Ammonta a quasi 79 miliardi di dollari il budget finanziario che il governo israeliano ha destinato alle forze armate nei prossimi cinque anni; la metà di essi serviranno a implementare il cosiddetto “Piano Gideon” finalizzato ad accrescerne le capacità di combattere contemporaneamente in più teatri di guerra, “con un arsenale militare idoneo a protrarre gli interventi sia lungo il confine settentrionale con il Libano e la Siria che in altre aree conflittuali come la Striscia di Gaza, la West Bank o in Iran”. Secondo quanto dichiarato dal portavoce del ministero della difesa israeliano, il “Piano Gideon” prevede un’elevata prontezza, un’esemplificazione organizzativa, avanzate capacità di combattimento aereo, marittimo, terrestre e sottomarino, nuove infrastrutture “per rendere più efficiente il controllo delle frontiere”, tagli agli organici del personale militare professionale o di leva, dei servizi di supporto e di quelli non legati direttamente alle operazioni di guerra. Gli strateghi militari di Tel Aviv puntano poi a sviluppare le performance dei centri strategici e delle reti informatiche, creando un Joint Cyber Command che centralizzi tutte le operazioni “offensive” d’intelligence e di raccolta dati sino ad oggi assegnate a diversi soggetti militari. Con il “Piano Gideon” sarà ulteriormente potenziata la dotazione missilistica avanzata grazie all’acquisizione di nuove batterie del sistema di difesa aerea “Iron Dome”, all’installazione dei nuovi sistemi anti-missile a corto e medio raggio “David’s Sling” e “Arrow-3”, all’ammodernamento dell’“Arrow-2” già operativo da alcuni anni, ecc..
Una parte consistente dei finanziamenti per il nuovo piano di riarmo israeliano giungerà ancora una volta dagli Stati Uniti d’America. Nel 1997 Washington ha sottoscritto un accordo con Tel Aviv che ha autorizzato sino ad oggi il trasferimento di “aiuti” militari per oltre 30 miliardi di dollari, mentre altri 3,1 miliardi giungeranno entro la fine del 2018. Quasi un terzo di questi fondi sono “investiti” nel campo della ricerca e dello sviluppo dei nuovi sistemi d’arma; ad essi vanno aggiunti i finanziamenti USA riservati ad alcuni programmi strategici che vedono ad esempio le aziende statunitensi e israeliane cooperare nella progettazione e produzione di nuovi sistemi missilistici e/o spaziali, non compresi tra gli “aiuti” annuali alle forze armate d’Israele. Un contributo rilevante allo sviluppo dell’arsenale di morte israeliano è giunto pure dall’Unione europea: nel solo biennio 2012-13 i Paesi UE hanno concesso licenze per l’esportazione di armi ad Israele per 983 milioni di euro, mentre due dei maggiori gruppi industriali nazionali produttori di armi (Elbit Systems e IAI – Israel Aerospace Industries), hanno avuto modo di partecipare – tra il 2007 e il 2014 – a progetti di ricerca finanziati dall’Unione europea per un valore di 244 milioni di euro.
Israele tra i maggiori mercanti di morte al mondo
Gli imponenti aiuti finanziari USA e UE, sommati alle crescenti risorse che le autorità di Tel Aviv destinano al complesso militare-industriale nazionale per la ricerca, la sperimentazione e la produzione di sistemi d’arma, hanno consentito ad Israele di collocarsi tra i primi dieci esportatori di armi al mondo. Nell’ultimo decennio, il ministero della difesa ha autorizzato più di 400.000 licenze di esportazione a circa 130 paesi stranieri. Nel 2012, l’anno record dell’export di armi israeliane, il valore totale delle esportazioni è stato di 7,4 miliardi di dollari (+20% rispetto al 2011). Più di un terzo del fatturato è stato generato dal trasferimento di armi a paesi dell’area Asia-Pacifico, mentre quasi un miliardo di dollari è giunto dal mercato nord americano. Nel 2013 l’export di armi israeliane si è attestato in 6,54 miliardi di dollari, mentre l’anno successivo si è ridotto a 5,66 miliardi, il valore più basso negli ultimi sette anni. Secondo il governo israeliano, la riduzione del fatturato sarebbe dovuta ai tagli ai programmi di acquisizione di nuovi sistemi bellici e alla riduzione dei bilanci della difesa negli Stati Uniti e in buona parte dei paesi europei. Nello specifico, nel 2014 le aziende israeliane hanno sottoscritto contratti per 937 milioni di dollari in Nord America, 724 milioni in Europa, 716 milioni in America latina, 318 milioni in Africa e 2,96 miliardi in Estremo Oriente, Sud-est asiatico, India e Oceania. La riduzione delle esportazioni verso l’Asia e il Nord America è stata comunque compensata in parte dalla crescita di quasi il 40% delle esportazioni verso il continente africano. Sempre nel 2014, il National Cyber Bureau (NCB) ha registrato esportazioni nel settore cyber-informatico per un valore complessivo di 6 miliardi di dollari, con un incremento del 100% rispetto all’anno precedente. Secondo le prime stime ufficiali nel 2015 l’export in questo settore sarebbe ulteriormente cresciuto di 500 milioni. Nel campo informatico e dell’intelligence, dove sono inscindibili i legami tra il “civile” e il militare e sono inevitabili le ricadute belliciste e sicuritarie, Israele controlla oggi tra il 5 e il 7% del mercato mondiale delle produzioni e dell’export.
