Scaricare: è questo il mantra di molti imprenditori e commercialisti. Scaricare ogni spesa totalmente. Ma nessuno avrebbe potuto immaginare che si potesse arrivare a scaricare anche ciò che non è stato speso. Non sappiamo a chi sia venuta in mente una proposta così stupefacente, ma risulta con certezza che il Governo l’ha inserita nella Legge di stabilità per il 2016 e il Parlamento l’ha approvata. Stiamo parlando del cosiddetto “superammortamento”, cioè una norma che consente alle imprese e ai lavoratori autonomi di “scaricare” il 140% del costo dei beni strumentali acquistati. Quel 40% in eccesso, oltre a costituire un’incongruenza logica, costituisce sicuramente un regalo alle ditte, che su questa percentuale non pagheranno le imposte, poiché l’utile aziendale diminuirà di pari importo. Si tratta di una palese violazione del principio costituzionale di uguaglianza sostanziale e di ragionevolezza della legislazione. Per non parlare della prescrizione dell’art. 53 della Costituzione, laddove stabilisce che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Tra i “tutti” ci sono anche le società con Partiva IVA, la cui capacità contributiva viene alterata da una norma che farebbe inorridire qualsiasi matematico.
Qui c’è un’evidente ingiustizia, poiché vengono favorite oltre misura imprese e lavoratori autonomi, mentre i lavoratori dipendenti non possono nemmeno detrarre il costo dei libri o del trasporto scolastico per i figli. Il sistema fiscale italiano è squilibrato a favore delle società, che hanno la possibilità di pagare le imposte soltanto sugli utili, cioè sulla differenza tra ricavi e spese. Non è così per i lavoratori dipendenti, che pagano le tasse sui ricavi (cioè i redditi) con qualche limitata possibilità di deduzione o detrazione fiscale. Questo squilibrio spesso induce chi può, cioè chi ha un’impresa, a scaricare anche i costi personali o familiari (indetraibili) nel bilancio della società. Non solo: chi non ha questa possibilità di scaricare l’imponibile e l’IVA pagata facendo intestare la fattura alla ditta, è tentato di pagare in nero, cioè senza fattura, per evitare di pagare l’IVA. Si tratta evidentemente di un problema enorme, di imposte non versate sia dalle imprese, che deducono spese sostenute da altri, sia dai cittadini contribuenti, che non potendo detrarre nulla, scelgono di non farsi dare la ricevuta o lo scontrino da chi fornisce un servizio o un prodotto, causando un mancato introito all’erario.
Anche quando una spesa è detraibile, spesso il vantaggio fiscale viene ridotto da incomprensibili tetti dell’importo ammissibile. Un esempio è costituito dalle spese funerarie: con la legge di stabilità del 2016 finalmente è stato abolito il vincolo di parentela per poter usufruire della detrazione. Infatti fino alla scorso anno era prevista la detrazione del costo sostenuto per le spese funerarie soltanto per i parenti più prossimi del defunto. Il problema è che si può detrarre dal reddito il 19% della spesa fino a 1.550 euro. Dato che in realtà non esistono funerali che costano “soltanto” 1.550 euro, si può facilmente intuire quali trattative di possono instaurare per il saldo del costo ulteriore, visto che chi sostiene la spesa non ha alcun interesse a documentarla e chi fornisce il servizio può limitarsi ad emettere una fattura di 1.550 euro che dimostra una regolare fornitura del servizio funebre con un prezzo popolare per non approfittare dello stato di prostrazione di chi ha subito un lutto in famiglia.
Sono comportamenti che sono diventati quasi una norma e sono ben noti a tutti, ma finora si è fatto ben poco per contrastarli. Anzi, in diverse occasioni il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha dichiarato di voler tagliare alcune voci tra quelle attualmente detraibili per i contribuenti. Insomma, le intenzioni pare siano tali da andare nella direzione opposta ad un effettivo contrasto di interessi per cercare di ridurre l’evasione fiscale, che purtroppo è un comportamento ampiamente diffuso nel Paese.