Attorno alla pratica dell’affitto dell’utero si sono creati dei discorsi nei quali i confini del giusto e dell’ingiusto vengono confusi invece che distinti. C’è chi sostiene posizioni giuste per ragioni sbagliate (che è peggio che sostenere posizioni sbagliate per ragioni giuste).
Si mischiano questioni di nessuna attinenza, con le quali si mira ad altro dal dichiarato. Se il problema è l’utero in affitto, non lo sono le coppie dello stesso sesso, la presunta “naturalità” della famiglia monogamica eterosessuale, le unioni civili, l’adozione del figliastro e nemmeno i “diritti del nascituro”. Sono tutte cose che non c’entrano niente e chi le butta nella mischia rende un pessimo servizio al contrasto di questa pratica mercificatoria. Quindi lasciamo perdere i vari Sgarbi, Salvini, Santanché, Adinolfi – che mi dispiace essere qui costretto a nominare – cui non interessa minimamente della mercificazione del corpo femminile.
Chi è veramente contrario a questa nuova forma di prostituzione trova inaccettabile anche la prostituzione sessuale, la quale non deve essere regolamentata, per trasferire le schiave da gabbie sgangherate a gabbie pulite e dotate di comfort, ma proibita e debellata come in Svezia. Chi trova inaccettabile la vendita dell’utero di una donna trova inaccettabile qualsiasi altra commercializzazione del corpo e dell’immagine femminili, da quella della pubblicità a quella della moda, per cui la donna deve sempre esporsi, mostrarsi ed essere seducente. Nessuno dei suddetti, quindi, che accampa argomenti di nessuna attinenza e cerca di usare il dibattito sulla prostituzione uterina per altri scopi, rientra nella categoria dei nemici della mercificazione femminile. – Il diritto o meno degli omosessuali di adottare un figlio, non c’entra nulla con la prostituzione uterina, giacché a questa può ricorrere anche una coppia eterosessuale. Anche impedendo alle coppie omosessuali di adottare, il problema della prostituzione uterina resterebbe. – I presunti “diritti del nascituro” non c’entrano nulla. Il bambino non è la parte lesa, non c’è una “compravendita di bambini” come tendono a dire i cattolici estremisti, giacché il bambino può essere il figlio biologico di uno o di entrambi i genitori e non della donna gestante, che è solo un “tramite”, un contenitore umano del bambino che deve nascere. Se la madre fosse la gestante, come dicono i cattolici estremisti, il problema non sarebbe la prostituzione uterina, ma la sottrazione del figlio alla genitrice e quindi di tutt’altra natura. Invece la gestante si limita a mettere a disposizione il proprio utero di cui la coppia non dispone, ma non la facoltà riproduttiva. Questa è affidata alla tecnica che rende possibile la fecondazione dell’ovulo della madre o di una donatrice. Anche se il bambino fosse generato da una fecondazione totalmente esterna alla coppia (cioè da un donatore maschio e uno femmina) la gestante non sarebbe lo stesso la madre del nascituro: ella non è che, come si è detto, la portatrice del feto e la partorente del bambino. La relazione che intercorre tra la gestante e il figlio biologico o adottato della coppia, è la stessa che c’era, nelle vecchie famiglie aristocratiche, tra un bambino e la sua balia. Quest’ultima si prende cura del neonato, lo allatta, provvede a nutrirlo e a curarlo al posto dei genitori (l’allevamento dei figlio da parte dei genitori è un fatto prettamente culturale e storico) come fa la gestante con il feto, ma ciò non la rende la madre del nascituro. I diritti del bambino non sono violati in alcun modo, né, come si è detto, egli viene sottratto alla madre, né viene “venduto”, perché la coppia compra solo la facoltà gestante e partoriente di una donna, non il bambino, che resta loro figlio (biologico o adottivo non ha importanza). Non potendo la coppia portare avanti autonomamente una gravidanza, si rivolge a una donna esterna, la quale è responsabile solo della gravidanza in se stessa e non del concepimento, che invece avviene in laboratorio. Il bambino, di per sé, beneficia della prostituzione uterina, perché diversamente non potrebbe nascere. – Non c’entra nemmeno la presunta non-naturalità del procedimento. Purtroppo si continua a formulare giudizi sulla base del dualismo natura/artificio, che è inservibile per la società contemporanea. Innanzitutto la “natura” è pressoché impossibile da definire e, inoltre, non tutto ciò che è “contro natura” è necessariamente moralmente riprovevole. Praticamente tutta l’esistenza di ogni individuo è “contro natura”, perché la vita umana è culturale e l’uomo si distingue dagli altri animali per essere una specie culturale, non istintuale. Ad esempio, se fosse inventato un utero artificiale, una macchina che permetta di condurre la gestazione del feto in modo identico a quella naturale e senza danni per il bambino, cosa ci sarebbe di sbagliato? Non solo tante coppie incapaci ora potrebbero avere figli, ma le madri non sarebbero più costrette ad affrontare il travaglio della gravidanza (che è un trauma fisico e psicologico, per chi non l’avesse ancora capito). Non è naturale: e allora? Nessuno dei soggetti coinvolti sarebbe danneggiato e se ne ricaverebbe un beneficio importante per metà della popolazione. – Un altro degli argomenti che viene tirato in ballo è il seguente: “piuttosto che affittare un utero adottassero un bambino orfano!”. Anche in questo caso il bersaglio viene mancato clamorosamente. Chi sostiene ciò non si rende conto che questo, che vuole essere un argomento contro l’affitto dell’utero, diventa un argomento contro la riproduzione in generale. Perché le coppie “normali” non adottano bambini orfani invece di generare “normalmente” un figlio? Se si pensa che le coppie in grado di generare figli in modo “biologico” abbiano il diritto di decidere di farlo senza ricorrere all’adozione, lo stesso diritto deve valere per le coppie che non ne sono capaci, e dar loro quindi la possibilità di avere un figlio genetico attraverso la tecnica. L’unico soggetto che conta, nel caso della prostituzione uterina, è la donna gestante. Questa è costretta a vendere il proprio corpo per bisogno, venendo trattata come un oggetto in vendita. Viene usata come un mezzo per partorire figli. La sua intimità e la sua sfera privata vengono violate dal mercato. La sua “scelta” è solo formale, perché il bisogno la costringe a vendersi. Ma ella non vende soltanto una prestazione, come un salariato, ma ciò che nella nostra cultura appartiene all’ambito più intimo di una persona, ovvero l’apparato riproduttivo e la facoltà partoriente. La gravidanza è una fase dolorosa per la donna, che può essere accettabile solo quando è scelta in autentica libertà, non sotto la costrizione della necessità economica nascosta dietro la giustificazione della libertà formale. E’ questa e solo questa la ragione per cui la prostituzione uterina è un male da combattere, paragonabile solo a quella sessuale, una forma neo-schiavistica di rapporto sociale. Tutto il resto è solo un fastidioso rumore di fondo.