I maggiori produttori israeliani di armi sono principalmente industrie a capitale statale come IAI – Israel Aerospace Industries (holding con il fatturato record nel 2014 di 3,8 miliardi di dollari), IMI (Israel Military Industries), Rafael Advanced Defense Systems, anche se negli ultimi anni sta crescendo in termini di fatturato e dimensioni delle esportazioni il ruolo delle imprese private (in Israele quasi 7.000 imprenditori privati si occupano di export di armi). I colossi israeliani operano principalmente nel settore elettronico, aerospaziale e missilistico. Il gruppo Rafael, ad esempio, si è specializzato nella produzione di sistemi di telecomunicazione, radar e per la guerra elettronica; IMI (gruppo industriale per cui a fine 2013 è stato predisposto un piano di privatizzazione da parte del governo), produce in particolare armi leggere, fucili, mitragliatori, munizioni, tank, cannoni, artiglieria pesante. Elbit Systems, una delle maggiori aziende in mano ai gruppi finanziari privati, si è affermata invece nel campo delle cyber-war e delle tecnologie d’intelligence. Con un fatturato annuale poco inferiore ai 3 miliardi di dollari, Elbit Systems ha aperto una propria filiale a Fort Worth (Texas) con 1.800 dipendenti, ottenendo dal Dipartimento della difesa e dai principali gruppi industriali militari statunitensi importanti commesse per lo sviluppo degli elicotteri da combattimento “Apaches” e “Black Hawks”, dei cacciabombardieri F-35, F-16 ed F-15, di sistemi missilistici, laser, ecc..
Tra i prodotti d’eccellenza del complesso militare-industriale israeliano, compare innanzitutto il sistema anti-missili balistici “Arrow”, elaborato da IAI congiuntamente ai gruppi statunitensi Boeing, Lockheed Martin e Raytheon. La versione “Arrow 1” risale ai primi anni ’90, mentre l’“Arrow 2” è stato testato la prima volta nel febbraio 2014 nel poligono californiano di Point Mugu contro un bersaglio simulante un missile Scud. Il programma di cooperazione missilistica israelo-statunitense prevede lo sviluppo dell’“Arrow 3” con una gittata ancora più ampia e in grado di intercettare anche missili dotati di testate nucleari al di fuori dell’atmosfera terrestre. Il primo test dell’“Arrow 3” è stato condotto lo scorso 10 dicembre dalla base israeliana di Palmachim contro un missile bersaglio in volo sul Mediterraneo e che – nelle intenzioni di Tel Aviv – “simulava le minacce balistiche iraniane”.
Le forze armate stanno sperimentando inoltre il sistema di “difesa aerea” anti-missile “David’s Sling” basato sui nuovi missili “Stunner” co-prodotti da Rafael e Raytheon Company, con il rilevante contributo finanziario degli Stati Uniti d’America (286 milioni di dollari circa). Al progetto collaborano pure Elta Sytems (azienda d’elettronica avanzata controllata da IAI) ed Elisra (società controllata da Elbit Systems). Il missile a propellente solido “Stunner” può raggiungere la velocità di Mach 7.5 e operare sino ad una distanza di 300 km. Il primo test del “David’s Sling” è stato realizzato l’1 aprile 2015 in un grande poligono israeliano del deserto del Negev, a cui ne è seguito un altro alla vigilia di Natale, sotto la supervisione dell’Israel Missile Defense Organization e dell’US Missile Defense Agency. Secondo il Comando dell’Aeronautica militare israeliana, il nuovo sistema missilistico diverrà operativo entro l’aprile 2016. Il sito specializzato Analisi difesa spiega che “l’accelerazione al programma va inquadrata alla luce degli ultimi sviluppi nei negoziati sul nucleare iraniano e come effetto delle recenti tensioni, per altro annunciate, tra Israele ed Hezbollah, oltre che alla necessità di colmare quel segmento di difesa lasciato vuoto dal Kippat Barzel (Iron Dome), sistema contro razzi, colpi d’artiglieria e mortai che copre la fascia di bersagli lanciati da una distanza di 4-70 km, e dall’Arrow, il sistema ad alta accelerazione contro missili balistici a lungo raggio”.
Allo sviluppo del settore missilistico ha contribuito anche la consolidata partnership tra le industrie militari israeliane e quelle indiane. India e Israele hanno cooperato in particolare nella progettazione e produzione del sistema missilistico superficie-aria a lungo raggio (LR SAM), noto anche come “Barak-8”, destinato alle unità da guerra indiane di ultima generazione e testato per la prima volta il 29 e 30 dicembre scorso (il governo indiano ha speso più di un miliardo e mezzo di dollari per l’acquisizione di questo nuovo sistema). Il “Barak-8” si avvale di un avanzato radar a scansione elettronica prodotto da IAI e di vettori missilistici realizzati da Rafael Advanced Defense Systems. Nel febbraio 2015, India e Israele hanno pure sottoscritto un accordo di cooperazione per sviluppare congiuntamente un sistema missilistico terra-aria a medio raggio (MRSAM) per l’esercito indiano. Anche in questo caso gli investimenti previsti sfioreranno il miliardo e mezzo di dollari e le imprese israeliane “beneficiarie” saranno ancora una volta IAI e Rafael. Quest’ultima dovrà fornire alle forze armate indiane anche 321 lanciatori e 8.356 missili anticarro di quarta generazione “Spike”.
