“Le guerre contemporanee in 100 mappe” è un ottimo saggio che sintetizza l’evoluzione dei conflitti armati dal 1946 a oggi (A. Cattaruzza, www.leg.it, 2015, in francese 2014, euro 20, 192 p.).
Il generale prussiano Clausewitz sottolineava la natura politica dei conflitti. Per Cattaruzza oggi la guerra è anche simbolica e in parte economica per stabilire chi può gestire le fonti energetiche e idriche. La guerra non è un fenomeno “passionale, impulsivo e irrazionale. La sua origine non va ricercata, come si fa spesso, in odi millenari o in una pretesa inclinazione naturale dell’uomo [che in parte esiste: Etologia della guerra, Bollati Boringhieri, 1999]. No, il conflitto poggia innanzitutto su divergenze create e diffuse da soggetti politici. La propaganda di guerra è sufficiente a ricostruire un passato bellicoso, a individuare un nemico secolare e a mobilitare le masse in un combattimento che ognuno, a qualunque ambito appartenga, ritiene legittimo e vitale” (p. 11).
Tutti gli attori presenti in un conflitto si sono creati una rappresentazione sociale positiva: “si identificano e legittimano le loro azioni in nome di valori culturali o politici, storici o ideologici”. Per questo motivo oggi le guerre interstatali non sono aumentate. Sono invece aumentate le guerre intrastatali, probabilmente anche a causa delle forti pressioni demografiche.
Oggi le guerre sono distribuite nelle terre intorno all’equatore, nelle zone ad alta concentrazione di vita umana (si può visionare la cartina a pagina 22 e 23). Il Brasile è l’unico paese con una tradizione pacifica, forse perché si tratta di uno Stato federale omogeneo con ampie zone non abitate (c’è la foresta amazzonica). Invece il Messico e la Colombia risultano tra le nazioni più conflittuali e tra le nazioni che hanno avuto una forte esplosione demografica negli ultimi decenni.
Nel 2012 l’Università di Uppsala (la quarta città della Svezia), ha censito 31 conflitti: 22 conflitti intrastatali e un solo conflitto interstatale (gli altri sono conflitti intrastatali internazionalizzati). Probabilmente l’ultima guerra di conquista è stata quella tentata de Saddam Hussein in Kuwait e oggi la vera posta in gioco a livello nazionale e internazionale è il mantenimento della pace. Infatti ci sono vari equivalenti pacifici della guerra: “i negoziati, il compromesso, il rapporto di forza, la sottomissione o l’imposizione” (che non fa piacere a nessuno). Quindi i governi più moderni e più intelligenti sono quelli che investono nell’aumentare, nel selezionare e nel formare il personale diplomatico (ci vorrebbero criteri di selezione scientifici molto rigorosi applicati da psicologi).
Comunque la durata delle guerre è aumentata, “poiché se le guerre classiche si concludevano con trattati di pace… il mantenimento della pace si prolunga finché non si riesce a trovare una soluzione politica. Il conflitto assume allora connotati diversi (freno al ritorno dei rifugiati, discriminazioni, marcatura simbolica dei luoghi, eccetera)”. Le nuove guerre tra le popolazioni includono gruppi etno-politici, confessionali, mafiosi o altri (Rupert Smith, generale dell’armata britannica, The Utility of Force, 2005). Il confine tra combattenti e non combattenti è più difficile da identificare e la lotta contro la popolazione civile diventa una larga parte dei combattimenti.
In definita la “guerra è quindi una scelta delle parti in causa ed è completamente subordinata ad alcuni fini politici. La vittoria militare non è, però, sempre lo scopo voluto poiché, talvolta, può condurre a un vicolo cieco o, peggio, a una sconfitta politica”. Il caso della Siria è esemplare.
Amael Cattaruzza insegna Geopolitica all’Università Parigi-Sorbona. Nel 2015 ha pubblicato I Balcani in 100 mappe. L’altro volto dell’Europa (www.leglibreria.it, Gorizia).
Aurélie Boissière è geografa-cartografa indipendente. Lavora per www.courrierinternational.com.
Nota di gossip militare – A Pristina, in Kosovo, il generale britannico Mike Jackson e l’allora ufficiale James Blunt (oggi cantautore), disobbedirono al generale americano Wesley Clark, che aveva ordinato di attaccare i soldati russi (alla fine circondarono l’aeroporto). Dopo la crisi dei missili di Cuba e l’incidente informatico russo del 1983 (gestito in modo esemplare da Stanislav Petrov), questa è stata forse la terza occasione in cui si è sfiorata la Terza Guerra Mondiale.
