Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento di Giovanna Ubaldeschi del Partito Umanista al workshop “La sfida della democrazia diretta”, tenutosi a Milano il 19 marzo 2016.
Per introdurre l’argomento di questo incontro, vorrei provare a collocare la Democrazia Diretta all’interno del processo di sviluppo delle forme di governo che si sono succedute in questa civiltà occidentale, che faccio partire dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
Considerando il processo compiuto dalle forme di governo in questi 1600 anni, possiamo osservare una tendenza alla loro evoluzione. Siamo cioè in presenza di un processo evolutivo.
Secondo la visione del Nuovo Umanesimo, i processi evolutivi non si sviluppano in linea retta, né con tempi o accelerazioni costanti. Hanno un andamento ciclico. Sorgono, crescono, si sviluppano, declinano e si destrutturano. Quando si destrutturano, danno origine a nuove forme che ripetono lo stesso processo a un altro livello, di maggiore complessità.
Questi processi non sono disgiunti tra loro; gli elementi progressivi del passo precedente continuano in quello successivo e, in tal modo, i cicli non sono circoli chiusi, ma hanno piuttosto la “forma” di una spirale.
Una struttura si disintegra quando non può far fronte alle nuove situazioni che lo sviluppo le impone, mentre gli elementi più nuovi e di maggior forza si sviluppano a partire dal suo interno fino a rimpiazzare il sistema più vecchio.
Questo nuovo sistema è più complesso ed evoluto del precedente. Gli elementi più progrediti della fase precedente entrano a far parte del nuovo passo evolutivo, mentre si perdono gli elementi che non si adattano al cambiamento di situazione.
Quindi, tornando al nostro tema, possiamo vedere come anche le forme di governo si siano susseguite descrivendo cicli concatenati gli uni agli altri, con una tendenza al superamento dei momenti precedenti.
- Dalla la caduta dell’impero romano d’Occidente (V secolo) fino all’anno 1000 la forma di governo è quella del potere assoluto di tipo imperiale – monarchico – feudale – e ha un ciclo di circa 600 anni.
- Intorno all’anno 1000 in tutta Europa sorgono nuove forme di governo democratico a carattere borghese: i Comuni, mentre declina la forma feudale e si riduce il potere imperiale. Questo ciclo dura all’incirca 300 anni.
- Intorno al 1300 torna ad affermarsi una forma di governo autoritario: abbiamo le signorie, i principati e le monarchie assolute, ma con elementi innovativi rispetto al feudalesimo dovuti al peso acquisito della borghesia a scapito dell’aristocrazia.
- Alla fine del 1700 le rivoluzioni francese e americana segnano un ritorno al potere della borghesia, in forma più evoluta rispetto all’epoca dei Comuni: nascono le prime Repubbliche e, dopo alcune vicissitudini che, però, non mi pare costituiscano un nuovo ciclo, ma siano soltanto la manifestazione di resistenze alla trasformazione in atto (Napoleone, Restaurazione, moti della metà dell’800) si stabiliscono in tutta Europa le monarchie costituzionali e parlamentari del IXX secolo. La Rivoluzione Russa, seppure un secolo dopo quella Francese, si inscrive nello stesso processo di democratizzazione.
Il ciclo si chiude – crolla – con gli assolutismi del Novecento e la Seconda Guerra Mondiale. È durato meno di 200 anni.
- Dopo la guerra, si afferma nella grande maggioranza dei Paesi del mondo la democrazia rappresentativa a suffragio universale. È il momento della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Comincia un nuovo ciclo, molto breve, di forse 50 anni.
- Si arriva presto alla globalizzazione del potere in una società che ormai è planetaria. Siamo all’oggi. Le istituzioni democratiche tradizionali hanno perso progressivamente terreno a vantaggio di istituzioni politiche e finanziarie sovranazionali, non elette e non controllabili da parte dei cittadini. Stiamo vivendo in un nuovo assolutismo, questa volta mondiale. Quanto durerà questo ciclo? Con l’accelerazione che ha oggi la Storia, potrebbe durare ancora molto poco, qualche decina d’anni.
Intanto comincia a manifestarsi nella base sociale l’aspirazione alla Democrazia Diretta, come elemento in gestazione che darà una nuova impronta alla società del futuro, nel prossimo ciclo evolutivo.
