Mentre i grandi marchi dell’abbigliamento stanno cercando di recuperare l’immagine “erosa” dalle campagne di sensibilizzazione sulle sostanze tossiche usate in questo tipo di industria, sta prendendo piede quello che si chiama “abbigliamento biologico”. Si tratta di un settore relativamente nuovo, in Italia fatto di piccole realtà, che prevede l’uso di materiali e tessuti (cotone, canapa, ortica, lana, seta) provenienti da un’agricoltura non convenzionale che, come tale, non fa uso di sostanze chimiche di sintesi per trattare le colture.
La selezione delle materie prime nell’abbigliamento biologico prevede metodi di coltivazione naturali per preservare la qualità del suolo, per affrontare le malattie delle piante e controllare i parassiti e trasformare le materie prime adoperando tecnologie sostenibili attraverso una filiera economica equosolidale. Ma non si tratta solo di agricoltura: tutti i materiali provenienti dal mondo animale sono, anch’essi, prelevati in modo sostenibile ed etico. È il caso, per fare un esempio, della lana di pecora o di alpaca proveniente da allevamenti a chilometro zero ed etici, della seta Ahimsa o seta non violenta che non prevede l’uccisione in massa di migliaia di bruchi per produrre pochi grammi di seta tradizionale.
Ne abbiamo parlato con Teresa Celeste e Patrick Madiona, insieme anche nella vita da oltre trent’anni e ideatori di Terra Madre & Co, una piccola azienda di abbigliamento biologico e solidale di Massa Marittima, in provincia di Grosseto.
Quando vi è venuta l’idea di un’azienda di abiti biologici?
Abbiamo deciso di passare al biologico otto anni fa. Io ero un’appassionata di uncinetto e quando lavoravo, vedevo che i filati facevano le scintille provocandomi strane sensazioni alle mani. Ho iniziato a farmi delle domande e da lì è iniziata la ricerca. Poi siamo arrivati, dopo varie esperienze in questa direzione, in India. Avevamo la necessità di recuperare tessuti e filati all’origine. Siamo arrivati fino in Nepal e abbiamo visto le realtà dalle quali avremmo voluto arrivassero i nostri tessuti. Volevamo essere certi che la produzione all’origine fosse etica e sostenibile sia nei confronti dell’ambiente che delle persone e in particolare dei bambini. Siamo venuti a contatto con la produzione della seta Ahimsa, abbiamo avuto molte difficoltà per trovare produzioni di cotone biologico certificato. Abbiamo incontrato un produttore di lana Cashmere che ci ha aperto un vero e proprio mondo mostrandoci le realtà in cui viene prodotto.
Quali sono i valori fondanti della vostra piccola, grande azienda?
La sostenibilità ecologica e sociale.
Che cos’è la seta Ahimsa che usate per realizzare i vostri capi?
La seta Ahimsa è bellissima e rara oltre che non violenta. Per ottenere il filo di seta, nella lavorazione della seta comune, i bozzoli vengono gettati nell’acqua bollente per uccidere il bruco e spesso la seta viene trattata chimicamente. Per 250 grammi di seta si uccidono circa 3000 bruchi.
La seta Ahimsa, o non violenta, è prodotta senza uccidere i bachi. Proviene da bozzoli di seta tussah, seta selvaggia, l’unica seta adatta per i vegani o per tutti coloro che rispettano profondamente la natura, in quanto non si ottiene bollendo i bozzoli dei bachi da seta, ma si aspetta che questi abbiano completato la metamorfosi, volando via sotto forma di magnifiche farfalle dopo aver forato il bozzolo.
La vostra è un’azienda che produce biologico e anche equo e solidale?
Sì, infatti nella lavorazione della seta Ahimsa il filo, che normalmente può anche essere lungo fino a 900 metri, si spezza e viene rifilato manualmente con grande pazienza da una cooperativa di donne indiane, quindi oltre ad acquistare una seta naturale prodotta senza uccidere nessun animale si sostiene un’intera comunità di donne legate a un progetto sociale per uno sviluppo equo ed eco-sostenibile. La seta Ahimsa non è lucida come la seta comune, ma molto più morbida al tatto e sulla pelle ed è dotata di una sua particolare lucentezza. Prendiamo questa seta che viene prodotta in modo etico per creare i nostri modelli. Conosciamo personalmente le persone che lavorano in questo settore.
Dove prendete la lana di Alpaca?
C’è un allevamento di Alpaca a 30 chilometri da qui. La signora svizzera che ha questo allevamento e che ci ha fornito la lana, lo fa da anni con molta passione. Ci confezioniamo capi invernali che poi vendiamo anche attraverso il sito internet. La lana viene cardata e filata da lei stessa e poi venduta. Con gli altri produttori di biologico ci passiamo le informazioni sui produttori etici e sicuri da questo punto di vista.
Per i vostri capi usate anche i filati di ortica. Che cosa sono?
