Una risposta all’emerito presidente Napolitano
Articolo di Pasquale Pugliese
Nell’intervento al Senato dell’8 marzo scorso Lei, emerito presidente Napolitano, dopo l’informativa del governo sull’annunciato intervento italiano in Libia, ha detto – tra le altre cose – che “non si può accettare l’idea che il ricorso alle armi sia qualcosa di contrario ai valori e alla storia italiana”, aggiungendo che “generare l’illusione che non abbiamo mai nel nostro futuro la possibilità di interventi con le forze armate in un mondo che ribolle di conflitti e minacce sarebbe ingannare l’opinione pubblica” ed anzi andrebbe a “sollecitare un pacifismo di vecchissimo stampo”. Le prime due osservazioni già gravi se pronunciate da un senatore della Repubblica, che disconosce i principi fondamentali della Costituzione italiana, sono gravissime in quanto affermate da un ex presidente della Repubblica, che della Costituzione avrebbe dovuto esserne il supremo garante. Rispetto al “vecchissimo pacifismo”, inoltre, potremmo essere d’accordo con Lei nella misura in cui condividesse con noi la prospettiva che esso vada superato in un nuovo – efficace e non ingenuo – pacifismo, non certo in un ancor più vecchio bellicismo. Come invece emerge dalle Sue parole.
Gli stessi Costituenti volevano superare un vecchio pacifismo che non era stato in grado di fermare due guerre mondiali e infatti, con l’articolo 11, posero le basi di un nuovo approccio al tema della pace e dei conflitti. Essi non erano ingenui irenisti, sapevano perfettamente che i conflitti internazionali non possono essere aboliti per legge, per cui compirono la lungimirante operazione culturale e politica di separare, con estrema chiarezza lessicale, il concetto di “guerra” da quello di “controversie”. La prima, la guerra, è da ripudiare – ossia letteralmente da rigettare con sdegno – le seconde, le controversie, sono da affrontare e risolvere con “mezzi” differenti dalla guerra che vanno opportunamente costruiti e preparati. Alla portata implicita di questa rivoluzione – che avrebbe dovuto dar fondamento, fin da allora, alla costituzione dei mezzi alternativi alla guerra – non fu dato alcun seguito politico e normativo, anzi il ripudio della guerra è stato aggirato fin da subito dai governi repubblicani con la continua, dispendiosa e crescente preparazione bellica.
Come Lei sa bene, emerito presidente Napolitano, un quarto di secolo fa, appena due anni dopo l’abbattimento del Muro di Berlino da parte dei popoli europei, non iniziava solo la “guerra del Golfo”, ma il ciclo ininterrotto di guerre che ha destabilizzato il pianeta fino a farlo precipitare nella “terza guerra mondiale diffusa” (papa Francesco). L’innalzamento dei nuovi muri che circondano l’Europa, e l’attraversano al suo interno, è la chiusura del cerchio di un periodo che si era aperto con grandi speranze di cambiamento e di pace. Invece – com’era già avvenuto per le guerre mondiali del ‘900 – la guerra è tornata rapidamente ad essere il principale strumento di politica estera. Anzi, l’aver affidato la ricerca di maggior sicurezza esclusivamente al mezzo militare ha trasformato questo nel periodo di maggior insicurezza globale da molti decenni a questa parte. Tranne che per i produttori di armi: solo questi ultimi non sono mai stati così sicuri dei loro stratosferici profitti, attraverso il passaggio nei loro bilanci privati di ingenti risorse sottratte ai bilanci pubblici, destinate alle guerre ed alla loro preparazione. L’automatismo scellerato del circuito guerra/terrorismo/guerra/terrorismo/guerra…fa sì che periodicamente si svuotino gli arsenali (come avvenuto per l’Italia proprio sul precedente intervento in Libia del 2011) e si rimpinguino con armi sempre più costose, mentre – intanto – le armi italiane sparano già in praticamente tutte le guerre del pianeta – contemporaneamente e indifferentemente – da tutte le parti in conflitto. Purché paganti.
Questo è il vero inganno dell’opinione pubblica, emerito presidente Napolitano. Del resto è stato lo stesso ex premier britannico Tony Blair ad aver ammesso, qualche mese fa, che il secondo intervento occidentale in Iraq, nel 2003, “basato” su pretesti totalmente infondati, fatti credere all’opinione pubblica internazionale (e per i quali Blair è stato messo sotto accusa dall’autorità giudiziaria del suo Paese) – e dal quale in realtà non siamo mai usciti – è all’origine del dilagare dei terrorismi fondamentalisti attuali, che colpiscono ormai non solo nei paesi islamici – con regolarità quotidiana – ma anche nei paesi europei, come è accaduto lo scorso novembre a Parigi. Le guerre, insomma, sono la causa del “ribollire di conflitti e minacce nel mondo attuale”, che Lei paventa, non certo la soluzione. Ribaltare i termini della situazione è un ulteriore inganno. Tuttavia, il tentativo di contrasto a quella folle avventura bellica è stato anche il momento più “forte” del movimento contro la guerra, che ha visto cento milioni di persone contemporaneamente in piazza in molte capitali del mondo. Lei avrebbe avuto ragione, emerito Presidente, se avesse ricordato che quello è stato anche il momento in cui il movimento contro la guerra ha mostrato la sua fragilità: nessun cacciabombardiere è stato fermato, le masse di manifestanti si sono presto dileguate e guerra e terrore hanno dilagato nello spazio e nel tempo. Invece ripropone il solito belicismo.
Oggi, emerito Presidente, Medioriente, Mediterraneo e Africa bruciano e chi pensa di fermare le fiamme con dell’altro fuoco è un folle. Tuttavia chi pensa di contrastare le guerre con qualche manifestazione è un ingenuo. Ora è tempo di fare un salto di paradigma: dall’inefficace movimento contro la guerra occorre passare – non ad un ancora più vecchio e tragico bellicismo – ma alla costruzione di un vero movimento per la pace, che sia capace di pianificare, contemporaneamente, cultura, politica ed economia di pace. Ossia è necessario passare da un generico pacifismo che si limiti a fare – al bisogno – qualche manifestazione contro la guerra e/o il terrorismo, pensando che solo queste possano servire a qualcosa, ad un nuovo impegno per la pace, all’altezza dei tempi, che sia fondante e prioritario rispetto a qualunque altro compito politico. Un movimento per la pace che – ricollegandosi ai fondamenti del nostro Patto costituzionale – agisca continuativamente e quotidianamente per il disarmo militare e culturale, per la costruzione delle alternative nonviolente alla difesa militare e all’intervento nelle “controversie internazionali”, nella riconversione dell’industria bellica in civile ed ecologica. Sono gli impegni che le Reti nonviolente e disarmiste hanno portato avanti in questi anni, attraverso campagne civili di mobilitazione e di informazione (da “Taglia le ali alle armi” a “Un’altra difesa è possibile”) e che adesso è tempo che diventino patrimonio comune – moltiplicandone l’impatto – di tutti i cittadini e dei movimenti politici contrari alle guerre e ai terrorismi.
Forse solo così riusciremo a liberarci dalla stretta tra solita follia bellicista e l’inefficace ingenuità pacifista. Senza ingannare più nessuno, emerito Presidente.