Ricorreva ieri, domenica 17 aprile, la Giornata Internazionale di Solidarietà con i Prigionieri Palestinesi. Di loro si è tornato a parlare, recentemente, seguendo la battaglia del giornalista Al-Qeeq, che ha scelto, insieme a tanti altri prigionieri politici palestinesi, lo sciopero della fame come forma di protesta pacifica contro forme di detenzione ingiustificate da un punto di vista del diritto internazionale e lesive della dignità umana. Detenzioni che si accompagnano, infatti, ad interrogatori violenti a cui vengono sottoposti perfino i bambini, e a torture intollerabili che hanno lo scopo di spegnere qualsiasi tipo di resistenza, anche solo psicologica, al regime di occupazione.
Dopo l’occupazione israeliana della Cisgiordania nel 1967, i palestinesi accusati di reati in base alla legge militare israeliana e giudicati nei tribunali militari sono stati più di 800.000: tale cifra costituisce circa il 20 per cento del numero totale di palestinesi che abitano nei Territori Palestinesi Occupati (TPO), ovvero il 40% della popolazione maschile totale.
A seguito delle rivolte iniziate negli ultimi mesi del 2015 e che proseguono nel 2016, i prigionieri palestinesi sono in continuo aumento. Al primo marzo 2016 i prigionieri nelle carceri israeliane erano 7000, tra i quali: 700 prigionieri in detenzione amministrativa, 440 bambini (di cui 98 sotto i 16 anni), 68 donne, 6 membri del Consiglio Nazionale Palestinese (CNP), 343 prigionieri dalla Striscia di Gaza – spesso arrestati al valico di Erez, malati, quando rientravano dopo avuto il permesso di cura in Israele, 70 prigionieri dei territori occupati nel ’48, cioè Israele, 450 cittadini di Gerusalemme Est, e 458 condannati a vita. I prigionieri sono distribuiti in circa 17 prigioni, tutte, tranne una – il carcere di Ofer – all’interno di Israele, in violazione dell’Art. 76 della quarta Convenzione di Ginevra, per cui le forze di occupazione non possono trasferire i detenuti nel proprio territorio. La conseguenza pratica di questo sistema è che molti detenuti hanno difficoltà ad incontrarsi con i loro difensori palestinesi e a ricevere visite dai familiari perché ai loro parenti vengono spesso negati, per “motivi di sicurezza”, i permessi per entrare in Israele.
Israele è l’unico Paese al mondo dove i bambini palestinesi – e solo quelli palestinesi – vengono sistematicamente giudicati da tribunali militari, passando per trattamenti disumani. Ogni anno vengono arrestati e processati in questi tribunali tra i 500 e i 700 minorenni. Ad oggi, sono più di 400 i ragazzi detenuti in condizioni disastrose nelle prigioni israeliane di Ofer e Mejido.
Nel corso degli ultimi 5 anni, Israele ha nettamente intensificato le detenzioni arbitrarie dei bambini palestinesi e il 2015, in particolare, ha visto il più alto trend di arresti, ben 2.179, specialmente durante gli ultimi tre mesi dell’anno, quando ne sono stati detenuti 1.500. Lo scorso mese di marzo, invece, dei 647 palestinesi arrestati in Cisgiordania e a Gaza, i ragazzi erano 126.
Di solito, questi giovani vengono catturati ai posti di blocco o nel cuore della notte, ammanettati e bendati, per essere poi condotti, in un uno dei centri per gli interrogatori presenti in Israele.
Per protestare contro tutto questo, il 27 ottobre del 2013, dalla cella di Mandela a Robben Island, fu lanciata la campagna internazionale per la liberazione di Marwan Barghouti, eminente leader di Fatah, e di tutti i prigionieri palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane.
E mentre questa campagna prosegue, i gruppi per i diritti dei palestinesi, i parlamentari e le forze politiche della Palestina hanno appena lanciato una campagna parallela, per nominare Marwan Barghouti, condannato da Israele a cinque ergastoli di prigionia pur essendosi sempre dichiarato innocente, al Nobel per la Pace. “Questa candidatura è importante perché afferma che il popolo palestinese ha il diritto di liberarsi dall’occupazione israeliana” ha detto Fadwa Barghouti, avvocato e moglie di Marwan, di ritorno dal viaggio a Tunisi dove il parlamento locale ha annunciato il supporto alla candidatura per il premio. “Israele definisce Barghouti e gli altri prigionieri come terroristi; questa candidatura dice tutt’altro” ha aggiunto. “Non importa se Marwan vincerà o meno il premio, il fattore cruciale di questa vicenda è l’alto valore legale e simbolico di questa candidatura” ha detto Issa Qaraqe, capo della Commissione dell’OLP per i Prigionieri. “Tra pochi giorni, Marwan avrà passato quindici anni nelle prigioni israeliane” ha detto Azzam Al-Ahmad, a capo del blocco parlamentare di Fatah. “Israele cercherà di contrastare questa candidatura. Se le autorità sono in grado di imprigionare una ragazzina di dodici anni, allora di sicuro sono contro questa candidatura, perché hanno paura della pace” ha detto Al-Ahmad, in riferimento alla situazione attuale dei bambini prigionieri nelle prigioni israeliane.
In occasione della Giornata Internazionale di Solidarietà con i Prigionieri Palestinesi, l’Ambasciata dello Stato di Palestina in Italia ha partecipato alla commemorazione organizzata il 15 aprile dall’Associazione Amici della Mezzaluna Rossa Palestinese Onlus, dalla Comunità palestinese di Roma e del Lazio e dall’Associazione Amici dei Prigionieri Palestinesi, dove si sono voluti ricordare anche il giornalista e amico del popolo palestinese Vittorio Arrigoni, a 5 anni dalla sua uccisione a Gaza; e il leader palestinese Abu Jihad, assassinato dagli israeliani 28 anni fa a Tunisi, durante la prima Intifada.