Istituzioni sociali in Grecia e fuori stanno cercando di loro iniziativa di superare la confusione e le violazioni dei trattati internazionali causate dall’accordo del 18 marzo tra Unione Europea e Turchia, giunto mentre oltre 50.000 rifugiati e migranti erano intrappolati in Grecia per la chiusura della rotta balcanica.
La rappresentante della Commissione Europea Natasha Burton ha dichiarato in modo brutale che la Grecia deve riconoscere la Turchia come paese terzo sicuro, in modo da poter respingere i richiedenti asilo e rimandarli in Turchia. Alla domanda di un giornalista ha risposto provocatoria che “secondo l’opinione pubblica europea la Grecia può farlo.”
Nel frattempo secondo i dati dell’ACNUR dall’inizio dell’anno 711 persone sono morte annegate nel Mediterraneo, ossia una media di 7 al giorno, nonostante la presenza della NATO nel Mar Egeo. Sorgono di conseguenza questioni etiche sul modo in cui l’Europa considera queste vittime quotidiane, che misure prende per impedirle e quanto esse siano efficaci. Vale la pena anche di riflettere sull’influenza esercitata sull’opinione pubblica europea dai mass media e dagli opinionisti riguardo agli attacchi terroristici a Bruxelles, se li si paragona alla “distanza” con cui vengono percepite queste morti nel Mediterraneo e soprattutto nel Mar Egeo.
Sono iniziate le deportazioni di massa
In collaborazione con Frontex e la Guardia Costiera turca, le autorità hanno avviato deportazioni di massa dei rifugiati tre giorni dopo l’entrata in vigore della nuova legge greca.
Osservatori della società civile a Lesbo e a Chio esprimono seri dubbi sulla reale possibilità di chiedere asilo di cui hanno goduto le persone ormai deportate in Turchia. O non hanno potuto farlo, o, se ci sono riuscite, non è detto che la loro domanda sia stata esaminata in modo appropriato, per essere poi respinta. E’ dunque lecito chiedersi se l’attuazione dell’accordo tra Unione Europea e Turchia non stia violando fin dal primo giorno i trattati europei e internazionali che la Grecia è tenuta a rispettare.
L’avvio dei ricollocamenti in Grecia
Il deficit politico dopo la chiusura delle frontiere settentrionali e la mancanza di fondi europei per affrontare la crisi umanitaria sono in parte compensati dall’ACNUR. In Grecia, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha attivato negli ultimi mesi un progetto di ricollocamento in collaborazione con ONG quali Praksis, Arsis, Sunbeam, Nostos, Solidarity Now e con il Comune di Atene, mentre altre organizzazioni stanno per unirsi a questo sforzo.
Il programma comprende quattro modalità di alloggio (alberghi, buoni, appartamenti autonomi e ospitalità presso famiglie) e offre incentivi economici alle comunità locali che accolgono i rifugiati, contribuendo all’ondata di solidarietà che ormai da un anno si manifesta in Grecia in diversi modi. I ricollocamenti organizzati dall’ACNUR si aggiungono a quelli che il governo greco si è impegnato a realizzare nei confronti di altri paesi europei.
Azioni di solidarietà
Avvocati specializzati in diritti umani si stanno unendo per una difesa comune dei diritti di rifugiati e migranti, che l’applicazione della legge 4375/2016 sembra violare. Un esempio è costituito dalle dichiarazioni riportate nei social media dall’ONG Pleiades e dall’attivista e legale Electra-Leda Koutra.
Allo stesso tempo continuano le azioni di solidarietà nelle isole e sulla terraferma, mentre le autorità locali sono impregnate in una lotta contro il tempo. La settimana scorsa, ad esempio, il sindaco di Kyllini ha deciso di destinare un complesso residenziale all’accoglienza dei rifugiati. Viene lui stesso dalla Siria, dove faceva il medico, è stato consigliere comunale e nelle ultime elezioni è diventato sindaco. Inoltre 51 abitanti dell’isola di Chio hanno firmato una dichiarazione contro l’accordo tra Unione Europea e Turchia, definendolo “immorale e illegale”, mentre la “Carovana della Solidarietà” cretese ha consegnato cinque tonnellate di cibo e venti di generi di prima necessità per rifugiati e migranti a Rena Dourou, governatrice dell’Attica.
Al di fuori della Grecia lo slogan #RefugeesWelcome è stato proiettato sulle famose bianche scogliere di Dover, nel Regno Unito, mentre in Austria una manifestazione per l’apertura delle frontiere è finita con scontri con la polizia.
Miti e fatti su chi emigra
La confederazione di ONG per lo sviluppo Concord Europe ha pubblicato un utile strumento per sfatare dieci miti riguardo all’immigrazione. Davanti per esempio all’affermazione che “l’Europa non può accettare altri immigrati”, si spiega che l’84% del milione e più di persone arrivate in Europa (tra cui ci sono rifugiati, richiedenti asilo e migranti economici) viene da paesi dittatoriali o in guerra. Il diritto internazionale obbliga l’Europa a proteggerli. Secondo l’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 i rifugiati hanno il diritto di chiedere asilo e i paesi dell’Unione Europea devono accoglierli, senza rimandarli in zone dove la loro vita può essere in pericolo.
Traduzione dall’inglese di Anna Polo