A inizio maggio l’Isis ha lanciato un’ampia offensiva a nord di Mossul, sfondando le linee dei peshmerga curdi e avanzando di alcuni chilometri. E’ stato ucciso un militare americano e sarebbero intervenute anche truppe inglesi e italiane, oltre agli americani. L’offensiva dell’ISIS è la terza in pochi mesi. La situazione è stata raccontata in un precedente articolo.
A causa di questa situazione critica lo scorso 9 maggio il Ministro della Difesa Roberta Pinotti ha visitato senza preavviso l’Iraq e la diga di Mossul. A Baghad ha incontrato il Primo Ministro iracheno Haider al-Abadi e ha raggiunto Arbil, capitale del governo regionale curdo, a 115 chilometri dalla diga di Mossul.
In un’intervista al Quotidiano Nazionale Pinotti ha dichiarato: “L’Italia era pronta da fine aprile, dei team avanzati sono già sul posto per fare ricognizione e da fine maggio la task force inizierà a dispiegarsi a protezione dei lavori di messa in sicurezza della diga di Mossul, sul Tigri. Inizialmente saranno cento uomini, poi, man mano che aumenteranno le esigenze di protezione del cantiere, saliremo, tra settembre e ottobre, a poco più di 450 soldati: la Trevi ci ha comunicato che i lavori dureranno dai 12 ai 18 mesi e inizieranno il 1° settembre. Noi siamo pronti a restare fino a due anni, secondo necessità, fino a che la diga sarà stata messa in sicurezza”. Pinotti ha chiarito, o meglio ha tentato di chiarire, che la presenza di altri 500 soldati italiani sul terreno a poche decine di chilometri dalla zona controllata dallo Stato Islamico non significa che la Difesa stia pensando di mandare nostri aerei a bombardare l’Iraq, nonostante gli americani ce lo abbiano chiesto. “I nostri velivoli svolgono una missione di ricerca e acquisizione obiettivi, specializzazione nella quale siamo tra i migliori al mondo e che è fondamentale per chi fa operazioni di attacco al suolo. Quindi, va bene così. Non cambieremo. Quello che servirà a Mosul e che ci sarà, è la cosiddetta personnel recovery, cioè elicotteri in grado di intervenire per portare in salvo personale disperso o ferito”.
Esiste una evidente contraddizione tra le dichiarazioni “pacifiche” della Pinotti, l’impegno di forze militari in zona di guerra e innanzitutto, la chiara intenzione del modo in cui gli americani vogliono impiegare l’Italia in Iraq.
Per l’Italia è un impegno notevole. A oggi abbiamo 800 militari tra Bagdad, Erbil e Kuwait City e in autunno saliranno a 1.300. Adesso siamo impegnati nell’addestramento (7.728 persone formate, tra peshmerga curdi e poliziotti iracheni) e nelle ricognizioni aeree (7mila ore di volo con 1.250 sortite di Tornado, droni, C130 e rifornitori).
Di fronte all’avanzare dell’avventura militare in Iraq del governo del Partito Democratico di Renzi è urgente una discussione in Parlamento e una mobilitazione in tutta Italia di persone, organizzazioni e movimenti che si oppongono alla guerra.