La Democrazia Diretta come la intendiamo oggi non sostituisce la democrazia rappresentativa, ma la integra in modo che i cittadini possano esercitare maggiormente la propria sovranità e, secondo me, costituisce uno degli elementi di rinnovamento che troveranno sviluppo e piena attuazione quando il “sistema” – come si diceva in un tempo che pare già molto lontano – sarà caduto.
Oggi la Democrazia Diretta, nel mondo, si avvale fondamentalmente di due strumenti.
Il primo riguarda il diritto dei cittadini al controllo sull’operato dei propri rappresentanti politici. Nella terminologia internazionale è chiamato referendum confermativo, può essere facoltativo o obbligatorio.
Come funziona il referendum confermativo facoltativo? Dopo la deliberazione del Parlamento o di un Consiglio regionale o comunale i cittadini hanno a disposizione un breve periodo di tempo nel quale, tramite la raccolta di un dato numero di firme, possono richiedere un referendum sulla decisione presa.
Raccolte le firme, entro un periodo determinato la norma deve passare alla votazione generale: si tratta di una specie di diritto di veto dei cittadini sovrani nei confronti dei loro rappresentanti.
Quando una legge o una delibera viene respinta dalla popolazione tramite il voto referendario, ritorna all’assemblea legislativa che deve modificarla.
In Italia questo tipo di referendum non esiste, è previsto soltanto quello abrogativo.
Referendum confermativi obbligatori sono quelli che non devono essere richiesti dai cittadini, ma sono indetti automaticamente a norma di legge in talune circostanze. In genere i referendum obbligatori sono previsti in caso di revisioni totali o parziali della Costituzione (come quello a cui saremo chiamati in Italia).
Il secondo strumento della Democrazia Diretta è l’iniziativa popolare legislativa (definita anche semplicemente “iniziativa popolare”). Con l’iniziativa popolare i cittadini si fanno legislatori e possono presentare un disegno di legge al Parlamento o una proposta di delibera a un Consiglio. Il Parlamento o il Consiglio devono occuparsene e, nel caso che non venga approvata in quella sede, la proposta dei cittadini passa alla votazione di tutto l’elettorato.
In Italia, l’iniziativa popolare come atto propositivo di una legge da sottoporre al voto generale non esiste. Esiste la “proposta di legge di iniziativa popolare”, però tale proposta di legge non viene messa a votazione generale. È uno strumento partecipativo, ma non è vincolante. Gli organi deliberativi che la ricevono possono prenderla in considerazione oppure no e quindi anche insabbiarla.
Un altro importante mezzo di controllo degli eletti da parte della popolazione è il diritto di revoca di una carica politica. La revoca è lo strumento democratico che permette agli elettori di allontanare e sostituire un amministratore eletto. Oggi si deve aspettare fino all’elezione successiva per sbarazzarsi di amministratori incompetenti, bugiardi o irresponsabili. Il diritto di revoca è quindi un modo per ricordare agli eletti che sono dei dipendenti, dei rappresentanti dei cittadini, non i loro superiori.
Nel 1999 il Partito Umanista presentò alla Camera dei Deputati una proposta di Legge di Iniziativa Popolare, corredata da oltre 50.000 firme di elettori, intitolata “Norme sulla Responsabilità Politica”. Le “Norme sulla Responsabilità Politica” avrebbero obbligato gli eletti a rendere conto periodicamente del proprio operato agli elettori e dato a questi ultimi la facoltà di licenziare i propri rappresentanti, qualora essi non avessero rispettato gli impegni assunti in campagna elettorale. (applicabile al vecchio sistema elettorale nazionale per collegi e a quello attualmente in vigore per le elezioni comunali e regionali).
Ovviamente, non essendo obbligatorio discuterla, la proposta giace in Parlamento da 16 anni e non è mai stata presa in considerazione.
Infine, un ultimo importantissimo elemento per esercitare la Democrazia Diretta è l’assenza del quorum di partecipazione alle consultazioni referendarie.
I referendum non prevedono il quorum in paesi con una lunga storia democratica: Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Paesi Bassi, Islanda, Spagna, Malta, Lussemburgo, Finlandia, Austria, Svizzera.
Quando non c’è il quorum le parti lottano con tutte le energie per assicurarsi il voto, perché sanno che, indipendentemente dall’affluenza, il risultato sarà comunque valido. Quindi fanno informazione in TV, nelle radio, con i volantini, l’invio di lettere, organizzazione di convegni, assemblee ecc.. La gente, così informata, viene messa in condizione di decidere consapevolmente (il cittadino diventa “sovrano”). Chi ha interesse per il tema vota, chi non ha interesse accetta il parere degli altri.
