Il padre oggi: ponte tra generazioni o papà-peluche? Presenza o assenza? Nella metamorfosi delle relazioni e delle famiglie e dopo le conquiste femminili, come viene vissuto e interpretato il ruolo del padre?
A colloquio con DANIELE NOVARA
Tutti noi, a qualsiasi età, in qualsiasi condizione, abbiamo bisogno di un padre, che può non coincidere sempre e per forza con il genitore, con il padre anagrafico, biologico, putativo, ma il padre che desideriamo, che amiamo, a cui affidiamo noi stessi per una crescita, per una personale formazione, in empatie di affinità e affetto, può essere anche un amico, un compagno,un collaboratore,un fratello, una guida spirituale, un maestro, una persona che abbiamo incontrato durante il nostro cammino e che ci ha aperto le porte del mondo, della socialità, dell’accoglienza, dell’introspezione. La paternità come la maternità consistono in generatività e creatività di vita che dà vita, nella sacralità dell’esistenza di ogni essere vivente.
Il padre continua ad essere il grande assente nell’educazione dei figli. Terrorizzato dalla paura di replicare le orribili gesta degli antichi padri-padroni, si è accucciato in un angolo con la sola intenzione di far divertire i figli ed avere con loro un rapporto gradevole se non amicale senza alcuna resistenza pedagogica. Al lordo delle tante eccezioni comunque presenti di padri che stanno scommettendo sul loro ruolo educativo, sta crescendo una generazione di figli orfana di una paternità reale, senza smancerie inutili né servizievolezze, ma carica viceversa di coraggio e voglia di affrontare la vita. “Ognuno cresce solo se sognato” diceva Danilo Dolci, una frase che è un vero e proprio programma per un riscatto profondo della figura del padre.
Ne parliamo con Daniele Novara, pedagogista, fondatore del CPP- Centro PsicoPedagogico per l’Educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza e direttore della Scuola Genitori
I padri di ieri e quelli di oggi: cosa hanno in comune?
Negli ultimi dieci, vent’anni, ma con un’accelerazione negli ultimi cinque, si è creata una situazione storicamente molto inedita: i padri hanno iniziato a condividere il codice materno e anche le funzioni materne. Già nel 2000 avevo fatto un piccolo sondaggio negli asili nido: tutti i padri cambiavano i pannolini ai figli. Si trattava di una situazione scarsamente percepita dalle educatrici di una certa generazione, che non si rendevano conto che la situazione stava cambiando molto rapidamente. Pertanto negli ultimi anni il padre è diventata una figura di affiancamento alla madre, piuttosto che una figura definita in maniera specifica sotto il profilo educativo: quello che sa fare la mamma, sa fare anche il padre. Questo può essere positivo, ma non si capisce bene qual è il ruolo del padre, se non quello di far divertire i bambini. C’è stata anche una campagna molto forte, dal punto di vista mediatico, sul tema del giocare con i figli, cosa carina e anche un po’ folkloristica, in quanto i bambini hanno diritto a giocare con i coetanei e non con i genitori e che il ruolo del padre non si può esaurire in quello di portare i figli a Gardaland.
Nel mio libro “Dalla parte dei genitori”[1], ho coniato il termine “papà peluche”, che non lascia dubbi sulla mia preoccupazione di pedagogista. Questa intercambiabilità rischia di creare orfanità paterna nei nostri figli e l’orfanità paterna in adolescenza è qualcosa di estremamente dannoso. Per cui oggi, specialmente in Italia, ma non solo, ci troviamo con dei figli iperaccuditi, iperprotetti, ipergestiti, ipercontrollati, ipersgridati, tutto nella logica del codice materno.
Nei parchi gioco i genitori litigano tra loro per i litigi tra i figli. Abbiamo i dati più critici in Europa sull’andare da soli a scuola da parte dei nostri bambini, soltanto il 7% nelle elementari, soltanto il 32% nelle scuole medie. Quando all’estero vedi un bambino sul passeggino a 4 anni, sei sicuro che è italiano. È diventato quasi un riconoscimento etnico. È un eccesso, che poi si paga duramente.
