Di Ramzy Baroud
31 dicembre 2015
Quando ero un ragazzino, di solito sognavo di essere nato di nuovo al di fuori delle avversità del Campo Profughi di Gaza, in qualche altro tempo e luogo dove non c’era nessun soldato, nessuna occupazione militare, nessun campo di concentramento e nessun tran tran quotidiano – dove mio padre lottava per la nostra sopravvivenza e mia madre faticava per compensare l’umiliazione della vita con il suo amore duraturo.
Quando divenni più grande, e ripercorsi con la mente le mie fantasie infantili, arrivai a una conclusione molto diversa: se lo dovessi fare, farei tutto di nuovo, non modificherei il mio passato, per quanto difficile, in nessun modo. Accetterei ogni momento, rivivrei ogni lacrima, ogni perdita, e apprezzerei ogni pur piccolo trionfo.
Quando siamo giovani, spesso non riescono a dirci che non dovremmo aver paura del dolore e temere le avversità; che nulla può essere così gratificante per la crescita della propria identità, per il senso di scopo nella vita e per la liberazione dello spirito umano quanto la lotta contro l’ingiustizia. E’ vero, non si dovrebbe mai interiorizzare la schiavitù o avere indosso la condizione di vittima come se fosse un distintivo; infatti il semplice atto di opporsi alla povertà, alla guerra e all’ingiustizia di ogni tipo, è il primo ed essenziale criterio per prepararsi a un’esistenza più significativa e a una vita migliore.
Dico questo perché comprendo che cosa devono subire molti di voi. La mia generazione di residenti in campi profughi lo ha sperimentato nelle manifestazioni più violente che si possano mai immaginare. Questi sono anni difficili e impegnativi per la maggior parte dell’umanità, ma ancora di più, in particolare per voi, giovani musulmani. Con il razzismo dei politici e dei partiti americani ed europei, con il sentimento anti-musulmano che sta dilagando in gran parte del mondo, diffuso da individui egoisti con piani azione infami e che sfruttano le paure e l’ignoranza delle persone, e la violenza e la contro-violenza inflitta da gruppi che si descrivono come “musulmani”, vi trovate intrappolati, confinati in una prigione di stereotipi, di discorsi che incitano all’odio e alla violenza; presi di mira, etichettati e temuti senza che ve lo meritiate.
La maggior parte di voi è nata o è cresciuta in quell’isolamento sociale e politico e non ricordate alcun particolare periodo del vostro passato in cui la vita era relativamente normale, quando non eravate il comodo capro espiatorio di molte cose che erano andate male nel mondo. Infatti, deliberatamente o in altro modo, i vostri caratteri erano stati modellati da questa realtà influenzata dai pregiudizi dove sopravvivete tra attacchi di rabbia per i maltrattamenti che subite, e i tentativi disperati di difendere voi stessi, di difendere la vostra famiglia, e di lottare per la vostra comunità, per la vostra cultura e per la vostra religione.
E, soprattutto, voi continuate a lottare ogni giorno per sviluppare un senso di appartenenza, di cittadinanza in società dove spesso vi trovate rifiutati ed esclusi. Chiedono la vostra ‘integrazione’ e tuttavia vi respingono ogni volta che vi avvicinate. Apparentemente è un compito impossibile, lo so.
E sembra che, indipendentemente da quello che fate, dovete ancora lasciare un segno nella ingiusta errata rappresentazione di chi siete e dei nobili valori che difende la vostra religione. Il loro razzismo sembra aumentare e tutte le frecce del loro odio sono continuamente puntate contro l’Islam, malgrado i vostri tentativi appassionati di convincerli altrimenti.
Di fatto a malapena comprendete perché l’Islam è davvero parte di questa discussione, in primo luogo. L’Islam non ha mai invitato gli Stati Uniti ad andare in guerra in Medio Oriente, a interferire nelle vostre civiltà e a tormentare i compagni musulmani in altre parti del globo.
L’Islam non fu mai consultato quando è stata costruita Guantanamo che serve come gulag al di fuori delle norme per i diritti umani e della legge internazionale.