Si tratta di un tessuto realizzato a partire dalla pianta di ortica. È un filato sottilissimo e molto bello. Non solo ortica ma anche canapa. Dovremmo pensare a produrre colture sostenibili qui in Italia. La canapa viene prodotta soprattutto in Romania e in Cina. Vedo, in questo settore grosse possibilità anche di sviluppare lavoro nel nostro territorio. Usiamo anche il cotone. In Egitto c’è un’azienda che lo produce con l’agricoltura biodinamica, è morbidissimo e diverso dal cotone a cui siamo abituati.. Le produzioni alternative ci sono e vanno cercate con attenzione.
Quanti siete?
La nostra è una piccola realtà familiare. Ci sono anche delle amiche che sanno lavorare bene e con le quali ci sono delle collaborazioni ma si tratta di una realtà molto piccola. Abbiamo creato dei modelli con mia figlia che è interessata a continuare questo settore. Ci piace così e non ci siamo mai rivolti ai canali classici di distribuzione. A noi interessa di più la qualità della vita che deve venire prima di tutto. Se fossimo stati interessati a qualcosa di diverso saremmo partiti per Milano dove ci sono senz’altro più possibilità ma a noi piace vivere una vita a misura d’uomo, nel nostro territorio. La nostra è una passione per le tecniche e per la conoscenza ma non solo. Ad esempio il Macramè e i suoi nodi o l’uncinetto sono anche una meditazione profonda e non solo un modo di confezionare indumenti.
Come siete organizzati? Teresa, come crei le collezioni?
Abbiamo un laboratorio e un negozio che apriamo durante l’estate. Prima invece avevamo un negozio aperto tutto l’anno. Adesso abbiamo un sito e abbiamo iniziato a vendere anche on line. Non programmiamo una collezione vera e propria per l’estate e per l’inverno. Produco i miei capi quando ho il materiale giusto, con i colori che mi piacciono e con la giusta ispirazione senza preoccuparmi dell’estate o dell’inverno. Nel passaggio verso un abbigliamento biologico facemmo delle sfilate qui a Massa Marittima ma poi capimmo che era un’assurdità anche solo il fatto di creare i vestiti per l’anno successivo. Il mio pensiero da quel tipo di moda è molto lontano.
Chi sono i vostri clienti?
Il riscontro maggiore è con i turisti. Con la gente del luogo è stato più difficile. La gente all’inizio ci prendeva per pazzi e non era abituata a questo tipo di attività. Adesso ci sono anche clienti del posto e clienti italiani nonostante noi non abbiamo mai fatto molto per pubblicizzare la nostra azienda.
E i costi? I vostri prodotti sono più costosi rispetto alla media.
Tutto è relativo e pian piano la gente imparerà a capire la differenza tra un prodotto biologico e uno tradizionale.
Quali sono state le difficoltà?
C’è stata resistenza e timore intorno a noi all’inizio. Adesso però credo che la gente prima o poi inizierà a capire l’importanza di un prodotto naturale e biologico. Molte persone non sono ancora informate.
Chi vi ha aiutato all’inizio?
Giuditta Blandini che, a Firenze, è stata la prima ad occuparsi di abbigliamento biologico e l’azienda Altarosa. Sono state entrambe molto disponibili con noi.
È possibile una moda etica e sostenibile? E come vedi, Teresa, il futuro in questo senso?
Vedo un futuro bellissimo per la moda. Ogni donna dovrebbe avere il diritto di mettersi quello che le va. Questo significa esattamente moda etica e sostenibile. Non dovrebbe esistere la dipendenza da uno stilista. Ciascuna di noi è una stilista, con la sua creatività, il suo gusto e la sua personalità. Dobbiamo arrivare a cercare e a valorizzare questa creatività personale. Le donne per come le presenta la moda tradizionale sono tutte uguali mentre ogni donna è diversa e particolare. E come tale deve essere valorizzata. Pensando a tutte le lotte che le donne hanno fatto nel tempo, mi dispiace vedere che per la moda a cui siamo abituate, le donne siano presentate come se dovessero essere tutte uguali. La donna attraversa differenti età e momenti come la gravidanza o la maturità che comportano cambiamenti nel corpo. Ed è bello così.
Un modello che è tipico di Terra Madre?
Il Multidress, realizzato qualche anno fa. È un modello che si può indossare in molti modi diversi e ogni donna lo può mettere come desidera. È un pezzo semplice. Credo che la semplicità sia molto importante.
Riuscite a vivere con la vostra attività?
Noi lo facciamo su piccola scala e integriamo la nostra attività da un anno con l’ospitalità che offriamo su Airbnb. Adesso stiamo cercando di lavorare on line e abbiamo visto un piccolo incremento in questi ultimi mesi.
Quali sono i vostri prossimi progetti?
Sto pensando di rilavorare alcuni materiali recuperandoli e riutilizzandoli. Quindi un progetto di riuso e trasformazione anche dei materiali che si hanno senza buttare niente. Inoltre, mi piacerebbe puntare di più sulla canapa che è un tessuto naturale che va bene sia per l’estate che per l’inverno. Poi il nostro obiettivo è quello del chilometro zero. Ci sono adesso realtà in Italia che iniziano a pensare di produrre seta non violenta. Ci sono delle sperimentazioni in questo senso. Non è escluso che si inizi a produrre anche in Italia in questa direzione. Nella nostra vita personale, invece, c’è il progetto di vivere il più possibile in campagna e piantare alberi. È il nostro sogno nel cassetto.