Satelliti e droni per le guerre globali del Terzo Millennio
Altro settore in cui le imprese militari israeliane hanno assunto una vera e propria leadership a livello internazionale è quello dei sistemi di telecomunicazione satellitare. Attualmente le IAI – Israel Aerospace Industries stanno sviluppando un piccolo satellite geostazionario dal peso di 2 tonnellate, denominato “Amos-E”, che consentirà lanci da vettori di dimensioni ridotte. Questo satellite è una miniversione dell’“Amos-6” dal peso di 5,3 tonnellate, che sarà lanciato in orbita nei primi mesi del 2016 da Cape Canaveral a bordo del vettore “Space-X Falcon 9”. Nel 2017 diventerà operativo pure il sistema satellitare “VeNUS” per il “monitoraggio della vegetazione e dell’ambiente terrestre”, cofinanziato dalle agenzie spaziali israeliana e francese. Sempre il gruppo IAI ha annunciato l’avvio da parte della controllata ImageSat International del programma per un nuovo satellite spia ad alta capacità di risoluzione, denominato “Eros-c”. Il nuovo satellite peserà meno di 400 kilogrammi e sarà lanciato nel 2018.
Altro settore estremamente rilevante in termini strategici e finanziari è quello degli UAV/UCAV, gli aeromobili senza pilota o droni. Israele è stato uno dei primi paesi al mondo a sperimentare e utilizzare velivoli da guerra senza pilota: le prime operazioni risalgono alla guerra in Libano nel 1982 e da allora non c’è stato conflitto scatenato dal governo in cui non siano stati utilizzati droni spia e/o droni killer. Israele utilizza costantemente i droni nelle attività di “sorveglianza” a distanza in tutto il territorio palestinese e per reprimere le manifestazioni e le azioni di resistenza popolare contro l’occupazione israeliana. Secondo il Centro Al Mezan, organizzazione per i diritti umani con sede a Gaza, più di un migliaio di palestinesi della Striscia di Gaza sono stati uccisi da velivoli senza pilota israeliani nel periodo compreso tra il 2000 e il 2010.
Nel maggio 2013 un rapporto della consulting statunitense Frost & Sullivan ha evidenziato come Israele sia divenuto il principale esportatore al mondo di velivoli senza pilota, superando i giganti aerospaziali con sede negli Stati Uniti e nell’Unione europea. Secondo Frost & Sullivan le vendite all’estero di droni israeliani hanno consentito un fatturato di 4,62 miliardi di dollari nel periodo 2005-2012. Il principale mercato degli UAV made in Israele è l’Europa, dove si registra più della metà delle esportazioni; seguono poi i paesi del Sud Est asiatico (il 33.3% dell’export), il Sud America, il Nord America e l’Africa. Per consolidare la leadership intercontinentale nel mercato dei droni, il gruppo IAI ha creato nel 2012 una vera e propria “accademia” specializzata nella formazione e nell’addestramento del personale militare israeliano e straniero destinato alle operazioni con gli aerei senza pilota.
Uno dei modelli che ha riscosso grande successo è l’“Heron”, drone prodotto da IAI e simile alla classe “MQ-1 Predator” in dotazione alle forze armate USA e italiane. In grado di volare ininterrottamente fino a 45 ore e a 30.000 piedi di quota, l’“Heron” è equipaggiato con radar modulari, sensori e attrezzature di telerilevamento altamente sofisticate per svolgere operazioni d’intelligence e sorveglianza contro obiettivi terrestri e marittimi; dalla guerra in Libano nel 2006 il velivolo è stato predisposto al trasporto di missili aria-terra convertendosi in uno spietato drone-killer. L’“Heron” è stato acquistato dalle forze aeree australiane, canadesi, francesi, indiane, tedesche e turche, mentre Brasile, Ecuador e Singapore hanno espresso l’interesse ad acquisirlo a breve termine. Anche la NATO sta prestando attenzione alle prestazioni tecniche del drone israeliano: nel luglio 2015, in particolare, sono state condotte in Israele le prove di funzionamento in volo a bordo dell’“Heron” del terminale di connessione dati TMA 6000 (prodotto dal gruppo francese Thales) e delle antenne di frequenza radio della israeliana Elisra. Il sistema TMA 6000, con una capacità di trasmissione fino a 137 Mb/s, è conforme al NATO Standard Agreement 7085, l’accordo che assicura l’interoperabilità secondo gli standard dell’Alleanza nella trasmissione in tempo reale di video, immagini ed altri dati d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento dai sensori di bordo alle stazioni terrestri.
