completa ignoranza della natura e della circolazione del denaro e del credito” (John Adams, patriota, 1735-1826). In ogni caso “È un fatto che la moneta, nella nostra epoca, gode di un prestigio un tempo riservato alla religione: una dimensione misteriosa e tremenda, accessibile solo agli iniziati” (Michel Aglietta, “Il dollaro e dopo. La fine delle valute chiave”, Sansoni, 1988, www.cepii.fr).
Nota spezza ossa – A suo tempo Henry Ford confessò: “Meno male che la popolazione non capisce il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo capisse, credo che prima di domani scoppierebbe una rivoluzione”. Anche il vecchio banchiere Rothschild affermò una cosa simile: “Pochi comprenderanno questo sistema, coloro che lo comprenderanno saranno occupati nello sfruttarlo, il pubblico forse non capirà mai che il sistema è contrario ai suoi interessi” (Rothschild, 1863). In effetti “Dopo la rivoluzione di luglio il banchiere liberale Laffitte, accompagnando il suo compare, il duca di Orléans, in trionfo all’Hotel de Ville, lasciava cadere queste parole: «D’ora innanzi regneranno i banchieri». Laffitte aveva tradito il segreto della rivoluzione”(Karl Marx, “Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850”). Invece un antico proverbio orientale è stato formulato così: “Se tu pagare come dici tu, io lavorare come dico io. Se tu pagare come dico io, io lavorare come dici tu”. Comunque la mia citazione preferita è questa: “Abbiamo costruito un sistema che ci persuade a spendere il denaro che non abbiamo in cose che non necessitano per creare impressioni che non dureranno su persone che non ci interessano” (Emile H. Gauvreay).
Nota storica – Ai tempi dell’Impero Romano “Un ciclo di spesa e commercio imperiale teneva gran parte delle monete romani costantemente in circolazione”. Ad esempio durante la dominazione romana in Egitto (132 d.C.), il numero totale delle monete in circolazione era cinque volte maggiore di quello riscosso con la tassazione (Harl, 1996, pp. 86, 255-256). L’emissione di moneta metallica e la grande quantità di opere pubbliche aveva dei grandi effetti di moltiplicatore economico in una specie di “protokeynesianesimo” che entrò in crisi con la difficoltà di reperire il metallo prezioso. Di conseguenza il contenuto di oro e di argento delle monete diminuì troppo e la fiducia crollò. E l’Impero crollò, anche a causa della mancata tassazione in moneta nelle periferie più barbare. Con il semplice baratto delle merci il moltiplicatore monetario non entrava in azione.
Nota keynesiana – La moneta risparmiata consente gli investimenti per la produzione, ma non per il consumo, e “Il desiderio di conservare la moneta come riserva di ricchezza è un barometro del nostro grado di sfiducia verso in nostri calcoli e le convenzioni che riguardano il futuro… Il possesso materiale di moneta acquieta la nostra inquietudine” (Keynes, 2006). Ma se ciascuno placasse la propria inquietudine in questo modo, gli investimenti e la domanda nell’economia di produzione scomparirebbero. Quindi l’eccesso di liquidità non è vantaggioso per la comunità. Ogni attività capitalistica è speculativa, poiché non c’è mai la certezza che tutti i beni prodotti e venduti avranno dei compratori. Ma la speculazione finanziaria è diversa: “gli speculatori possono essere innocui se sono delle bolle sopra un flusso regolare di imprese economiche; ma la situazione è seria se le imprese diventano una bolla sospesa sopra un vortice di speculazioni. Quando l’accumulazione di capitale di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un casinò, è probabile che le cose vadano male” (2006, citato a pag. 260).
Nota attualizzata – “L’emissione di titoli di Stato e le operazioni sul mercato aperto possono esserci soltanto se le condizioni in cui avvengono sono accettabili per i creditori dello Stato; ovvero se essi sono convinti, con qualsiasi mezzo, che i rendimenti copriranno adeguatamente l’eventuale inflazione” (p. 234). Il sistema monetario debitalista ha bisogno di una crescita infinita per sostenersi, ma una crescita infinita in un mondo finito è materialmente impossibile. Si possono inventare i derivati, ma l’illusione non può durare per sempre. E se devi dare alla banca 5.000 sterline sei nei guai, ma se sono 50 milioni allora è la banca a essere nei guai: “Spesso, livelli così alti di indebitamento e insolvenza devono essere cancellati allo scopo di preservare il sistema dei pagamenti stesso. Nel 1998 l’hedge fund americano Long-Term Capital Management crollò sotto il peso di un indebitamento verso le banche di oltre 100 miliardi di dollari. Alla fine il fondo fu salvato da un consorzio di Wall Street su richiesta ufficiale della Federal Reserve” (p. 225).
Nota difficile da capire – Esiste “uno scontro fondamentale all’interno del capitalismo: quello tra la creazione di reti di credito autoctone da parte delle imprese e il tentativo delle banche di stabilire i termini in base al quale viene creato il credito… Inoltre, l’acquisto di questi strumenti di credito privato avviene con moneta presa in prestito dalle banche” (p. 229). La nostra “moneta ad alto potenziale è il risultato dello scontro tra la domanda di moneta dei debitori e la fiducia, da parte dei creditori, che lo Stato sia in grado di onorare il proprio debito, che a sua volta dipende dal gettito fiscale. Ed è proprio la necessità di lavorare per un reddito tassabile che le dà valore” (p. 244). Se la “moneta ad alto potenziale crescesse sugli alberi non varrebbe nulla” (Wray, 2004). Per questo motivo la nuova economia molto robotizzata e molto informatizzata prima o poi spazzerà via molti lavori e pure l’attuale sistema monetario, oramai troppo antiquato e controproducente.
Nota finale – Joseph Schumpeter, uno dei più grandi pensatori nel campo dell’economia, nel corso della sua lunga vita non è riuscito a terminare il suo saggio sulla moneta, e non è mai riuscito a “chiarirsi le idee sulla moneta in modo per lui soddisfacente” (cit. in Earley, 1994, p. 342). La sua idea principale era quella di considerare solo due teorie monetarie, incompatibili tra loro: “la teoria della moneta-merce e quella basata sui diritti di credito” (cit. in Ellis, 1934, p. 3). Una volta ha affermato: “Le opinioni sulla moneta sono altrettanto difficili da descrivere quanto le nuvole in movimento” (Schumpeter, 1954, p. 352). E per Schumpeter “Il banchiere non è tanto un intermediario del “potere d’acquisto” della merce, quanto, soprattutto, un produttore di questa merce” (2002, citato a pag. 219). Tuttavia “La Banque [banca centrale] non appartiene solamente ai suoi azionisti; appartiene anche allo Stato che le ha garantito il privilegio di creare moneta” (Napoleone Bonaparte, 1806, citato a pag. 177).