Negli ultimi mesi la produzione complessiva di gas e petrolio negli impianti dell’ENI in Libia è attorno a 300/350 mila boe/g (barili olio equivalenti al giorno), il 20% della produzione totale dell’ENI. Al momento dell’ inizio del conflitto armato in Libia, nel primo trimestre del 2011, erano attesi 280 mila boe/g.. Nel 2014 furono in media 239 mila boe/g.
Attualmente sono in funzione gli impianti offshore (piattaforme marine), mentre sulla terra ferma è attivo solo il sito di Wafa, nella Libia occidentale, a qualche centinaio di chilometri dalla costa. Nella stessa porzione di Libia è fermo dal maggio 2015 il campo Elephant, entrato in attività nel 2004. Mentre nell’est del paese i campi sono chiusi dal luglio 2013 per il blocco dei terminal e in precedenza per “proteste delle comunità locali”. Nel 2015 sono stati scoperti anche due “significativi” giacimenti, “la vicinanza di queste nuove scoperte alle infrastrutture esistenti ne renderà possibile il rapido sviluppo”.
I contratti di esplorazione e produzione in corso sono validi fino al 2042 per quanto riguarda i liquidi e fino al 2047 per il gas.*
Da questi dati si vede che la produzione ENI in Libia è già superiore a quella esistente prima del conflitto e lo sarebbe in misura ancor più notevole se entrassero in attività anche solo una parte degli impianti ora fermi, ma sempre integri. Quindi dall’inizio della guerra non abbiamo perso posizioni rispetto agli altri paesi, abbiamo solo ritardato o momentaneamente fermato alcuni nostri progetti.
Intanto da tempo l’attivismo del governo Renzi in Libia è molto intenso, ufficialmente per fermare l’ondata migratoria dalle coste libiche verso l’Italia e per arginare i terroristi dell’ Isis, quantificati in poche migliaia di combattenti in un paese dove per anni hanno agito più di 1.000 milizie armate irregolari.
Il nostro paese è stato l’ultimo ad interrompere i rapporti diplomatici con il governo di ispirazione islamica del General National Congress di Tripoli, i cui esponenti – tra questi l’ex premier Ghwell e l’ex presidente del parlamento Abu Sahmani – ora sono colpiti dalle sanzioni dell’ Unione europea e degli Stati Uniti. Viceversa siamo stati i primi ad inviare il ministro degli esteri a Tripoli ad incontrare il nuovo premier scelto dall’Onu, al-Serraj, quando ancora non era stato riconosciuto come legittimo da nessun parlamentare dell’assemblea di Tobruk, dove ha sede l’altro governo libico che contendeva con le armi la guida del paese al GNC di Tripoli.
Negli stessi giorni il ministro degli Interni Alfano ha incontrato a Roma il suo omologo libico per parlare di immigrazione e il governo italiano ha presentato a Bruxelles il “Migration compact”, un piano per gestire le migrazioni in Europa dall’Africa, descritto dai media come simile al recente accordo tra UE e Turchia, con la Libia in un ruolo analogo a quello turco, cioè destinataria di fondi europei.
Inoltre il 15 marzo a Roma, all’ex aeroporto di Centocelle, ora Comando Operativo Interforze, si sono incontrati rappresentanti di 30 paesi per discutere dettagli dell’ annunciato intervento militare in Libia. L’Italia dovrebbe avere il comando della missione e la sede operativa dovrebbe essere proprio all’ex aeroporto di Centocelle. Per finire il generale dell’esercito italiano Serra è attualmente il consigliere militare dell’ incaricato ONU per la Libia, il tedesco Kobler.
La guerra alla Libia è stata, come sostengono molti, una guerra della Francia agli interessi italiani? Anche se questo fosse vero, il governo Renzi sembra aver fatto buon viso a cattivo gioco, e si sarebbe verificata una sorta di eterogenesi dei fini.
Il grande impegno governativo italiano è finalizzato solo ad arginare gli arrivi dei migranti e il terrorismo dell’Isis? Terrorismo che peraltro in Libia è assai difficile da riconoscere all’interno della feroce guerra in corso, dove tutti combattono contro tutti?
Io non ci credo. Viste tutte queste premesse, ritengo legittimo ipotizzare che governo Renzi e Eni, con la diplomazia e i militari, vogliano allargare il già notevole volume di affari in Libia e, con la morte e la distruzione che continuano a segnare il paese africano e che aumenterebbero in caso di presenza militare occidentale, considero questo un atteggiamento immorale e ipocrita.
Tuttavia, difficilmente i media si interesseranno seriamente delle strategie italiane nel paese libico perchè l’Eni, dall’immediato dopoguerra, è sempre stato attivissimo nel campo dell’informazione e comunicazione, e attualmente dedica alla sola comunicazione 200 milioni di euro, secondo l’ex A.D. Scaroni, così da affrontare meglio la concorrenza nel libero mercato dell’energia. Ma il rapporto tra Eni e informazione è un tema enorme che merita un approfondimento specifico. Ne riparleremo.
*La fonte dei dettagli delle attività ENI in Libia è il sito ufficiale della società, www.eni.com
Articolo originale su “Il Pane e le Rose”