Recentemente il ministero della difesa tedesco ha annunciato di voler prendere in leasing cinque velivoli “Heron TP”, la versione più moderna del drone, per impiegarli sino al 2025 nelle operazioni all’estero. Il contratto con IAI prevede una spesa poco inferiore ai 600 milioni di euro; inizialmente i droni saranno rischierati in alcune basi aeree israeliane e solo dopo il 2018 saranno trasferiti a Jagel, in Germania settentrionale, a disposizione dell’unità dell’aeronautica tedesca che con i cacciabombardieri “Tornado” opera attualmente in Siria con la coalizione anti-Isis. Le forze armate della Germania utilizzano da alcuni anni il “vecchio” modello “Heron 1” in Afghanistan, dove altri sei paesi della coalizione internazionale a guida NATO hanno schierato altri droni prodotti da aziende israeliane. L’“Heron” è uno dei velivoli senza pilota più utilizzati a livello internazionale per la vigilanza delle frontiere e in funzione anti-immigrazione. US SOUTHCOM, il Comando delle forze armate statunitensi per le operazioni in America centro-meridionale e nei Caraibi, lo impiega ad esempio per intercettare le imbarcazioni di migranti “illegali” o quelle utilizzate per il traffico di stupefacenti. L’Unione europea e l’agenzia Frontex per il “controllo” delle frontiere esterne Ue stanno valutando la possibilità di acquisire un numero imprecisato di “Heron” per usarli nella crociata anti-migrazione sferrata nel Mediterraneo.
Un altro drone-killer impiegato in occasione della sanguinosa operazione Protective Edge a Gaza è l’“Hermes 900” prodotto da Elbit Systems, una versione più sofisticata dell’“Hermes 450”, altro velivolo senza pilota d’attacco utilizzato dall’esercito durante il conflitto in Libano nel 2006 e contro obiettivi civili palestinesi a Gaza e Cisgiordania tra il 2008 e il 2009. I droni “Hermes 450” ed “Hermes 900” sono stati venduti alla Colombia (agosto 2012) e al Brasile (gennaio 2014) dove sono stati usati per reprimere le proteste popolari alla vigilia e durante i campionati mondiali di calcio. Nel dicembre 2013 Elbit Systems, in joint venture con il gruppo industriale Thales, ha sottoscritto un accordo con il governo britannico per la produzione del sistema a pilotaggio remoto “Watchkeeper”, a partire dallo sviluppo dei droni versione “Hermes 450”. L’accordo, per il valore di un miliardo di dollari, prevede la consegna di 54 velivoli. Nel novembre 2015 è stata la Svizzera a firmare un contratto di 200 milioni di dollari per l’acquisizione di sei “Hermes 900”; le autorità elvetiche si erano già dotate della stessa tipologia di droni nel novembre 2014 grazie a un contratto di 280 milioni di dollari.
Killer robot e radar contro migranti e oppositori
In Israele è pure rilevante la produzione dei mini-droni: tra i più venduti all’estero c’è lo “Skylark I”, anch’esso di produzione Elbit Systems, che può volare a medie altitudini sino a 6 ore consecutive, con un raggio di azione di 50-60 km. Lo “Skylark I” è impiegato da alcuni battaglioni dell’esercito israeliano a supporto delle unità di artiglieria (un esemplare è caduto nell’agosto 2015 durante un’azione bellica nella Striscia di Gaza); il velivolo è inoltre utilizzato dalle forze armate di Australia, Canada, Francia, Messico, Polonia e Svezia, ma probabilmente anche Croazia, Georgia, Macedonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria utilizzerebbero gli “Skylark” israeliani. Nel novembre 2015 pure il piccolo Uruguay si è dichiarato interessato ad acquistare questi mini-droni per “monitorare alcune aree di frontiera che potrebbero essere colpite da minacce terroristiche”. Sempre nell’ambito della produzione degli UAV di piccole dimensioni, va segnalato che nel giugno 2012 le autorità russe hanno sottoscritto un accordo con Israele del valore di 400 milioni di dollari, per avviare in Russia la produzione dei “BirdEye 400” e dei “Searcher 2” progettati e realizzati da IAI – Israel Aerospace Industries.
Elbit Systems e IAI hanno dato vita ad una joint venture (G-NIUS) a cui è stata affidata la progettazione di robot e velivoli terrestri a pilotaggio remoto per l’esercito israeliano, come ad esempio l’“Armored Personnel Carrier” utilizzato in combattimento a Gaza nell’estate 2014. Meno di due mesi fa, un altro velivolo terrestre senza pilota, il “Guardium II”, è stato presentato dalle due aziende in occasione dell’Autonomous Robotics Unmanned System Expo, la fiera internazionale dei velivoli da guerra a pilotaggio remoto tenutasi nella città di Rishon Le Tzion, a sud di Tel Aviv. Questo velivolo sarà dispiegato nei prossimi mesi al check point con Gaza, rafforzando ulteriormente i dispositivi di “controllo” della frontiera. Nel marzo 2014 ancora Elbit Systems ha annunciato la fornitura agli Stati Uniti d’America di una rete di sistemi radar antri-intrusione e sensori elettro-ottici da installare in Arizona alla frontiera con il Messico (valore 145 milioni di dollari).
Per le operazioni di “vigilanza” dei confini e dei centri urbani e la repressione di manifestazioni e proteste, le aziende israeliane hanno prodotto anche diversi modelli di “palloni aerostati” in grado di trasportare sofisticati sistemi di telerilevamento e registrazione. Tra essi spicca il sistema “Skystar 180” prodotto da RT LTA Systems Ltd, in grado di volare per più di 72 ore consecutive. Lo “Skystar” è stato utilizzato dalle forze armate israeliane durante le operazioni nella Striscia di Gaza nell’estate 2014 ed è stato venduto agli eserciti e alle forze di polizia di Afghanistan, Brasile, Canada, Messico, Russia, Thailandia e di alcuni paesi africani.