Nota economica – Nonostante la crisi economica, nel settore militare “tra il 2002 e i 2010 le vendite delle 100 prime aziende mondiali sono cresciuta di quasi il 60 per cento” (p. 36). Le spese militari sono in calo in Europa e in Occidente, ma sono in forte aumento in Asia e in Medio Oriente (fonte Stockholm International Peace Research Institute, www.sipri.org).
Nota mediatica – La libertà di stampa è molto concentrata nelle regioni occidentali: Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Spagna, Portogallo, Svizzera, Austria e tutte le nazioni del Nord Europa. In tutte queste nazioni non esistono conflitti intrastatali da molti decenni. I Paesi dove la libertà di stampa è più minacciata sono anche quelli che spendono più soldi a livello militare. Di solito si trovano in Asia (Cina e India) e in Medio Oriente (la cartina è a pagina 162).
Nota italiana – In Italia la libertà di stampa è solo apparente: nel 2016 siamo scesi alla posizione 77 della classifica mondiale di Reporters sans frontieries. Il conflitto intrastatale si è trasferito a livello burocratico e generazionale. In questo rarissimo caso possiamo essere considerati all’avanguardia. In effetti la crisi industriale italiana è quasi la peggiore di tutti i tempi ed è in parte simile a quella vissuta intorno al 1945. Le industrie di ieri e di oggi sono state distrutte dalla globalizzazione, dalla troppa burocratizzazione e dalla cattiva tassazione (troppo alta e troppo concentrata al Nord). In molti regioni del Sud Italia, non ci sono controlli fiscali, si pagano poche tasse e non si investe.
Nota americana – Gli Stati Uniti dominano i media, la finanza, lo spazio, il ciberspazio, la guerra psicologica e sono una superpotenza presente con basi militari, aeree e navali in tutti i continenti. Nel 2012 il governo americano ha speso 671 miliardi di dollari a livello militare (la Cina 166).
Nota russa – La Russia è una superpotenza territoriale e nucleare. Il Paese ha una grandissima estensione geografica ed è praticamente inattaccabile. Date le grandi abilità matematiche degli informatici russi, la Russia domina anche lo spazio e il ciberspazio. Nel 2002 il governo russo ha speso 40 miliardi di dollari per la difesa, nel 2012 è arrivato a spendere più di 90 miliardi di dollari.
Nota sugli armamenti atomici – I paesi in grado di usare l’arma nucleare sono nove: Stati Uniti, Russia, Francia, Regno Unito, Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord. Uno “Stato che possiede un arsenale nucleare ottiene di per sé una forza di dissuasione a livello internazionale che lo protegge a priori da un attacco da parte di un altro Paese… chi non la possiede si trova automaticamente in posizione di debolezza… per porvi rimedio deve allearsi con una potenza nucleare. Infatti “nessuna guerra è stata dichiarata tra Stati nucleari e i loro “ombrelli nucleari” sembrano tenerne lontani anche i loro alleati” (Bruno Tertrais, politologo francese).
Nota personale – La ricerca di un nemico è uno degli obiettivi principali di un partito politico, così il gruppo dirigente può rafforzare la coesione interna e le leve del potere. L’individuazione di un nemico facilita la ricerca degli alleati. La guerra è una realtà parallela che si sovrappone alla vita reale, crea una forte attivazione emozionale e può creare una forte dipendenza (Le seduzioni della guerra. Miti e storie di soldati in battaglia, Joanna Bourke, storica anglosassone, Carocci, 2003).
Nota finale – Forse l’aumento dei conflitti interstatali è anche dovuto al fatto che la popolazione umana ha quasi raggiunto il suo punto di saturazione in quasi tutti i continenti. Gli esseri umani sono diventati troppi e anche se la popolazione umana non ha ancora raggiunto il suo limite, resta il fatto che un limite esiste, e che probabilmente ci stiamo avvicinando troppo in fretta a questo limite. Prima o poi la specie umana se ne renderà conto. O dovrà pagare un conto altissimo. E molti governanti europei capiranno tutto se scoppierà la guerra civile in Turchia, quasi 80 milioni di abitanti, o in Egitto, che ha quasi 90 milioni di abitanti (forse potrebbe bastare il disordine sociale).