Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.

Discorso sulla Costituzione di Piero Calamandrei, 26 gennaio 1955.

 

La Costituzione della Repubblica italiana nasce dalla Resistenza del popolo italiano contro il nazifascismo. Sono presenti le tre anime la comunista, la cattolica e la liberale che parteciparono alla lotta e sono le componenti fondanti di questo Documento, che va ancora applicato nella sua interezza e non modificato o distrutti in alcune parti vitali.

 

UN PRECEDENTE: IL TENTATIVO DI MODIFICARE L’ART. 138 DELLA COSTITUZIONE

L’approvazione il 23 0ttobre scorso al Senato del Disegno di Legge costituzionale che istituìil comitato per le riforme costituzionali fu un temerario atto di forza del governo delle larghe intese che colpì la Resistenza

La modifica/manipolazione dell’articolo 138 non fu un atto ordinario, ma rappresentò la demolizione del cardine della nostra Costituzione così come è stata pensata dai costituenti dopo la lotta di liberazione dal nazifascismo. Questo atto stravolge la Costituzione trasformandola da quadro rigido garante della civile convivenza in flessibile strumento nelle mani di questa maggioranza politica. L’unica parola che definisce una simile forzatura è golpe bianco; un cambio di regime dall’alto, che avvenne alle spalle e sulla testa del paese.

IL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO LETTA IN SINTESI DICEVA QUESTO:

  • prevedeva che per cambiare il procedimento di revisione costituzionale elaborato dall’Assemblea costituente del 1946 fosse sufficiente un comitato parlamentare la cui composizione era stata pensata sconfessando qualsiasi criterio di effettiva rappresentanza delle diverse forze politiche;
  • conteneva disposizioni del tutto contrastanti con i Regolamenti di Camera e Senato;
  • attribuiva al Governo il potere di avere sempre l’ultima parola sulle modifiche proposte dal Parlamento, il quale veniva completamente esautorato delle sue prerogative (volevano passare da un bicameralismo ad un semi-presidenzialismo);
  • dimezzava i tempi di approvazione delle modifiche costituzionali

 

UN COMPORTAMENTO EMBLEMATICO DELLA CASTA POLITICA CHE TENTÒ ALLORA DI AFFOSSARE LA COSTITUZIONE: QUELLO DELLA SENATRICE LAURA PUPPATO.

Puppato partecipò alla manifestazione nazionale del 12 ottobre 2013 a Roma, indetta da Rodotà, Landini, Don Ciotti, Carlassare ed altri in difesa della Costituzione. Un sua intervista rilasciata a Fabio Luppino ed apparsa su Globalist dell’8 ottobre porta il titolo, Puppato: il PD ascolti la piazza di Rodotà. Lo stesso giorno dell’evento La via maestra, a chiusura dell’assemblea da lei organizzato della Rete dei Comitati “Per un’altra idea di mondo” e poco prima di andare in piazza ha affermato: «Perché oggi? Perché è un anno che ci ha permesso di contaminare la politica italiana con un’altra idea di progresso, di società, di civiltà. Un’idea che meglio si coniuga con quella Costituzione che molti ritengono debba essere soprattutto realizzata più che cambiata.»

Pochi giorni dopo il 23 ottobre in aula del Senato, convinta da Anna Finocchiaro, votò si alla modifica dell’art. 138.

Un doppiogiochismo dannoso visto che per soli 4 voti l’approvazione della legge è passata con i 2/3 previsti dalla stessa Costituzione per impedire il referendum confermativo previsto.

Nell’ intervista rilasciata il 24 ottobre a Il Manifesto, nella significativa rubrica Democrack, affermò di avere da un si critico e che sarà la sentinella delle riforme. Dichiarazione significativa della “capacità” del personaggio di giustificare perché dice una cosa e ne fa un’altra. Puppato è ora a favore della riforma della Costituzione.

VITTORIA DEL MOVIMENTO 5 STELLE: LA COSTITUZIONE E’ DI TUTTI

Il 12 dicembre 2013, Il Movimento 5 Stelle vinse la sua battaglia contro i partiti che volevano derogare, in maniera illegittima, l’art. 138 della Costituzione dimezzando i tempi di approvazione delle modifiche costituzionali, all’insegna del paradosso per cui cambiare la Costituzione sarebbe stato più facile che approvare una legge ordinaria.

In particolare, l’art. 138 prevede una procedura più lunga e complessa rispetto a quella ordinaria che si giustifica alla luce del fatto che la Costituzione, al vertice della scala gerarchica delle fonti del diritto, contiene i principi fondamentali su cui si regge la Repubblica. Questo rigore ha la finalità di scongiurare il rischio che in tempi difficili e sull’onda dell’emergenza prevalgano le decisioni unilaterali ottenute con la forza.

COSA DICONO GIURISTI E COSTITUZIONALISTI DELLA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE

Lo scorso ottobre 2015 i giuristi e costituzionalisti Gaetano Azzariti, Lorenza Carlassare, Gianni Ferrara, Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Massimo Villone hanno dichiarato:

La proposta di legge costituzionale che il senato voterà oggi dissolve l’identità della Repubblica nata dalla Resistenza. È inaccettabile per il metodo e i contenuti; lo è ancor di più in rapporto alla legge elettorale già approvata.

