Il caso Regeni ha scoperchiato una realtà terribile, che molti in Europa conoscevano, ma fingevano di ignorare: il regime di Al Sisi è un feroce stato di polizia, dove si registrano centinaia di casi di sparizione, migliaia di condanne a morte e decine di migliaia di arresti, dove la tortura e lo stupro sono pratiche abituali e la libertà d’espressione e manifestazione pacifica è pesantemente limitata.
Secondo il Centro El Nadeem per la riabilitazione delle vittime della violenza e della tortura, nel solo 2015 vi sono stati 464 casi di sparizione forzata e 1.176 casi di tortura, quasi 500 dei quali conclusi con la morte della vittima. E nel solo mese di febbraio 2016, i casi di tortura sono stati 88, otto dei quali con esito mortale.
A fronte di questa realtà spaventosa, si continua tranquillamente a fare affari con l’Egitto, con buona pace della proposta di risoluzione avanzata al Parlamento Europeo l’8 marzo, in cui si chiede tra l’altro “la sospensione di ogni forma di cooperazione per la sicurezza” con l’Egitto e si “deplora la vendita di armi all’Egitto da parte degli Stati membri dell’Unione Europea”.
Ignorando queste raccomandazioni, il presidente francese Hollande è appena stato in visita al Cairo con una sessantina di imprenditori, per concludere importanti accordi economici – si parla di uno scambio commerciale tra i due paesi di 2,6 miliardi di euro l’anno – soprattutto in campo militare. La vendita di armi riguarda 24 caccia multiruolo tipo ‘Dassault Rafale’ (per 5,2 miliardi di euro), una fregata Fremm, due portaelicotteri ‘Mistral’ (per 950 milioni di euro), un potente satellite militare e varie corvette.
E la Germania non è da meno: il suo scambio commerciale con l’Egitto vale 5 miliardi di euro e il vicecancelliere Gabriel è arrivato al Cairo con 120 investitori per ribadire il sostegno economico e politico tedesco al regime di Al Sisi.
E l’Italia? Secondo Giorgio Beretta dell’Osservatorio sulle armi leggere (OPAL) di Brescia nel 2014 ha fornito 30.000 pistole alle forze di polizia egiziane e nel 2015 ha inviato in Egitto altri 1.236 fucili a canna liscia, tutte armi utilizzabili per la repressione interna.
Davanti a questi dati, quale valore si può attribuire alle ipocrite assicurazioni di Hollande – “Ho parlato con il leader egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, di diritti umani, inclusi i casi del francese Eric Lang e dell’italiano Giulio Regeni” – e di Gabriel – “I casi di crescenti violazioni dei diritti umani in Egitto, come quello dello studente italiano, ci spaventano e ci preoccupano e danneggiano anche l’immagine dell’Egitto”?
In quanto all’Italia, sorge un dubbio: senza l’enorme ondata di indignazione suscitata dalla morte di Giulio Regeni e le adesioni alla campagna lanciata da Amnesty International e Repubblica, Renzi avrebbe preso una posizione ferma contro al Sisi, da lui definito in passato un “grande statista”? E possiamo fidarci che la mantenga, nel caso il clamore suscitato da questa storia terribile si attenui e il caso si areni nel pantano delle bugie e dei depistaggi egiziani?
L’unica possibilità di abbattere questo muro di gomma di ipocrisia e falsità sta nel mantenere la pressione e continuare a chiedere “Verità per Giulio Regeni” (e per tutte le altre vittime anonime di un regime che ha ormai superato gli orrori di Pinochet).
Foto di Dario Lo Scalzo