Autorità e autorevolezza: il rapporto con il padre è vissuto in modalità differenti dal maschile e dal femminile insito in ogni essere umano. Quando la paternità può diventare patologica?
Questa è una domanda interessante. I ruoli sono negativi se si irrigidiscono. Altrimenti i ruoli ci vogliono. Devono essere flessibili, ma la mancanza di ruolo è estremamente dannosa per i figli. Anche sulla questione della intercambiabilità, non c’è niente di male se il materno è condiviso, quello che è problematico è che da un lato il paterno non è condiviso, perché non emerge, dall’altro in questa situazione c’è proprio un’assenza di paterno. In alcuni casi, quando il padre è proprio scomparso, dico alle mamme che in adolescenza devono fare il padre. Ho seguito tantissimi casi in cui la madre è rimasta da sola e in adolescenza non riesce a fare il padre finendo col trovarsi dentro a problemi sostanzialmente insuperabili. Non si può mandare in soffitta il paterno. E neanche, quando c’è, tenere il padre in panchina durante l’adolescenza dei figli. Un ruolo può essere flessibile, ma ci deve essere. È assolutamente auspicabile che i padri di oggi abbiano quella natura educativa di ascolto, di gestione di regole chiare, piuttosto che di ordini o comandi. Non devono strapazzare i figli, ma aiutarli a crescere. Ma se si occupano solo di farli divertire o di dargli un po’ di soldi quando li richiedono i figli perdono un prezioso punto di riferimento[2].
Il passato della nostra storia contemporanea ha in sé un valore implicito. Un padre nella nostra attualità dovrebbe porsi come ponte di una memoria storica valoriale per le future generazioni. Quale è il suo ruolo in tal senso?
Questa generazione di padri si trova a dover riscattare due grandi vessazioni storiche: le vessazioni sui bambini, una crudeltà che si è protratta per millenni e che sostanzialmente era gestita proprio dal padre, il cosiddetto “padre padrone”, quello che menava, quello che la madre diceva: “Se non stai buono lo dico al papà” e in quel momento si creava il terrore. Ma anche la vessazione verso la donna: il patriarcato, il maschilismo, la misoginia appartengono storicamente proprio alla relazione tra gli uomini e le donne. Questa generazione se l’è trovata addosso con la necessità di riscattare quello che è avvenuto nei secoli precedenti. Il peso così forte, dal punto di vista storico, caricato su una sola generazione, crea una reazione di difficoltà, di fragilità, per cui normalmente i padri si rifugiano nella morbidezza, nel dire: “Ok, non devo più essere un padre padrone, un compagno misogino, la cosa più semplice risulta diventare il più morbido possibile, un tenerone, anche un po’ amico dei figli”. Penso che le donne, nella loro femminilità profonda, non amino questa deriva. Occorre riconquistare una virilità non vessatoria, non discriminatoria verso le donne, una virilità che rappresenti valori di coraggio, di responsabilità, di ascolto.
Quale allora il ruolo del padre? Il padre ha un ruolo di sponda. La sponda è una metafora molto semplice, consente il contenimento, ma consente anche di prendere il largo. Queste sono le due funzioni paterne, contenere sul piano normativo, quindi mettere delle regole chiare e la seconda caratterizzazione importantissima è quella del coraggio, di consentire di prendere il largo e affrontare la vita, mettersi nelle esperienze con la forza necessaria, tirando fuori tutte le proprie risorse, tutte le proprie energie. Per cui il padre crea quell’ostacolo maieutico che permette ai figli di fare esperienze importanti ed evolutive. Un esempio molto semplice, invece di diventare un genitore bancomat, come fanno i genitori che danno i soldi a richiesta, dare una paghetta e dire al figlio: “Questa settimana hai 5 euro, organizzati”.
[1] D. Novara, Dalla parte dei genitori. Strumenti per vivere bene il proprio ruolo educativo, Angeli, Mi, 2014 (13esima risstampa)
[2] Ho trattato questi temi nel cap. 3 del libro Urlare non serve a nulla. Gestire i conflitti con i figli per farsi ascoltare e guidarli nella crescita, BUR Rizzoli, MI, 2015 (6° edizione).
Articolo originale: Mosaico di Pace