di Peter Bloom per Common Dreams
Proprio mentre la “strada verso la vittoria” di Sanders si va restringendo sempre più, il coinvolgimento nella sua candidatura cresce in intensità. Le recenti vittorie in Indiana e Oregon riflettono il persistente desiderio di un’alternativa progressista ai Centristi Democratici e alla Clinton. Rivelano però anche una divisione sempre più profonda, nel partito e non solo, tra chi vuole una vera e propria rivoluzione e chi si sente appagato con una semplice riforma.
Queste divisioni sono andate man mano estendendosi al di là della retorica politica verso proteste ed agitazioni sempre più forti. I recenti scontri nel corso del caucus [USA: riunione dei dirigenti di un partito. N.d.T] in Nevada evidenziano le grandi frustrazioni e le azioni dei sostenitori di Sanders che si sentono in qualche modo defraudati dei loro diritti civili da un sistema considerato truccato. Nei resoconti si parla di vandalismi e ultimamente anche di minacce verbali nei confronti di quelli che sono ora considerati alleati della Clinton.
Come Sanders ha dichiarato martedì, “la nostra campagna naturalmente crede nel cambiamento non violento e va da sé che io condanno qualsiasi forma di violenza, comprese le molestie personali individuali”.
Ciò che viene troppo spesso lasciato non detto, tuttavia, è come la giusta condanna della violenza popolare mascheri la maggior violenza perpetrata da coloro che detengono il potere. In questo caso, la legittima critica alle azioni di alcuni delegati di Sanders nasconde l’altrettanto presente minaccia presente e futura che l’establishment del partito Democratico rappresenta per molte persone, sia in America che altrove nel mondo.
Una rivoluzione in crescita
Fin dall’inizio, Sanders ha definito la propria campagna una “rivoluzione politica”. È una frase che, tradizionalmente, evoca immagini di violente barricate e pesanti scontri con le autorità. Per Sanders ed i suoi sostenitori significa, invece, meno proteste e meno guerriglia di piazza e più un movimento elettorale populista contro la “classe miliardaria” e per una democrazia sociale.
Gli eventi in Nevada hanno messo in discussione quanto sia in realtà pacifica e democratica questa “rivoluzione”. I leader democratici e molti membri dei partiti tradizionali hanno accusato la campagna di Sanders di presentare una “vena violenta”. Questo dopo mesi nei quali i cosiddetti “Bernie Bros” hanno violentemente attaccato online i sostenitori di Clinton utilizzando un linguaggio misogino tradizionalmente sconfessato dai progressisti e con veemenza dal candidato stesso.
Quel che è peggio, queste azioni sono percepite come collegate ai manifestanti che hanno interrotto una manifestazione di Trump a marzo e urlato improperi all’indirizzo dei partecipanti all’uscita di un raduno della Clinton a Los Angeles all’inizio di questo mese. Di fronte a tali azioni i leader democratici hanno fatto pressione su Sanders perché condannasse più energicamente questa violenza.
Se non altro, tuttavia, questa rabbia sembra essere in crescita. “La nuova paura dei Dems”, secondo la CNN, è che “la rivolta di Sanders potrebbe stravolgere la Convenzione Democratica [nazionale]” nel mese di luglio. A quanto pare, quella che era una volta una “rivoluzione” pacifica potrebbe sfociare in una ribellione in piena regola.
Proteggere l’Establishment
C’è chiaramente la necessità di rifiutare come inaccettabili violenza, minacce di morte, molestie e misoginia. Limitarsi ad ignorarli significherebbe ignorare le esperienze dei tanti che hanno messo in discussione Sanders o le tattiche dei suoi sostenitori. È anche importante riconoscere che, come sottolinea Sanders, la maggioranza del suo movimento si è dimostrata particolarmente non violenta.
“In questi ultimi giorni sono state mosse numerose critiche all’organizzazione della mia campagna,” ha ricordato Sanders. “I leader di partito in Nevada, per esempio, sostengono che la campagna di Sanders ha una ‘tendenza alla violenza’. Questo è assurdo. La nostra campagna ha tenuto gigantesche manifestazioni in tutto il paese, persino in aree ad alta criminalità, e non è stata riportata alcuna notizia di violenza”.
Tuttavia, meramente condannare senza contestualizzare significa perpetuare un diverso tipo di violenza. Significa essere volontariamente ciechi ai sistemi istituzionali con le quali le élite del Partito Democratico stanno alienando le voci esterne che chiedono al partito e alla nazione cambiamenti reali in contrapposizione con quelli solo di superficie.