Israele si è affermata anche nella produzione di sistemi e apparati da impiegare a bordo degli aerei radar e per la guerra elettronica. Tra essi c’è il radar EL/M-2075 “Phalcon” di Elta Systems, già montato su varie piattaforme, dai Boeing 707 ai più moderni Gulfstream G550 ed Airbus A330. Le apparecchiature del “Phalcon” presentano caratteristiche tecniche che gli consentono di resistere a gran parte dei sistemi di disturbo elettronico attualmente in uso. Oltre che all’Aeronautica militare israeliana, il radar EL/M-2075 è stato venduto alle forze aeree di Cile e Singapore. Altro modello di “successo” prodotto da Elta Systems è il radar tridimensionale ELM-2084 utilizzato con il sistema di “difesa” aerea e anti-missile “Iron Dome”. Nell’ambito dell’accordo di cooperazione militare-industriale sottoscritto nel novembre 2011 dai ministri della difesa israeliano e canadese, qualche mese fa è stata formalizzata la decisione da parte dello stato nordamericano di dotarsi di dieci nuovi radar a medio raggio (MRR) che saranno coprodotti da Elta Systems e Rheinmetall Canada Inc., proprio a partire dal modello ELM-2084. Il contratto, del valore di 243 milioni di dollari, prevede che i nuovi radar con capacità di aereo-sorveglianza contro caccia, missili, razzi, proiettili d’artiglieria e colpi di mortaio siano consegnati alle forze armate canadesi a partire del 2017.
Anche l’Italia ha acquisito i radar di Elta Systems per implementare la Rete di sensori di profondità per la sorveglianza costiera della Guardia di finanza in funzione anti-sbarchi di migranti in Sicilia, Puglia e Sardegna. Si tratta nello specifico di una decina di impianti fissi e mobili EL/M-2226 ACSR (Advanced Coastal Surveillance Radar), acquistati grazie alle risorse del “Fondo europeo per le frontiere esterne”, programma quadro 2007-08 contro i flussi migratori. Già impiegati dalle forze armate israeliane per la “vigilanza” di alcuni porti mediterranei, i radar EL/M-2226 ACSR hanno una portata di oltre 50 chilometri e sono appositamente progettati per individuare imbarcazioni veloci di piccole dimensioni. Sino ad oggi l’installazione delle postazioni fisse è stata bloccata in Sardegna grazie alle azioni di lotta e ai ricorsi al TAR dei Comitati No radar ed Italia Nostra; in Sicilia, il radar anti-migranti installato a Melilli (Siracusa) non ha ancora ottenuto l’autorizzazione all’accensione per l’alto pericolo di inquinamento elettromagnetico, mentre altri due impianti radar sono stati attivati invece nell’isola di Lampedusa.
Italia e Israele, soci e alleati
Il complesso militare-industriale israeliano è sicuramente uno dei più affidabili partner strategici dell’Italia. Negli ultimi quindici anni, in particolare, la cooperazione industriale e l’import-export di sistemi da guerra sono cresciuti notevolmente e pericolosamente. Nel settembre 2001, l’impresa israeliana BVR Systems ottenne ad esempio un contratto del valore di 7,1 milioni di dollari per realizzare un simulatore missioni per il caccia MB-339 prodotto da Alenia Aermacchi (gruppo Finmeccanica). L’anno seguente, l’Italia acquistò da Elbit Systems alcuni sistemi missilistici ad alta precisione che furono destinati ai caccia dell’Aeronautica. Il 16 giugno 2003 fu stipulato il patto d’acciaio Roma-Tel Aviv con la firma del “memorandum” d’intesa in materia di cooperazione militare. Il “memorandum” regola la reciproca collaborazione nel settore difesa, con particolare attenzione all’interscambio di materiale di armamento, all’organizzazione delle forze armate, alla formazione e all’addestramento del personale e alla ricerca e sviluppo in campo industriale. L’accordo quadro prevede inoltre la realizzazione di “scambi di esperienze tra esperti delle due parti” e la “partecipazione di osservatori a esercitazioni militari”. Esso è stato approvato con voto quasi unanime del Parlamento italiano nel maggio 2005 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 7 giugno dello stesso anno.
Per il boom nell’interscambio di sistemi bellici si dovrà attendere il 2012. In quell’anno l’Aeronautica militare italiana decise infatti di dotare i propri elicotteri EH101 e gli aerei da trasporto C27J “Spartan” e C130 “Hercules” con il nuovo sistema di contromisure a raggi infrarossi DIRCM co-prodotto dall’azienda Elettronica e dall’israeliana Elbit Systems, con una spesa complessiva di 25 milioni e mezzo di euro. Fu pure raggiunto l’accordo per armare gli elicotteri d’attacco AW-129 “Mangusta” di AugustaWestland (Finmeccanica) con i missili aria-terra a corto raggio “Spike” dell’israeliana Rafael. Con una gittata tra gli 8 e i 25 km, gli “Spike” possono esseri equipaggiati con tre differenti tipologie di testata bellica a secondo dell’uso: anticarro, antifanteria e per la distruzione dei bunker.
