Viviamo in un mondo dinamico e accelerato. Il movimento futurista, all’inizio del 20esimo secolo elogiava la velocità che simboleggiata dalle auto da corsa di quell’epoca incitava la fantasia degli artisti e scrittori futuristi. Ecco l’elogio di F.T. Marinetti all’accelerazione tecnica, elevata a dimensione estetica della vita nel suo Manifesto in cui dice: “Noi affermiamo che la magnificenza del mondo
Si è arricchita di una bellezza nuova. La bellezza della velocità.”[1]
Ma questa dinamica ben presto mostra i suoi aspetti negativi: armamento a tutti i costi, Blitzkrieg, uccisione accelerata e scientifica, sovrapproduzione, tecnologizzazione di tutti gli ambiti della vita ed indifferenza riguardo a questioni etiche, sociali e dei diritti umani. Quest’accelerazione in senso negativo invade anche il giornalismo che si confronta con questo mondo. In questo mondo, esso diviene lo specchio del mondo accelerato e reagisce solo sotto forma di messaggi passivi ed istantanei. Sempre meno giornalisti scrivono più notizie in sempre meno tempo.
Ovviamente manca il tempo per la ricerca, l’indagine delle cause, la responsabilità etica e l’orientamento alle soluzioni. Guerra, terrorismo, criminalità, violazioni dei diritti umani e violenza di tutti i tipi sono le tematiche principali di cui si occupa questo mondo delle notizie rapide, confezionate senza ricerca. Le notizie negative senza via d’uscita finiscono in prima pagina, mentre le notizie positive con approcci di soluzione costruttivi vengono rimosse. Una serie infinita di notizie rapide e scioccanti inonda i portali di notizie online e i social media e viene aggiornata secondo dopo secondo. Gli avvenimenti non vengono elaborati, ma solo recepiti passivamente e ributtati nel mondo in cui si crea un effetto boomerang rafforzato a livello visivo ed acustico (mediante immagini, video, testi parlati o musica, rumori, e simili).
In questo mondo che cosa viene a mancare al giornalismo tradizionale? Direi tutto. Gli aspetti fondamentali di questo giornalismo accelerato senza dubbio sono la mancanza di comprensione etica e deontologica e la ricerca insufficiente delle fonti che riguardano il giornalismo su un duplice piano: da una parte il giornalismo come mondo dei giornali e della stampa che subisce perdite qualitative estreme e non riesce più ad adempiere al suo compito etico e socio-politico, e dall’altra le attività e le azioni delle singole giornaliste e dei singoli giornalisti che affrontano questa sfida irrazionale, dandosi infine per vinti.
Qui di seguito vorrei porre due questioni essenziali sul tema: Quali sono le esigenze etiche e di ricerca del giornalismo di qualità? Come si riesce a favorire nuovamente questo giornalismo di qualità, superando gli ostacoli attuali?
Per me l’etica rappresenta un concetto fondamentale quando si tratta di giornalismo e di tutti gli aspetti relativi a parola, dialettica, dialogo, riflessione e comunicazione. Le parole “mettono in moto” molto e proprio colui che crede nel potere della parola e alla sua influenza essenziale a livello di psicologia di massa, deve inevitabilmente basare il suo agire sull’etica per evitare di trasformare le parole in anti-parole che calpestano la dignità umana o in involucri verbali ed apatici, svuotati della loro dimensione semantica. Infatti il contrario di parola, dialogo, comunicazione e riflessione significa violenza, nichilismo, conflitto e guerra.
Il giornalismo di qualità vuole essere un giornalismo con un vero e proprio filtro etico quale strumento deontologico principale. In questo contesto, la dimensione temporale acquista un significato del tutto particolare. Infatti il filtro etico ha a che vedere con la dimensione temporale della riflessione su di me come giornalista, l’oggetto della mia ricerca e la mia relazione personale ed etica con l’oggetto-soggetto, come mostrerò qui di seguito facendo riferimento alla tesi di Edward Said.
Ne consegue che solo un giornalismo lento può essere anche qualitativo, visto che le giornaliste e i giornalisti non sono recipienti passivi che assorbono informazioni e le ruminano per trasformarle in notizie rumorose e sensazionali, ma esseri umani che riflettono ed agiscono in modo etico e affrontano la dimensione del “Tu” nel senso del filosofo ebreo-francese Emanuel Lévinas. Questo “Tu” si ritrova nello specchio degli eventi, degli esseri umani, degli avvenimenti del mondo e del proprio mondo dei valori.
L’etica è un concetto molto diversificato, flessibile e anche manipolabile dal punto di vista culturale, religioso, filosofico e sociologico. Questo fatto rende più complesso e pericoloso il lavoro giornalistico, in quanto muove le persone, raggiunge le masse, rafforza le emozioni ed influenza l’opinione pubblica ad ampia scala. L’etica da una parte significa diversità se si parte dal mondo e dall’altra assoluta normatività se si eleva il punto di vista del singolo a principio generale.
Ma tutti gli esseri umani, indipendentemente dalle differenze culturali, etniche, religiose, sociali ed economiche, hanno in comune la propria umanità. Ne consegue che il giornalismo di qualità deve essere un giornalismo lento dotato di un filtro umanistico ed etico che si “declina” in modo diverso a seconda della cultura, religione e dell’orientamento e del punto di vista socio-politico senza però sradicarsi.
