Presentato oggi a Roma l’annuario di ActionAid: Italia agli ultimi posti per aiuti ai paesi poveri e ancora priva di uno schema di reddito minimo garantito a livello nazionale.
L’esperienza del Brasile e le proposte concrete per cambiare rotta
La lotta contro la povertà è un cammino ancora in salita: l’Italia veste la maglia nera tra i paesi del G7 per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, mentre tra i paesi OCSE si ferma al 18esimo posto. A livello nazionale, la situazione non migliora: l’Italia e la Grecia sono infatti gli unici due paesi dell’Europa a 15 a non disporre di alcuno schema di reddito minimo. È il ritratto di un paese in forte ritardo, ma che può rialzarsi, quello che emerge dal rapporto L’Italia e la lotta alla povertà nel mondo – Un’agenda a 360°, presentato oggi a Roma in occasione dell’evento “ITALIA – BRASILE la partita decisiva. Dall’eredità dell’EXPO2015 al countdown verso #Rio2016”.
La lotta alla povertà nel mondo: l’identikit della cooperazione italiana
I nuovi obiettivi dell’Agenda ONU 2030 e la Carta di Milano, principale eredità dell’Expo 2015, definiscono un nuovo paradigma di sviluppo. La strada da percorrere, però, è ancora lunga. Nel 2014 l’APS dell’Italia
si è fermato allo 0,19% del PNL, ben lontano dallo 0,7% concordato a livello internazionale, che avrebbe dovuto raggiungere nel 2015. Tra i paesi OCSE, il nostro si colloca in diciottesima posizione, insieme con Giappone, Stati Uniti e Portogallo, e prima della Spagna (0,13%); tra i paesi del G7 è invece in ultima posizione. Il risultato è comunque migliore di quello del 2013 (0,17%), ma è stato ottenuto anche conteggiando come aiuti le risorse investite per gestire la crisi dei rifugiati sul territorio nazionale, pari a 600 milioni di euro, ovvero il 60% dell’aiuto bilaterale italiano. Questi fondi non corrispondono a reali trasferimenti verso i paesi in via di sviluppo.
Nel 2015 il premier Renzi ha annunciato di voler recuperare il terreno perduto per arrivare al quarto posto per aiuto pubblico allo sviluppo entro il 2017 tra i paesi del G7, quando l’Italia presiederà il Vertice internazionale. Al ritmo attuale, tuttavia, il nostro paese raggiungerebbe solo lo 0,30% del PNL nel 2020, contro una media UE dello
0,42% nel 2015.
Considerando solo gli aiuti bilaterali destinati ai paesi in via di sviluppo, il 32% va all’Africa, mentre si
registra una forte contrazione della nostra cooperazione in Asia (10%); l’Afghanistan (22.412.240 di euro nel 2014) resta il paese più finanziato, seguito da Etiopia (€ 20.243.069), Mozambico (€ 15.861.953) e Territori Palestinesi (€ 12.641.867). Dopo la spesa per i rifugiati che giungono in Italia, i settori in cui investiamo di più sono sviluppo
umano, salute, educazione; agricoltura e sicurezza alimentare; promozione dei diritti umani; ambiente e patrimonio culturale.
Dopo un lungo periodo di attesa, negli ultimi mesi la riforma della cooperazione ha registrato progressi significativi, anche grazie alla nomina di Laura Frigenti a Direttrice della nuova Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e quella di Mario Giro a Viceministro per la Cooperazione, carica rimasta troppo a lungo vacante.
“Ci auguriamo che il governo Renzi traduca gli annunci in realtà restituendo all’Italia un ruolo da protagonista, in linea con l’Agenda 2030 dell’ONU, trasformando l’eredità di Expo in impegni concreti per realizzare una vera democrazia del cibo. Se la nuova architettura della cooperazione italiana sta prendendo forma, molto resta da fare per incrementare le risorse, ridurre la volatilità degli aiuti e renderli più trasparenti. Sono necessarie politiche più coerenti e interventi meno frammentari, che privilegino gli stati fragili e meno avanzati. Va inoltre definito il ruolo del settore privato, che può essere una risorsa a patto che superi le stesse prove di efficienza e trasparenza
delle Ong e che lavori per affermare i diritti umani, sociali e ambientali”, ha dichiarato Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid Italia.
