La riforma costituzionale fortemente voluta dal Governo Renzi (ddl Boschi) è in fase di approvazione. Salvo sorprese, otterrà il via libera anche in seconda lettura dai due rami del Parlamento. In autunno si terrà un referendum per confermare o cancellare la riforma, che fino ad allora non entrerà in vigore.
Prima ancora di entrare nel merito delle modifiche costituzionali proposte, è fondamentale ragionare sulle questioni di metodo. Che già di per sé portano a giudizi negativi su questa riforma.
1) La proposta è di iniziativa governativa. Pur essendo prevista tale eventualità, si tratta di una palese anomalia. Che cosa c’entra il Governo, cioè il potere esecutivo, che dovrebbe occuparsi sostanzialmente di dare concreta attuazione alle leggi emanate dal Parlamento, con la Costituzione e la sua eventuale revisione? Non è casuale che i membri della Corte Costituzionale, cioè l’organo supremo che vigila sul rispetto della Costituzione, siano nominati dal Parlamento, dal Presidente della Repubblica e dalla Magistratura, ma non dal Governo. Non è compito del Governo occuparsi della Costituzione, se non nel senso di rispettarla come tutti sono tenuti a fare (art. 54 Cost.).
2) L’attuale Presidente (pro-tempore) del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, ha recentemente dichiarato che se la riforma verrà bocciata dagli elettori, non soltanto si dimetterà (con la conseguente caduta del Governo), ma addirittura si ritirerà dalla politica (frase per altro alquanto discutibile, come se la politica non fosse espressione di una cittadinanza attiva ma una professione che si possa anche dismettere come un ferro da rottamare). Così facendo Matteo Renzi vuole trasformare il voto sulla riforma costituzionale in un referendum su se stesso ancor più che sul suo operato come Presidente del Consiglio dei Ministri. In questo modo il senso del referendum viene totalmente snaturato attraverso un indebito ed errato abbinamento tra la propria carriera politica e la riforma della Costituzione. Nel nostro ordinamento la Costituzione è il fondamento della Repubblica, mentre la sorte di Matteo Renzi non può minimamente essere messa a confronto. Vi sono evidenti tratti di infantilismo e di megalomania in questa specie di “ricatto”, in cui in sostanza si dice: “o fate come voglio io, oppure me ne vado e non gioco più”.
3) La Costituzione è anche uno strumento per limitare il potere, evitandone gli abusi e anzitutto la concentrazione in poche mani. Per questa ragione l’architettura costituzionale prevede la divisione dei poteri a livello sia orizzontale (legislativo, esecutivo, giudiziario) sia verticale (stato, regioni, province, enti locali), con la presenza di procedure e di organismi di garanzia (Corte costituzionale e Presidente della Repubblica anzitutto). Il fatto che l’attuale Presidente del Consiglio, come altri suoi predecessori, faccia appello e riferimento al popolo per ottenere un’investitura e una conferma dell’iniziativa riformatrice, denota una deficitaria cultura costituzionale. Matteo Renzi dovrebbe sapere che “la sovranità appartiene al popolo nei limiti e nelle forme della Costituzione”. La Costituzione rappresenta il punto di arrivo storico e la più alta coscienza di un popolo, che non può essere messa tra parentesi da una pronuncia episodica e sommaria. Ridurre il popolo a masse informi di tifoserie contrapposte, senza considerare che la personalità di ciascuno si sviluppa nelle formazioni sociali e nei corpi intermedi, esplicita una concezione semplicistica della politica e una banalizzazione dell’idea di cittadinanza. La Costituzione implica una visione più complessa e articolata della società, che qualsiasi progetto di revisione dovrebbe ben tener presente.
4) La coalizione del centrosinistra nel 2001 aveva proceduto ad una (discutibile) riforma costituzionale del Titolo V, ottenuta con l’approvazione in Parlamento con il voto di una risicata maggioranza pro-tempore e con una conferma nel referendum successivo (ma con una scarsa partecipazione popolare). In un’ottica costituzionale non si dovrebbero realizzare eventuali revisioni della Costituzione a colpi di maggioranza senza il coinvolgimento delle opposizioni. Il centrosinistra, dopo l’errore del 2001, ha sempre sostenuto che non avrebbe ripetuto questo precedente negativo di una approvazione unilaterale. Occorre qui ricordare che il testo originario della Costituzione fu approvato con oltre il 90% dei consensi. Purtroppo la proposta di riforma istituzionale promossa dal Governo Renzi sta proseguendo nell’iter parlamentare senza il consenso di tutte le più significative forze di opposizione e persino con la manifesta perplessità (per non dire contrarietà) di una parte dei parlamentari della maggioranza. Anche Matteo Renzi dovrebbe sapere che la Costituzione è e deve essere il punto di riferimento di tutti i cittadini e di tutti i loro rappresentanti. Le regole del gioco democratico si devono cambiare insieme: è del tutto evidente e logico. Anche per evitare che la Costituzione diventi strumentale oggetto di battaglia politica, sottoponendola a modifiche a fasi alterne, in funzione delle maggioranze politica del periodo. Le Costituzioni sono la cornice che consente e tutela il gioco democratico. Non ha senso il ribaltamento per il quale il gioco democratico diventa arbitrariamente l’artefice dell’assetto costituzionale.