L’etica umanistica del giornalismo si basa sul mantenimento dell’umanità e della dignità dell’altro e comprende dunque i diritti umani di tutti i cittadini del mondo, indipendentemente dalla “declinazione” della loro cultura, lingua, religione e appartenenza di gruppo, posizione sociale, del loro colore della pelle, della sua capacità, del suo talento e della sua competenza.
Per questo, nel giornalismo lento di qualità, la ricerca preparatoria e l’indagine delle cause, la redazione dell’articolo, la sua correzione e diffusione si basano sul principio generale dell’umanità dell’Altro, del suo mondo e dunque del tema da trattare nell’articolo che può essere abbordato solo da un punto di vista etico ed umanista. A mio avviso, questo principio in particolare si applica al giornalismo su temi quali la crisi dei rifugiati, il terrorismo, la guerra, le differenze nord-sud, il femminismo e i diritti interculturali delle donne e i limiti della libertà di stampa.[2]
Il giornalismo di qualità lo considero anche un giornalismo anticolonialista nel senso delle tesi di Edward Said in Orientalism e un giornalismo pacifista e anti-razzista visto che non considera l’“Altro” come oggetto della propria percezione, dei suoi pregiudizi e dei punti di vista etnocentrici, ma come “Tu”, con il quale instaurare una vera relazione dialettica.
Mediante il suo filtro etico, il giornalismo lento si pone i propri limiti visto che la mia libertà termina dove iniziano la libertà, dignità e umanità altrui (ovvero del mio soggetto).
I giornalisti ora, su questa base, come possono opporsi a questa tendenza per promuovere il giornalismo lento di qualità come standard, anche se nel nostro mondo all’insegna dell’accelerazione e del capitale sembra più impegnativo ed economicamente meno e/o per niente redditizio?
In questo settore i giornalisti lenti devono affrontare una duplice sfida, sia qualitativa che quantitativa: da una parte abbiamo bisogno di giornalisti “lenti” che fanno una ricerca etica e costruttiva e si confrontano con il tema nella sua “dignità”, scrivano testi che non trasformano le informazioni in sensazioni ruminate e rumorose, e dall’altra abbiamo bisogno di più giornalisti per meno articoli in più tempo visto che il tempo viene elevato a dimensione etica del giornalismo anche se dal punto di vista del capitale e della tecnologia non “vale la pena”.
Ma come facciamo a convincere i clienti di McDonald a mangiare piatti raffinati del Cinquecento in un ristorante ottomano? Il giornalismo infatti non riguarda solo i “produttori”, ma anche i consumatori. Per affermare un giornalismo di qualità dobbiamo impegnarci su due fronti per convincere sia il mondo dei media che il pubblico del fatto che l’etica, la ricerca, la responsabilità, la verità, il tempo e i diritti umani devono determinare il giornalismo e che questo deve avvenire indipendentemente e al di là di ogni calcolo finanziario.
I giornalisti lenti si trovano in un mondo all’insegna di neocolonialismo, neoliberismo, capitale, tecnologia e velocità, allo stesso tempo globalizzato ed etnocentrico. In questa situazione paradossale non rimane che credere nei miracoli affinché si avverino e mantenere il proprio spirito combattivo senza fare compromessi sul versante dei propri principi etici per si vive e lavora. Più sono le persone che condividono questo punto di vista, più il giornalismo lento solleva ondate di tempesta tra produttori e consumatori. I due livelli comunque si sovrappongono. Il giornalismo dei cittadini influenza il giornalismo professionale e viceversa.
Finché ci sono persone che inseriscono questo filtro etico nel loro lavoro, l’affermazione eclatante dell’editore tedesco Hubert Burda del 2014 secondo cui Solo con il giornalismo di qualità oggi nessun riesce più a campare non si dimostra veritiera. Infatti se qualcuno vuole permettersi la qualità, se la può anche permettere. Questa qualità corrisponde al mio tempo. Questa qualità è la mia etica. Per quanto duro possa sembrare: la morte del giornalismo di qualità e l’irruzione del nichilismo corrispondono alla mia rinuncia alla mia etica e al mio tempo come giornalista. Ed attribuire questo errore ad altri sarebbe un errore fatale, visto che esso è la conseguenza logica della mia decisione a favore della velocità quale dimensione estetica di una vita da giornalista da quattro soldi.
Al giornalismo lento ed etico di qualità va applicata la parola d’ordine di Gramsci secondo cui “Occorre invece violentemente attirare l’attenzione nel presente così come è, se si vuole trasformarlo. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”.
Il giornalismo lento diviene una vocazione, una convinzione di fondo, un atteggiamento etico esistenziale e una fede solidissima nella dignità ed eguaglianza di tutti gli esseri umani e dunque di tutti gli avvenimenti, indipendentemente dalla loro “declinazione”. Il giornalismo lento significa ricerca, approfondimento, responsabilità per la verità e comprensione etica del tempo. E chi ci crede, lo finanzia. In questo contesto entra il gioco il “capitale etico” dei produttori e dei consumatori. In questo modo, per quanto paradossale possa sembrare, il giornalismo lento non solo si ripaga, ma vale anche la pena.
Come giornalisti dobbiamo decidere di essere pessimisti ed ottimisti allo stesso tempo, voltando le spalle all’opposizione diametrale di queste due dimensioni.
[1] Vgl. Marinetti F.T., Manifesto del Futurismo, in „Le Figaro“, Parigi, 20 febbraio 1909, punto 4.
[2] Nei link trovate esempi di articoli da me redatti e pubblicati su queste tematiche.