Roma, anni ’90: la città si riempie di spazi sociali, luoghi più spesso di appartenenza del Comune, ma anche privati o statali che, dopo essere stati lasciati in abbandono, vengono occupati da gruppi di persone che li riportano in vita, facendone attività sociale e politica, nel tentativo di restituirli alla comunità.
Le scelte politiche saranno poi molto diverse per ognuno di essi, e anche le nomenclature varieranno, a seconda del tipo di gestione.
Alcuni posti risultano tuttora occupati, altri sono stati assegnati tramite contratti d’affitto, in seguito ad una delibera comunale, che riconosceva un valore legale agli spazi. E sono gestiti da associazioni che però, nella maggior parte dei casi, hanno un valore soltanto formale, e servono più che altro ad interagire con l’istituzione, senza inficiare il carattere indipendente di questi posti. Ciò che infatti dovrebbe accomunare tutti gli spazi, è che questi dovrebbero essere gestiti autonomamente da tutti/e coloro che vi entrano. E le decisioni, prese collettivamente in assemblee accessibili a tutti/e.
Negli anni gli spazi sociali hanno appoggiato lotte sul territorio – sia nazionale che locale – si sono fatti promotori di un certo tipo di cultura indipendente e tenuta solitamente ai margini, hanno proposto nuovi stili di vita, in contrasto col sistema capitalista imperante.
Dentro gli spazi nascono infatti le ciclofficine, o i gruppi d’acquisto solidali, si propongono musicisti o artisti che non sono citati nelle prime pagine dei quotidiani, si fanno laboratori di musica, teatro, sport, a prezzi popolari per tutti/e, sisp.so.ro tengono corsi di lingua per stranieri.
Nonostante ciò, oggi i centri sociali romani attraversano una fase di profonda crisi, e rischiano seriamente di chiudere.
Il comune di Roma, rimasto al verde, ha deciso di riprendersi tutti i posti che in passato aveva assegnato rimettendoli a bando, ed escludendo le varie associazioni nate nel tempo dalla possibilità di partecipare alla gara. Col risultato che, luoghi che servivano a promuovere iniziative sociali, andranno a finire nelle mani di aziende che li utilizzeranno a scopi privati o, in uno scenario ancora peggiore, resteranno abbandonati, e il comune dovrà spendere ulteriori soldi per tenerli in piedi.
Per di più tutto ciò avviene in una città commissariata, dove non ci sono più rappresentanti locali che riconoscono l’importanza sociale di spazi come questi, e dove invece, chi amministra temporaneamente la città per conto dello Stato, ha avviato una vera e propria repressione, scoraggiando qualsiasi tentativo di difesa o di riappropriazione degli spazi, con minacce di sgombero e operazioni di polizia.
Ma c’e` probabilmente anche un altro motivo per cui oggi gli spazi sociali si trovano in estrema difficoltà.
Col tempo infatti, le varie assemblee che li gestivano, si sono molto chiuse in sé stesse, interagendo e comunicando poco con l’esterno. Di modo che questi spazi, sono diventati sempre meno punti di riferimento per i quartieri in cui si trovano, a volte diventando anzi corpi estranei rispetto ad essi.
Non c’è stato così un vero e proprio ricambio generazionale, e anche tra chi è rimasto all’interno, è venuto meno l’entusiasmo di una volta.
Chiediamo pertanto a chi dall’esterno guarda questi posti con occhio critico e curiosità – ma anche a chi li vive dall’interno – di fare una seria riflessione, su quello che è il senso ed il significato di questi spazi oggi.
Allo stesso tempo chiediamo a chi sta dentro, di portare fuori quello che di più positivo e interessante, è stato prodotto in tutti questi anni dentro gli spazi sociali.
Nella convinzione che realtà come queste, hanno avuto in ogni caso una grande importanza nella storia recente di Roma, e che solo attraverso una sincera e profonda riflessione critica – sia da parte di chi ne sta dentro, che da parte di chi ne sta fuori – potranno rinnovare e potenziare il loro impatto e la loro influenza reale, sulle dinamiche storiche, sociali e culturali di questa città.
CUSA – Umanesimo Anarchico http://cusa.noblogs.org