Le leggi – e le proposte di legge – possono avere un differente carattere. Un carattere regressivo, ossia nascere sull’onda di un impulso emotivo, generalmente fondato sulla paura, ed ancorare a questo norme che determinano un blocco o una diminuzione dell’orizzonte civile di un Paese (ne è un esempio paradigmatico il patriot act negli USA che, dopo l’11 settembre 2001, ha ridotto i diritti civili in nome dalla “sicurezza”). Oppure un carattere progressivo, ossia nascere dalla volontà di incarnare valori, ideali e diritti nella realtà, per far compiere un passo in avanti al tasso di civiltà del Paese (ne è recente l’esempio, seppur parziale, della cosiddetta “legge Cirinnà” sui diritti delle unioni di fatto). Il massimo di evidenza di questi poli opposti si esplicita quando è in ballo il concetto di “difesa” ed il correlato concetto di “minaccia”: quali sono i beni da difendere? E quali le minacce dalle quali difendersi? La risposta a queste domande fondamentali – e il relativo ordinamento giuridico – caratterizza massimamente la regressione o la progressione civile di una organizzazione sociale e politica. Nel giro di due giorni, l’1 e il 2 di giugno, questi differenti approcci al tema della difesa – seppur declinata su piani diversi – si sono confrontati attraverso due differenti proposte di legge di iniziativa popolare.
Il primo giugno, ciò che rimane del partito dell’”Italia del valori” ha depositato le firme per una proposta di legge che vuole rinforzare il diritto alla “legittima difesa” eliminando – tra le altre cose – il reato di eccesso colposo di legittima difesa: cioè se qualcuno tenta di appropriarsi indebitamente di un bene non suo, qualunque strumento diventa lecito al legittimo proprietario per fermarlo: anche uccidere. E’ – di fatto – l’abdicazione del principio del diritto esclusivo dello Stato all’uso della violenza “legittima” e un invito a tutti ad armarsi e, difronte ad un furto, farsi giustizia da soli: nessuna violenza potrà più essere giudicata eccessiva. Il principio che sottende a questa proposta di legge – di cui altre varianti sono già in discussione in Parlamento – è che il fine giustifica i mezzi: una nuova conferma legislativa dell’antico adagio che ha generato sempre più violenza, e con essa armamenti, guerre e crimini contro l’umanità.
Il giorno dopo, il due giugno Festa della Repubblica, la campagna “Un’altra difesa è possibile” – che aveva già depositato la proposta di legge di iniziativa popolare per istituire nel nostro Paese una vera difesa civile, non armata e nonviolenta – ha lanciato la seconda fase della Campagna: l’invito ai Parlamentari a sottoscrivere la legge, calendarizzarla e votarla. L’obiettivo di questa proposta di legge è di difendere primariamente i diritti costituzionali dei cittadini rileggendo l’articolo 52 della Costituzione – la difesa della patria – alla luce dall’articolo 11 – il ripudio della guerra. E’ un invito a disarmare le enormi spese militari – che preparano quelle guerre che nell’ultimo quarto di secolo hanno reso tutti più insicuri, oltre che violato la Costituzione e i diritti altrui – a beneficio della pari dignità degli strumenti civili di difesa non armata (per esempio il Servizio civile nazionale) e della costruzione di mezzi e strumenti di intervento pacifico nelle controversie internazionali. Il principio che sottende a questa proposta di legge è la coerenza tra mezzi e fini: l’apertura della possibilità di costruire relazioni interne e internazionali fondate sul rispetto reciproco tra le persone e i popoli.
Due differenti visioni del mondo di cui la prima – supportata da oltre un milione di firme – è generata dalla diffusa ed irrazionale paura dell’altro, scissa dalla realtà del progressivo calo di omicidi nel nostro Paese, fondata sulla irreversibilità della violenza come regolatrice di rapporti umani, con la certezza che violenza chiama violenza. La seconda proposta di legge – supportata da poco più di 50 mila firme – generata dall’evidenza che la strategia militare per costruire relazioni pacifiche il mondo è tragicamente fallita, è fondata sulla possibilità della costruzione della nonviolenza come alternativa alla barbarie della guerra di tutti contro tutti.
Chi volesse dare una mano a preparare un salto di civiltà – non con il mezzo utopistico della violenza, contrario al fine da raggiungere, ma con quello realistico della nonviolenza, coerente con il fine – può ancora fare qualcosa: inviare ai parlamentari del proprio collegio le cartoline che invitano a calendarizzare e votare la proposta di legge, aggiungendo il proprio nome a quello degli oltre 70 parlamentari che hanno già apposto la propria firma per l’altra difesa possibile. Quella civile, non armata e nonviolenta. Appunto.
Pasquale Pugliese