L’Islam è difficilmente un argomento di discussione quando le parti in guerra combattono con agende politiche del tutto egoistiche, per il futuro della Siria o dell’Iraq o della Libia o dello Yemen o dell’Afghanistan, e così via.
L’Islam non fu un problema quando la Palestina fu invasa dalle milizie sioniste, con l’aiuto dei britannici e, in seguito, degli americani, trasformando la Terra Santa in un campo di battaglia per la maggior parte del secolo scorso. Le ripercussioni di quell’azione hanno determinato il destino della regione portandola da una pace relativa in una guerra e in un conflitto ripugnante e perpetuo.
La stessa logica si può applicare a ogni altra cosa che è andata storta e spesso ve lo siete chiesti anche voi. L’Islam non ha inventato il colonialismo e l’imperialismo, ma ha motivato Asiatici, Africani e Arabi a combattere questo male devastante. L’Islam non ha dato inizio all’età della schiavitù di massa, anche se milioni di schiavi americani ed europei erano, loro stessi, musulmani.
Voi tentate di dir loro tutto questo e insistete che persone simili ai gruppi violenti come l’ISIS non sono un prodotto dell’Islam, ma un effetto collaterale della violenza, dell’avidità, e degli interventi stranieri. Però non vi ascoltano, e controbattono usando versetti scelti del vostro Libro Sacro che erano intesi per specifici contesti e circostanze storiche. Condividete perfino dei versetti del Corano con tutti i vostri ‘followers’ sui media sociali: ..”se uno ha ucciso una persona è come se avesse ucciso l’intera umanità; e se uno ha salvato la vita di una persona è come se avesse salvato l’intera umanità…” (Capitolo V; versetto 32), sperano di suscitare una qualche comprensione della santità della vita umana secondo la vostra religione, ma un cambiamento fondamentale di atteggiamento deve ancora arrivare.
Quindi vi disperate, almeno alcuni di voi lo fanno. Alcuni di coloro che vivono nei paesi occidentali non condividono più con gli altri il fatto che sono musulmani, evitando qualsiasi discussione che possa portare a essere ostracizzati da società sempre più intolleranti. Alcuni di coloro che vivono in paesi a maggioranza musulmana, purtroppo rispondono all’odio con il loro proprio odio. In ogni caso, essi oscillano tra l’odio e l’odio per se stessi, la paura e l’autocommiserazione, l’indifferenza imposta, la rabbia e il disprezzo di se stessi. Col tempo, è stato impossibile raggiungere un senso di appartenenza e, come ho fatto io quando ero più giovane, forse vi chiedete come sarebbe stato vivere in qualche altro tempo, in qualche altro luogo.
In tutto questo, però, è di importanza vitale ricordare che i pesi della vita possono offrire le migliori lezioni di crescita personale e collettiva.
Si deve comprendere che deve ancora nascere un gruppo di persone a cui siano state risparmiate le prove collettive della storia: che non abbiano sofferto la persecuzione, il razzismo, la guerra apparentemente perpetua, la pulizia etnica e tutti i mali con cui proprio ora lottano i Musulmani, dalla Siria alla Palestina all’America di Donald Trump. Questo non lo rende ‘okay’ ma è un importante promemoria che le vostre avversità non sono uniche tra le nazioni. Accade soltanto che questo potrebbe essere il tempo in cui imparate alcune delle più preziose lezioni della vita.
Per superare queste avversità dovete per prima cosa essere assolutamente chiari su chi siete: dovete essere orgogliosi dei vostri valori, della vostra identità; non dovete mai smettere di combattere l’odio con l’amore, di aprire un dialogo con gli altri, di istruire, di sentirvi integrati. Se non lo fate, allora vince il razzismo e voi perdete questa occasione unica di crescita individuale e collettiva. Qualche volta compiango coloro che sono nati nei privilegi: sebbene possano accedere al denaro e alle opportunità materiali, raramente possono apprezzare il tipo di esperienze che soltanto il bisogno e la sofferenza possono offrire. Nulla si avvicina alla saggezza nata dal dolore.
E se mai vi indebolirete, cercate di ricordare: Dio “non grava nessuno se non di ciò che può sopportare.” (Capitolo 2: Versetto 286).
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0