Sempre nel 2012 Israele decise di sottoscrivere l’accordo preliminare per l’acquisto di 30 caccia M-346 “Master” di Alenia Aermacchi da assegnare alle Tigri volanti del 102° squadrone dell’Aeronautica per la formazione dei piloti dei cacciabombardieri. Successivamente denominato dagli israeliani “Lavi” (leone in ebraico), l’M-346 è il velivolo da addestramento “più avanzato oggi disponibile sul mercato ed è l’unico al mondo concepito appositamente per i piloti destinati ai velivoli militari ad alte prestazioni di ultima generazione”, come affermano i manager del gruppo Finmeccanica. “Per la sua flessibilità, può essere configurato come un accessibile advanced defence aircraft per ruoli operativi. Il sistema integrato d’addestramento dell’M-346, oltre al velivolo, comprende anche un esaustivo Ground Based Training System che permette all’allievo pilota di familiarizzare con le procedure e anticipare a terra le attività addestrative che poi svilupperà in volo”.
Grazie al caccia-addestratore italiano, gli allievi pilota israeliani possono prepararsi all’utilizzo delle sofisticate tecnologie presenti sui più importanti cacciabombardieri internazionali (F-15, F-16, Eurofighter, Gripen, Rafale, F-22, ecc.) e di quelli di “quinta generazione” come i Lockheed Martin F-35A Joint Strike Fighter, i cui primi esemplari giungeranno in Israele entro la fine del 2016 (Tel Aviv ha firmato un accordo con gli Stati Uniti per l’acquisizione di 20 F-35 per un valore di 2,75 miliardi di dollari, con un’opzione per altri 55 velivoli). I “Lavi”, però, non sono solo caccia-addestratori: armati con bombe e missili possono essere convertiti anche per attacchi contro obiettivi terrestri e navali. “Dall’inizio del programma – spiega Alenia – il velivolo M346 è stato concepito con l’aggiunta di capacità operative, con l’obiettivo di fornire un aereo da combattimento multiruolo molto capace, particolarmente adatto per l’attacco a terra e di superficie compreso il CAS (Close Air Support), COIN (COunter INsurgency) o anti-nave, nonché le missioni di polizia aerea”.
Il giro d’affari della commessa dei caccia si attesta intorno al miliardo di dollari. L’accordo ha previsto che l’assemblaggio dei “Master” sia svolto nello stabilimento Alenia Aermacchi di Venegono Inferiore (Varese); l’azienda italiana cura inoltre parte della logistica e le attività di manutenzione e riparazione degli M-346 nel Ground Training Center realizzato da Elbit Systems e IAI – Israel Aircraft Industries nella base aerea di Hatzerim, a una decina di chilometri da Be’er Sheva, nel deserto del Negev. Esistono però altre vantaggiose contropartite per le industrie israeliane: Elbit Systems, ad esempio, ha sviluppato una parte dei simulatori di volo e i software dei “Lavi” che consentono ai piloti di esercitarsi alla guerra elettronica, all’individuazione delle installazioni radar nemiche e all’uso di sistemi d’arma avanzati. Elbit ha pure messo a punto i futuristici elmetti da combattimento Targo per gli allievi piloti con un’altissima risoluzione d’immagine per le ricognizioni aeree sia nelle missioni diurne che notturne.
I primi addestratori M-346 sono stati consegnati nel luglio 2014, nei giorni in cui le forze armate israeliane erano impegnate nella sanguinosa operazione “Bordo protettivo” a Gaza. Il 23 giugno 2015 si è invece tenuta ad Hatzerim la cerimonia di consegna del grado di ufficiale al primo gruppo di cadetti del 170th IAF (Israel Air Force) training course, a conclusione del periodo di addestramento sul nuovo velivolo. “Grazie ai caccia avanzati M-346, possiamo addestrare i nostri piloti in modo realistico, accrescendo le loro abilità in volo nell’affrontare le minacce e condurre al termine le missioni assegnate”, ha spiegato a The Jerusalem Post il maggiore Erez, vicecomandante dello squadrone d’addestramento. “All’inizio i piloti apprendono come ingaggiare un singolo aereo nemico, poi si addestrano nel combattimento aria-aria contro caccia multipli e ad affrontare i missili terra-aria posseduti dagli Hezbollah, dalla Siria e dall’Iran”. Il secondo stage addestrativo con gli M-346 ha affrontato scenari di guerra ancora più complessi, come l’“intercettare un aereo passeggeri sequestrato o jet siriani che sono venuti a bombardare Tel Aviv” o gli “attacchi a lungo raggio che impongono tempi di volo prolungati”.
