Il nuovo governo birmano continua l’emarginazione dei Rohingya – Unione Europea chiamata a rafforzare la pressione sul Myanmar per eliminare l’apartheid contro i Rohingya
Bolzano, Göttingen, 23 maggio 2016
A poco più di sei mesi dalla vittoria elettorale della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) della premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) accusa il nuovo governo birmano di continuare la grave politica di discriminazione ed emarginazione del gruppo etnico minoritario dei Rohingya di fede
musulmana. Da tempo i Rohingya subiscono le politiche influenzate da nazionalisti buddisti che negano loro fondamentali diritti politici e civili. L’APM si è rivolta all’Unione Europea chiedendo di rafforzare la pressione sul paese asiatico affinché abolisca finalmente le norme che permettono una politica simile all’apartheid contro i Rohingya.
In un colloquio con il ministro statunitense John Kerry il ministro degli esteri birmano Aung San Suu Kyi ha chiesto maggiore pazienza per poter trovare “una soluzione unanime” della questione Rohingya e in una conferenza stampa ha poi affermato che rifiuta l’autodefinizione “Rohingya” del gruppo etnico minoritario. Secondo la Suu Kyi tale definizione polarizzerebbe inutilmente il paese. Per Aung San Suu Kyi è quindi preferibile mantenere la definizione ufficiale birmana di “Bengali”, definizione che però sia i Rohingya stessi sia la comunità internazionale rifiutano, come ha anche già sottolineato l’ambasciatore americano Scot Marciel nei colloqui di preparazione alla visita di Kerry in Birmania.
Per l’APM, le dichiarazioni di Aung San Suu Kyi ricordano tristemente l’atteggiamento verso i Rohingya della giunta militare e del poco democratico governo che è succeduto alla dittatura. Il rifiuto di riconoscere il nome proprio di un intero popolo non costituisce una base propizia per il riconoscimento dei loro pari diritti senza i quali i Rohingya non possono sperare in un futuro di libertà e dignità. Anche la presunta ricerca di una soluzione unanime risulta ormai poco credibile visto che Aung San Suu Kyi continua caparbiamente a ignorare la questione Rohingya ogniqualvolta le si chieda di affrontare concretamente la situazione.
In Myanmar 125.000 persone appartenenti al gruppo etnico dei Rohingya continuano a vivere in appositi campi in condizioni disumane, senza sufficiente cibo e senza possibilità di comunicare con l’esterno. In tutto il paese la libertà di movimento dei Rohingya è fortemente limitata e i loro diritti individuali come il diritto a sposarsi, a cercare lavoro, ecc. vengono sistematicamente violati. Secondo le informazioni fornite dall’ACNUR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Profughi), la Birmania non solo non intende porre fine a queste discriminazioni, ma pianifica l’ennesima revisione della cittadinanza dei Rohingya. Le autorità birmane continuano a negare ai Rohingya il loro diritto alla cittadinanza.