5) L’attuale maggioranza parlamentare non corrisponde alla maggioranza dei voti espressi dai cittadini, perché è stata “alterata” dal premio di maggioranza (assegnato alla coalizione che ha avuto più voti), che dovrebbe servire per garantire la governabilità e non per mettere in atto ampie revisioni costituzionali. Questa distorsione della rappresentanza è stata già giudicata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, il che rende alquanto inopportuno che si utilizzi proprio tale premio di maggioranza per approvare modifiche costituzionali. In prospettiva, la situazione è persino peggiore, poiché la nuova legge elettorale voluta dal Governo Renzi consentirà analoghi premi di maggioranza non più alle coalizioni ma al principale partito di una coalizione. Ciò rende un’eventuale futura revisione costituzionale a colpi di maggioranza ancora più parziale e democraticamente discutibile.
6) In autunno i cittadini italiani maggiorenni saranno chiamati alle urne per confermare o negare la riforma, che prevede modifiche alla Costituzione in diversi punti: radicale cambiamento delle funzioni del Senato e del metodo di elezione dei senatori, del sistema per l’elezione del Presidente della Repubblica e dei senatori di nomina presidenziale, delle competenze delle Regioni, delle modalità di svolgimento dei referendum popolari e abolizione del Cnel. Per tutte queste revisioni di materie anche molto disparate ogni cittadino elettore dovrà scrivere un unico riassuntivo Sì o un No complessivo. Non c’è modo di diversificare la propria scelta, magari votando a favore di una riforma e in modo contrario ad un altro aspetto delle modifiche proposte. Chi vota può soltanto prendere o lasciare, come se la materia delle revisioni costituzionali non fosse così delicata che persino le virgole del testo possono avere sostanziale importanza. Ne consegue che le revisioni della Costituzione dovrebbero essere “puntuali”, cioè realizzate su singoli articolo o argomenti della Costituzione, il più possibile omogenei. La revisione del 2001 almeno era stata effettuata soltanto su un paragrafo della Costituzione (il Titolo V della II parte). Invece, la riforma proposta dal centrodestra nel 2005 e quest’ultima sostenuta dal Governo Renzi sono disomogenee, non consentendo al cittadino di esprimere il proprio pensiero in modo adeguato in relazione alle singole materie emendate. Quando si tengono i referendum abrogativi, l’elettore è chiamato a pronunciarsi su singoli specifici quesiti riguardanti leggi e tematiche diverse. Questo dovrebbe accadere a maggior ragione in un referendum che riguarda la legge fondamentale. Ridurre tutto ad un Sì o un No finisce per assomigliare ad un plebiscito più che ad una scelta meditata e consapevole.
7) Entrando nel merito si potrebbero fare diverse osservazioni sulle modifiche proposte: per lo più si tratterebbe di aspetti negativi, con qualche punto condivisibile (ad esempio la revisione del sistema di elezione del Presidente della Repubblica). Anche ammesso (e non concesso) che si trattasse della miglior revisione costituzionale finora proposta, a ben vedere bisognerebbe votare contro, perché il metodo nelle questioni costituzionali è prioritario. In una Costituzione che inizia con i “principi fondamentali”, la metodologia è essenziale, la forma diventa sostanziale. Senza dimenticare che le revisioni effettuate con metodi discutibili creano un precedente negativo che chi verrà in seguito potrebbe sentirsi autorizzato ad emulare. Di conseguenza, salvaguardare una corretta modalità di procedere alla revisione costituzionale è sicuramente più importante di approvare una specifica riforma, qualora la si ritenesse utile (il che resta comunque da dimostrare). Se le modifiche avanzate nel presente mettono un’ipoteca negativa sul futuro è meglio respingerle per conservare la possibilità di revisioni corrette, davvero opportune e necessarie per tutti.