Contemporaneamente alla commessa dei caccia di Alenia Aermacchi, le forze armate italiane hanno formalizzato la decisione di acquistare due velivoli di pronto allarme (Early warning and control – AEW&C) “Eitam” del tipo “Gulfstream 550”, prodotti da IAI ed Elta Systems, con relativi centri di comando, controllo e sistemi elettronici avanzati (valore complessivo 800 milioni di dollari circa). Selex Es (Finmeccanica), s’incaricherà per conto delle aziende israeliane di fornire i sottosistemi di comunicazione dei velivoli e i link tattici secondo gli standard NATO. L’Italia si è pure impegnata ad acquisire un sistema satellitare elettro-ottico ad alta risoluzione di seconda generazione “Optasat 3000”, prodotto anch’esso da IAI ed Elbit Systems. Prime contractor degli israeliani è Telespazio, azienda controllata da Finmeccanica e dalla francese Thales, a cui è stata affidata la costruzione del segmento terrestre, il lancio da una base israeliana e la messa in orbita del nuovo sistema satellitare entro la fine del 2016. Dopo il completamento dei test da parte del Centro Spaziale del Fucino di Telespazio, il nuovo apparato sarà pienamente integrato nel sistema satellite e radar “Cosmo-Skymed” in uso alle forze armate italiane.
Intanto le aziende italo-israeliane puntano a rafforzare la partnership per guadagnare nuove porzioni dei mercati d’armi internazionali. Selex ES ed AEL Sistemas S.A, società controllata da Elbit Systems e dalla brasiliana Embraer, hanno costituito nel 2013 una joint venture per la produzione di tecnologie e sistemi radar a scansione meccanica da destinare ai velivoli d’attacco e di trasporto delle forze armate del Brasile e di altri paesi sudamericani. Alla joint venture è stata assegnata la manutenzione e il supporto dei radar “Gabbiano T20” di Selex, destinati ai velivoli di sorveglianza aerea Embraer KC-390 e probabilmente anche ai nuovi velivoli senza pilota acquistati dai militari brasiliani. La partnership tra Selex e AEL potrebbe allargarsi in futuro anche nel campo dell’avionica di precisione e dei sistemi di sicurezza avanzati.
La trentesima stella della NATO
Quanto le forze armate statunitensi e di alcuni dei principali paesi NATO siano interessate alla produzione di armi e tecnologie militari israeliane è provato da quanto accaduto qualche mese fa a Tel Aviv. Dal 19 al 21 maggio 2015, si è tenuta infatti una convention a porte chiuse tra i capi delle forze aeree di otto paesi NATO (Canada, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Olanda, Polonia e Stati Uniti d’America) e i manager delle maggiori imprese militari israeliane. “Si tratta del primo incontro a questi livelli ma speriamo che da ora in poi se ne possa tenere almeno uno all’anno per poter interscambiare le nostre esperienze con i colleghi della NATO e poter affrontare insieme le sfide a cui siamo chiamati”, ha dichiarato il Comandante dell’Aeronautica militare israeliana gen. Shachar Shohat, a conclusione del meeting. Secondo una nota del ministero della difesa, il gen. Shohat ha presentato ai generali NATO le attività di difesa aerea espletate in occasione dei bombardamenti a Gaza nell’estate 2014, “quando i sistemi Patriot israeliani abbatterono due velivoli senza pilota e le batterie anti-missili Iron Dome riuscirono a intercettare quasi il 90% dei bersagli”. Sempre secondo le autorità militari israeliane “la conferenza ha previsto inoltre una visita alle imprese statali (Israel Aerospace Industries, Rafael e Israel Military Industries) che stanno sviluppando un ampio spettro di tecnologie di pronto allarme, intelligence, difesa attiva e guerra anti-UAV e anti-missile”.
Israele è uno dei membri del cosiddetto “Dialogo mediterraneo” della NATO sin da quando fu istituito nel dicembre 1994 dai ministri degli esteri dei paesi dell’Alleanza Atlantica. Con Israele fanno parte del “Dialogo mediterraneo” altri sei paesi africani e mediorientali: Algeria, Egitto, Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia. “Il Dialogo mediterraneo è un forum multilaterale dove le nazioni partner della regione possono discutere sulle questioni della sicurezza comune con gli alleati dell’Europa e del Nord America”, spiega la NATO. “Il Dialogo riflette il punto di vista dell’Alleanza secondo cui la sicurezza in Europa è strettamente legata alla sicurezza e alla stabilità del Mediterraneo. Prioritariamente il Dialogo mediterraneo punta a conseguire una migliore conoscenza reciproca”. A coordinare i programmi di cooperazione con i paesi partner di Africa e Medio oriente è stato chiamato l’Allied Joint Force Command (JFC) di Napoli, il Comando congiunto delle forze alleate di stanza nella nuova installazione NATO di Lago Patria. Nel JFC di Napoli vengono ospitate le conferenze annuali del Dialogo mediterraneo, l’ultima delle quali si è tenuta lo scorso 2 dicembre.
Le relazioni tra Israele e l’Alleanza Atlantica si sono intensificate negli ultimi quindici anni principalmente nella conduzione della lotta al terrorismo, della pianificazione degli interventi in caso di crisi ed emergenze, del controllo dei confini, della ricerca e soccorso e dell’assistenza umanitaria. Nel novembre 2004 fu firmato a Bruxelles un importante protocollo con cui si autorizzò la realizzazione di esercitazioni militari tra le forze armate israeliane e la NATO. Un accordo complementare fu firmato nel marzo del 2005 dall’allora Segretario Generale dell’Alleanza Jaap de Hoop Scheffer e dal Primo ministro israeliano Ariel Sharon. Tre mesi più tardi, alcune unità della marina israeliana furono impegnate per la prima volta in un’esercitazione NATO in cui fu “simulato” un attacco ai sottomarini a largo del Golfo di Taranto. Nel luglio 2005 fu invece l’esercito israeliano a fare il suo debutto in un’esercitazione terrestre NATO in Ucraina a cui parteciparono 22 paesi dell’Alleanza ed extra-NATO.