Nel suo intervento, la Direttrice dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, Laura Frigenti, ha dichiarato: “Con l’Agenda 2030, attraverso i 17 Obiettivi di sviluppo, si apre un nuovo modo di affrontare le sfide per un futuro sostenibile. È importante infatti la dimensione di universalità dei contenuti di tale Agenda, che guarda allo sviluppo armonico e multidimensionale di tutto il pianeta e va oltre la tradizionale distinzione fra paesi ricchi e
paesi in via di sviluppo. Un approccio che mira dunque allo sviluppo in senso globale e che riguarda tutti i paesi in una visione planetaria. Perché la povertà, ovunque si trovi, va affrontata a livello individuale da ogni singolo paese. Questa visione porterà a un maggiore coinvolgimento di più ampi strati di opinione pubblica a livello internazionale e contribuirà a creare una coscienza collettiva su temi che oggi appaiono molto più vicini rispetto al passato, come per esempio i precedenti otto Obiettivi del Millennio del 2000. In questo scenario l’Agenzia italiana di cooperazione è chiamata a individuare nuovi percorsi condivisi e aperti al ruolo partecipativo di una molteplicità di attori sempre più ampia”.
La lotta alla povertà in Italia e l’esperienza del Brasile
Il confronto tra gli schemi di reddito minimo in 13 paesi dell’Unione Europea colloca l’Italia agli ultimi posti in materia di lotta contro la povertà. L’Italia, insieme alla Grecia, è l’unico paese dell’Europa a 15 a non disporre di uno schema di reddito minimo, un difetto strutturale del nostro sistema di protezione sociale a cui è indispensabile porre rimedio al più presto. La proposta di reddito di inclusione sociale (REIS) elaborata dall’Alleanza contro la povertà,
della quale ActionAid è parte, prevede di sostenere i circa 4 milioni di individui che vivono in povertà – a prescindere dal loro profilo anagrafico e sociale – con una spesa a pieno regime di 7 miliardi l’anno, da stanziare in maniera stabile e duratura.
“Per tornare ad essere campioni nella lotta alla povertà, occorre sapersi ‘allenare’ anche a casa propria, adottando scelte e politiche coerenti sul piano nazionale per essere credibili sulla scena internazionale. Il piano triennale contro la povertà, inserito dal governo nella Legge di stabilità 2016, può segnare un’inversione di rotta, ma le misure che
verranno introdotte nei prossimi mesi dovranno essere stabili, sufficienti per l’intera platea dei beneficiari, e prevedere un adeguato mix di contributi economici e percorsi di inserimento sociale. Invitiamo il governo a percorrere con coraggio questa strada. Paesi come il Brasile, che si prepara a ospitare le Olimpiadi, hanno dimostrato
che la povertà si può combattere con successo, lavorando insieme con la società civile e con un progetto strutturato”, conclude De Ponte.
Nel suo intervento, il Presidente dell’INPS Tito Boeri ha dichiarato: “Non c’è nulla di inevitabile nella povertà. Si può contrastare, come dimostra l’esperienza del Brasile con il programma Bolsa Familia. Non basta però la crescita economica per batterla: ci sarà sempre qualcuno che cadrà nelle maglie della povertà. Sono indispensabili politiche di contrasto che coinvolgano le istituzioni locali, affinché le facciano proprie e le mantengano nel tempo senza imposizioni dall’esterno. La seconda condizione necessaria è identificare davvero chi ha bisogno dell’aiuto. In paesi come l’Italia è più difficile individuare chi è più bisognoso: molti dei nostri programmi assistenziali vanno a beneficio
del 20-30 per cento più ricco della popolazione invece che dei più poveri. Gli strumenti per realizzare tutto questo esistono, ma finora è mancata la volontà politica. La legge delega presentata in Parlamento è un’opportunità e deve andare avanti”.
Povertà e divario di genere
L’elaborazione di ActionAid su dati Eurostat del 2013 (ultimo anno per cui sono disponibili) rivela che è la Lettonia il paese dove è maggiore il divario del rischio povertà a sfavore delle donne (4,3%), seguito da Lituania (4%), Estonia (3,8%) e Cipro (3,1%). L’Italia si assesta al 2,7%, mentre solo Danimarca, Spagna, Polonia, Ungheria e Slovacchia
presentano un divario a sfavore degli uomini. Promuovere il congedo di paternità e migliorare l’offerta di servizi di cura all’infanzia sono alcune delle misure che possono contribuire da subito a ridurre il divario.
L’analisi di genere della povertà è indispensabile per comprenderne le cause. Le donne sono infatti più vulnerabili degli uomini, ma è molto difficile misurare la loro povertà perché la valutazione avviene a livello familiare e non individuale. Sono per questo necessari indicatori capaci di prendere in considerazione tutte le variabili che influiscono sulla povertà femminile, incluse le misure per ridurre il carico del lavoro di cura che grava sulle donne e
ridistribuirlo più equamente tra uomini, donne e tra famiglie e istituzioni.