«Il lavoro delle Nazioni Unite per raggiungere un accordo solido e stabile sul Governo [in Libia] è ancora in pieno svolgimento. Abbiamo bisogno di una soluzione equilibrata e duratura. Solo a quel punto potremo valutare – sulla base della richiesta di un governo legittimato – un impegno italiano, che comunque avrebbe necessità di tutti i passaggi parlamentari e istituzionali necessari. Dunque questo non è il tempo delle forzature, ma della prudenza, dell’equilibrio e del buon senso».
Così scrive il presidente del consiglio nella sua e-news del 5 marzo. Non sono d’accordo, perché non basta; e di fronte all’orribile precipizio della guerra, dire che non basta, equivale a dire che non va bene. Non è sufficiente una soluzione equilibrata, prudente, eventualmente – solo formalmente – legittima. È necessario impegnarsi a non intervenire militarmente, a ribadire in tutte le sedi che l’azione militare non è un’opzione percorribile, che non si può rispondere al caos (esacerbato dalle nostre guerre) con la guerra (con la quale si pretende di porre argine al caos).
Mi torna in mente, a tal proposito, la notevole relazione di Carlo Galli a “Cosmopolitica!”, la tre-giorni di nascita della “nuova sinistra”, del 19-21 febbraio, a Roma: in primo luogo, «il compito della sinistra, oggi, è convivere con il conflitto per superarlo; con una volontà di pace che non entri nella logica, obsoleta e ipocrita, della “guerra giusta” e che non cerchi di “esportare la democrazia” con la guerra, sapendo che è la giustizia che previene e neutralizza la guerra»; in secondo luogo, «noi vogliamo essere la sinistra che fa passare il “caos” in “cosmo”, il disordine in ordine, con la politica, in modo che si possa dire, con il Poeta, che nell’immensa città del sole, il caos, finalmente cosmo, con l’umana compagnia, gli uomini, “tutti fra sé confederati”» (G. Leopardi, “La Ginestra”).
Abbiamo il compito, allora, di attenerci rigorosamente e di pretendere altrettanto rigoroso rispetto dell’art. 11 della Costituzione Repubblicana; respingere l’idea e la pratica della “pacificazione”, l’imposizione di un ordine o di una pace decisa o pretesa da noi; rispettare senza deroghe la auto-determinazione, la libera scelta dei popoli in ordine alle forme del loro sviluppo e alle modalità del loro progresso. Dunque, prendendo ancora spunto da quella relazione, vi è bisogno di una “grande politica”: e nello scenario internazionale, di diplomazia, cooperazione, convergenza tra i popoli.
Per questo, se si tratta di un dovere repubblicano e di un cimento politico, allora è necessario che tutte le articolazioni repubblicane dicano all’unisono “no alla guerra”: respingendo la guerra e l’aggressione e rivendicando con forza la politica e la pace. Il 9 Marzo è in calendario la discussione in Parlamento proprio sulla Libia. Mobilitiamoci. Costruiamo iniziativa, azione, sensibilizzazione. Stendiamo documenti, volantini, ordini del giorno. Diamo una chance alla politica e alla pace.