Nel marzo 2006 si realizzò il primo dispiegamento in Israele dei grandi aerei radar “Awacs” in dotazione alla forza di pronto allarme della NATO, mentre fu autorizzato il trasferimento in pianta stabile di un ufficiale di collegamento israeliano presso il JFC di Napoli. Nel giugno 2006, otto unità israeliane di stanza nel porto di Haifa furono trasferite nel Mar Nero per un’esercitazione navale che l’Alleanza Atlantica tenne congiuntamente ai paesi del Dialogo mediterraneo. Nell’aprile 2007 sei unità della forza navale NATO furono inviate ad Eilat per partecipare ad un’esercitazione insieme al distaccamento speciale della Marina israeliana nel Mar Rosso. Dopo un rischieramento nella base aerea statunitense di Nellis, Nevada, dal giugno al luglio 2008 alcuni cacciabombardieri israeliani parteciparono per la prima volta all’esercitazione “Red Flight”, insieme ai velivoli da guerra provenienti da Australia, Giappone, India, Nuova Zelanda e Singapore.
L’Alleanza Atlantica e Israele sottoscrissero un Programma di Cooperazione Individuale che fu ratificato dai ministri della difesa NATO il 2 dicembre 2008, tre settimane prima del sanguinoso attacco israeliano a Gaza. Il testo dell’accordo descriveva i principali settori in cui “NATO e Israele coopereranno pienamente”: il controterrorismo; lo scambio di informazioni tra i servizi d’intelligence; la connessione di Israele al sistema elettronico NATO; l’acquisizione degli armamenti; l’aumento delle esercitazioni militari.
Nel novembre 2009, durante la visita in Israele dell’ammiraglio Gianpaolo Di Paola, al tempo presidente del Comitato militare alleato (e poi ministro della difesa italiano), fu stabilito che un’unità missilistica israeliana partecipasse a pieno titolo all’operazione navale NATO Active Endeavor, di “protezione del Mediterraneo contro le attività terroristiche”. Il 24 aprile 2010 Israele firmò a Bruxelles un security agreement che stabilì la cornice per lo scambio con la NATO dei dati d’intelligence e la “protezione congiunta” delle comunicazioni riservate. Il 7 marzo 2013, il Segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen ricevette a Bruxelles il presidente israeliano Shimon Peres per rafforzare la cooperazione militare nel campo della “lotta al terrorismo”, delle “operazioni coperte” e della “guerra non convenzionale”. In quell’occasione fu sottoscritto pure un accordo di mutua cooperazione, il cui contenuto è ancora top secret, in vista dei nuovi piani di dispiegamento operativo e logistico delle forze armate statunitensi e NATO in Medio Oriente. “Israele è un importante alleato della NATO nel Dialogo Mediterraneo”, dichiarò Anders Fogh Rasmussen a conclusione del vertice con Shimon Peres. “Israele è uno dei nostri associati più antichi. Affrontiamo le stesse sfide nel Mediterraneo orientale e le stesse minacce alla sicurezza del XXI secolo, così abbiamo tutte le ragioni per rendere ancora più profonda e durevole la nostra associazione anche con gli altri paesi del Dialogo Mediterraneo”. Il 9 febbraio 2014, lo stesso Rasmussen si recò in visita ufficiale in Israele per incontrare le autorità governative e militari.
Il 17 novembre 2014 a La Hulpe, Belgio, si tenne una conferenza su La cooperazione NATO-Israele, a cui parteciparono i rappresentanti politici e militari dell’Alleanza Atlantica. Nel suo intervento, il vicesegretario generale della NATO Alexander Vershbow auspicò un “maggiore coinvolgimento delle forze armate israeliane nelle attività addestrative, nei programmi di formazione alleati e nelle operazioni di peacekeeping e di gestione delle crisi internazionali incluse quelle a guida NATO”. Nuove consultazioni con le autorità militari israeliane per intensificare la cooperazione “alla luce degli odierni sviluppi nel Mediterraneo e in Medio Oriente” si sono tenute a Tel Aviv il 12 e 13 ottobre 2015 in occasione della visita ufficiale del vice segretario generale NATO per le politiche di sicurezza, l’ambasciatore Thrasyvoulos Terry Stamatopoulos.
L’ultima tappa della diabolica partnership Israele-NATO risale al 7 dicembre scorso, quando due unità da guerra assegnate allo Standing NATO Maritime Group TWO (SNMG2), uno dei due gruppi navali di pronto intervento dell’Alleanza, giungevano nel porto di Haifa provenienti da una missione “anti-pirateria” nell’Oceano Indiano. Prima di lasciare le acque israeliane, le navi da guerra NATO hanno partecipato con alcune unità della Marina israeliana all’esercitazione Passex, finalizzata – come riferito dal governo – a “rafforzare l’interoperabilità in campo navale tra la NATO e Israele”.
Relazione alla Conferenza Nazionale Palestina e dintorni, organizzata dal Fronte Palestina, Roma, 23 gennaio 2016.