Invece in Italia, grazie alla presenza del quorum, gli oppositori di un referendum mettono in atto la rivoltante pratica dell’invito all’astensione, per invalidare la consultazione – cosa appena fatta dai vertici del PD in riferimento al referendum contro le trivellazioni nell’Adriatico.
La presenza del quorum di partecipazione è del tutto ingiustificata, anche tenendo conto del fatto che In Italia non è previsto il quorum nel referendum confermativo per le modifiche costituzionali e neppure nelle elezioni di qualsiasi livello.
Quindi, riassumendo: referendum confermativo, iniziativa popolare, revoca delle cariche politiche e abolizione del quorum sono gli strumenti di cui si avvale oggi la Democrazia Diretta per integrare quella Rappresentativa e la conquista di questi mezzi di espressione della sovranità popolare è un passo imprescindibile verso una democrazia che non sia meramente formale.
Ritengo probabile che non passerà molto tempo prima che anche in Italia possiamo avvalerci degli strumenti che ho appena citato e che esistono da decenni in altri paesi, perché nella base sociale si sente una grande insofferenza verso le forme della democrazia puramente rappresentativa e cresce la richiesta di partecipazione e di influenza sulle scelte politiche al di là del voto.
C’è un grande fermento di comitati e di iniziative autorganizzate in tutti i campi, fenomeni spontanei refrattari alla manipolazione ed estremamente critici nei confronti della gestione sempre più verticistica della cosa pubblica.
È come se si stessero aprendo nuovi orizzonti nella coscienza umana, in questa epoca in cui declinano le strutture organizzative ereditate dal ‘900 e si affermano nuovi centri di potere, sovranazionali e del tutto incontrollabili. Qualcosa che, in piena destrutturazione sociale, comincia a mettere in discussione l’individualismo e torna a costruire comunità di azione critica.
Non dubito che, a breve, la pressione che viene dal basso sfocerà nelle modifiche legislative di cui oggi stiamo parlando. Pur sempre nel contesto dell’assolutismo attuale, chi detiene il potere verrà incontro alla richiesta della base concedendo un po’ più di partecipazione, ma si assicurerà che le aree su cui tale potere si fonda restino saldamente nelle sue mani. Mi riferisco alla politica economica, a quella tributaria e a quella estera come minimo.
Però non importa, la gente comincerà ad esercitare un maggior potere decisionale (seppure in campi non nevralgici) e questo preparerà il passo successivo, che si potrà compiere pienamente soltanto dopo che l’assolutismo di oggi si sarà indebolito e dissolto.
Non vorrei essere fraintesa: la battaglia per gli strumenti della Democrazia Diretta cui accennavo prima è importantissima e richiede le nostre migliori energie, benché pensiamo che la loro conquista non costituisca un punto di arrivo, ma un passaggio intermedio verso una forma ancora più evoluta di organizzazione sociale e politica.
Ora, per terminare, vorrei provare ad abbozzare un’immagine di questa forma più evoluta di organizzazione che, lo ripeto, corrisponde al mondo che verrà quando l’attuale assetto autoritario e imperialista (l’impero della finanza) sarà declinato.
Noi Umanisti crediamo che un giorno si supererà completamente la delega del potere a rappresentanti eletti e che ogni persona lo eserciterà direttamente all’interno di ambiti territoriali ristretti e coordinati tra loro.
Crediamo che il potere sarà decentrato e che ogni collettività locale dialogherà con le altre per trovare soluzione ai problemi comuni.
Certo, per fare questo non basterà la consultazione permanente della popolazione (per la quale i mezzi tecnologici non mancheranno – esistono già adesso); sarà necessario comunque eleggere dei rappresentanti, a cui però verrà delegata esclusivamente la funzione di coordinarsi con i rappresentanti delle altre collettività.
Allora lo Stato non sarà più un’entità lontana che governa il popolo dall’alto, più o meno benevolmente; sarà uno Stato Coordinatore, l’insieme dei cittadini che, dal basso, cooperano per il bene comune. Questa nuova forma organizzativa è ciò che noi chiamiamo Democrazia reale.
Quando tutto questo accadrà è difficile dirlo, ma in ogni caso, per come lo interpretiamo noi, il processo va in questa direzione. Nel frattempo, l’azione giusta e coerente è quella che cerca di dare forma alle aspirazioni dell’essere umano di oggi, per avanzare verso assetti organizzativi ogni volta più democratici e partecipativi, preparando il mondo del futuro.