I disordini in Nevada, per esempio, sono stati incentivati dalla subdola attività di sezioni locali del Comitato nazionale tesa ad assicurare alla Clinton l’assegnazione di una maggioranza di delegati. La cosa ricorda quelle primarie imbottite di accuse, peraltro credibili, di cancellazioni di elettori e forse persino di frode dall’Arizona a New York all’Illinois. Le grida di contrarietà arrivano in risposta a quel profondamente avvertito “silenziamento” delle voci da parte delle élite di partito e dei media mainstream.
Ma questa critica giustificata nasconde anche un altro pericolo più imminente. Questi cittadini stanno cercando disperatamente di resistere a uno status quo che ha perpetrato, e continuerà a farlo, immensa violenza contro di loro e i loro cari. La protesta contro Clinton in East Los Angeles esemplifica questo pericolo chiaro e presente. Sotto le iperboliche dichiarazioni di donne anziane e bambini aggrediti verbalmente c’era una realtà più allarmante.
Molti dei manifestanti dentro e fuori il raduno erano lì per condannare il ruolo attivo della Clinton nel legittimare un colpo di stato militare in Honduras dal quale è uscito un governo oligarchico responsabile della morte di manifestanti indigeni e la repressione dei diritti delle donne e dei diritti LGBT. Ciò ha significato svergognare direttamente il partito da parte dei cosiddetti “Latinos” contro le precedenti brutali politiche anti-immigrazione della Clinton e l’uso continuato da parte delle deportazioni da parte di Obama.
Contro i privilegi americani in patria e all’estero
C’è il rischio che, nel mettere in evidenza gli aspetti più estremi dei sostenitori di Sanders, l’estremismo a marchio Clinton del centrismo si trovi ad essere pericolosamente occultato. Cosa vuol dire quando la violenza localizzata in un’assemblea politica del Nevada surclassa la violenza globale di una candidata che ha sostenuto disastrosi interventi militari dall’Iraq alla Llibia? Dovremmo preoccuparci più per una protesta ad un raduno che per milioni di vite rovinate da una crisi economica provocata da un settore finanziario al quale la Clinton ha fatto poco per resistere e che continua a sostenerla?
Si tratta, ancora una volta, di tracciare una linea chiara e stabilire la sicurezza e il benessere di chi sono importanti e quali non lo sono. Che l’assassinio dell’attivista honduregna Berta Cáceres conta poco, mentre i “boo” all’indirizzo della senatrice Barbara Boxer rappresentano un incidente grave che deve essere fortemente denunciato.
La reversione alla violenza e alle minacce da parte dei progressisti che sostengono Sanders è inadeguata e controproducente. Eppure è diversa dagli assalti reazionari di una manifestazione di Trump, in quanto essa tende a spezzare piuttosto che rafforzare gli esistenti privilegi razziali ed economici.
Tuttavia, spicca in netto contrasto con le manifestazioni meno apertamente violente ma in definitiva potenzialmente più distruttive della Clinton. Significa sostenere esplicitamente una candidata che mirabilmente promette di abbattere proprio quelle barriere sociali ed economiche che lei e i suoi alleati hanno contribuito a costruire e preservare.
Nella sua dichiarazione contro la violenza in Nevada, Sanders ha proclamato: “Il Partito Democratico ha una scelta. Può aprire le sue porte e dare il benvenuto nel partito a persone disposte a lottare per un vero cambiamento economico e sociale, persone disposte ad affrontare Wall Street, l’avidità delle multinazionali e un’industria di combustibili fossili che sta distruggendo questo pianeta. Oppure può scegliere di mantenere lo status quo, rimanere dipendente dai contributi alla campagna da parte dei grandi affari ed essere un partito con partecipazione limitata e limitata energia”.
In questo momento quanti sono impegnati a favore di una vera giustizia sociale ed economica si trovano troppo spesso confrontati ad una scelta ancora più difficile. Quella tra sporadici atti di violenza o accettare la “violenza nascosta” dello status quo. E troppo spesso i fini progressisti di queste tattiche vengono traditi dai loro mezzi deplorevoli.
La rivoluzione politica auspicata da Sanders e dagli attivisti in tutto il paese propone un sistema diverso: creare un sistema democratico e inclusivo di governance che tuteli i diritti e la dignità di tutti, non solo quelli delle élite e dei loro sostenitori. È anche una spinta ad andare oltre i confini dell’America per unirsi e mostrare solidarietà con un crescente movimento internazionale di cittadini e attivisti che in ogni continente lottano per un vero progresso economico, sociale e ambientale.
Ciò che occorre è una condanna radicale degli eccessi peggiori di questa ribellione per una rivoluzione democratica impegnata, in grado di contrastare la distruzione globale sostenuta e spalleggiata dall’establishment di entrambi i maggiori partiti. Una ferma protesta contro i privilegi americani in patria e all’estero.
Traduzione dall’inglese di Giuseppina Vecchia per Pressenza