Nel metodo: è costruita per la sopravvivenza di un governo e di una maggioranza privi di qualsiasi legittimazione sostanziale dopo la sentenza con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del «Porcellum». Molteplici forzature di prassi e regolamenti hanno determinato in parlamento spaccature insanabili tra le forze politiche, giungendo ora al voto finale con una maggioranza raccogliticcia e occasionale, che nemmeno esisterebbe senza il premio di maggioranza dichiarato illegittimo.

Nei contenuti: la cancellazione della elezione diretta dei senatori, la drastica riduzione dei componenti – lasciando immutato il numero dei deputati – la composizione fondata su persone selezionate per la titolarità di un diverso mandato (e tratta da un ceto politico di cui l’esperienza dimostra la prevalente bassa qualità) colpiscono irrimediabilmente il principio della rappresentanza politica e gli equilibri del sistema istituzionale.

Non basta l’argomento del taglio dei costi, che più e meglio poteva perseguirsi con scelte diverse. Né basta l’intento dichiarato di costruire una più efficiente Repubblica delle autonomie, smentito dal complesso e farraginoso procedimento legislativo, e da un rapporto stato-Regioni che solo in piccola parte realizza obiettivi di razionalizzazione e semplificazione, determinando per contro rischi di neo-centralismo.

Il vero obiettivo della riforma è lo spostamento dell’asse istituzionale a favore dell’esecutivo. Una prova si trae dalla introduzione in Costituzione di un governo dominus dell’agenda dei lavori parlamentari.

Ma ne è soprattutto prova la sinergia con la legge elettorale «Italicum», che aggiunge all’azzeramento della rappresentatività del senato l’indebolimento radicale della rappresentatività della camera dei deputati.

Ballottaggio, premio di maggioranza alla singola lista, soglie di accesso, voto bloccato sui capilista consegnano la camera nelle mani del leader del partito vincente – anche con pochi voti – nella competizione elettorale, secondo il modello dell’uomo solo al comando.

Ne vengono effetti collaterali negativi anche per il sistema di checks and balances. Ne risente infatti l’elezione del Capo dello Stato, dei componenti della Corte costituzionale, del Csm. E ne esce indebolita la stessa rigidità della Costituzione.

La funzione di revisione rimane bicamerale, ma i numeri necessari sono alla Camera artificialmente garantiti alla maggioranza di governo, mentre in senato troviamo membri privi di qualsiasi legittimazione sostanziale a partecipare alla delicatissima funzione di modificare la Carta fondamentale.

L’incontro delle forze politiche antifasciste in Assemblea costituente trovò fondamento nella condivisione di essenziali obiettivi di eguaglianza e giustizia sociale, di tutela di libertà e diritti. Sul progetto politico fu costruita un’architettura istituzionale fondata sulla partecipazione democratica, sulla rappresentanza politica, sull’equilibrio tra i poteri.

Il disegno di legge Renzi-Boschi stravolge radicalmente l’impianto della Costituzione del 1948, ed è volto ad affrontare un momento storico difficile e una pesante crisi economica concentrando il potere sull’esecutivo, riducendo la partecipazione democratica, mettendo il bavaglio al dissenso.

Non basta certo in senso contrario l’argomento che la proposta riguarda solo i profili organizzativi. L’impatto sulla sovranità popolare, sulla rappresentanza, sulla partecipazione democratica, sul diritto di voto è indiscutibile.

Più in generale, l’assetto istituzionale è decisivo per l’attuazione dei diritti e delle libertà di cui alla prima parte, come è stato reso evidente dalla sciagurata riforma dell’articolo 81 della Costituzione.

Bisogna dunque battersi contro questa modifica della Costituzione. Facendo mancare il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti in seconda deliberazione. E poi con una battaglia referendaria come quella che fece cadere nel 2006, con il voto del popolo italiano, la riforma – parimenti stravolgente – approvata dal centrodestra.

Nei giorni successivi hanno deciso di sottoscrivere altri giuristi e costituzionalisti, tra cui:

Giuseppe Ugo Rescigno, Mauro Volpi, Domenico Gallo, Alessandra Algostino, Gastone Cottino, Alessandro Torre, Pasquale Beneduce, Francesco Ferrante, Valeria Marcenò, Costanza Margiotta, Giulio Itzcovich, Fabio Longo, Marco Fioravanti, Marco Giampieretti, Ida Dominijanni, Laura Ronchetti, Alfonso Di Giovine, Claudio De Fiores, Nicola Vizioli, Fabrizio Amato, Andrea D’Angeli, Michele Di Bari

IN ITALIA STA CRESCENDO IL MOVIMENTO CHE SI OPPONE ALLA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE.

Partecipano organizzazioni come l’ ANPI, l’ ARCI, partiti politici, movimenti, Associazione Nazionale Giuristi Democratici ed altri, costituiti per la maggior parte in Comitati per Il NO.  I motivi poi per dire NO sono molti: la riforma non supera il bicameralismo, lo rende più confuso, non semplifica i procedimenti, anzi, non diminuisce i costi della politica, conserva il potere centrale a danno delle autonomie, limita la partecipazione diretta dei cittadini, il decreto è confuso, è una riforma illegittima prodotta da un parlamento eletto con una legge elettorale (Porcellum) incostituzionale, è stata dettata dal Governo non dal Parlamento, non garantisce l’equilibrio dei poteri costituzionali, non garantisce la sovranità popolare ed altro ancora.