“L’attimo fuggente” è un capolavoro che resiste al passare del tempo. Dopo ventisette anni (il film di Peter Weir è del 1989) è più attuale che mai e rivederlo provoca la stessa commozione della prima volta.
Il film accompagna la crescita dei protagonisti, un gruppo di studenti di un’accademia americana severa e tradizionalista alla fine degli anni Cinquanta, dai primi, timidi tentativi di ribellione all’atmosfera soffocante e repressiva della scuola e della famiglia, all’atto finale di libertà scandito dalla poesia di Walt Whitman sulla morte di Lincoln. A guidarli nel viaggio la figura eccezionale del professor Keating. Le lezioni che impartisce ai suoi allievi vanno ben oltre la letteratura e riguardano temi fondamentali che tutti prima o poi ci siamo posti: l’importanza di pensare con la propria testa, la spinta a godere a fondo la vita, rendendola straordinaria, la ribellione al conformismo e all’autoritarismo vuoto e crudele in nome delle proprie aspirazioni più profonde.
Keating è sempre pronto a sovvertire l’ordine tradizionale e stabilito delle cose, che si tratti di un noioso manuale di letteratura o del modo di praticare lo sport, per aiutare i giovani allievi a scoprire ciò che vogliono veramente. La poesia diventa così fonte di ispirazione ed espressione alla portata di tutti e la vita un’avventura bella e gioiosa, da sperimentare fino in fondo, con passione, scegliendo le strade meno battute e ribellandosi alla rassegnazione.
Seguire le sue lezioni però significa pagare un prezzo altissimo: il ragazzo a cui il padre impedisce di seguire il suo sogno e la sua vocazione (recitare), si suicida disperato. Pur di non ammettere le loro responsabilità, la scuola e la famiglia si coalizzano per indicare come colpevole il professore che ha osato incoraggiarlo a disobbedire alla volontà paterna. Gli studenti vengono costretti con ricatti e minacce a sottoscrivere questa versione (l’unico che si rifiuta viene espulso) e Keating viene cacciato.
Sembra che il conformismo, la sottomissione all’autorità e il tradimento delle proprie migliori aspirazioni siano destinati a trionfare, ma il finale regala una delle scene più potenti mai viste al cinema: in apparenza tutto è tornato alla normalità, il vecchio, spietato preside che ha sostituito Keating impone ai ragazzi la lettura del vuoto sproloquio sulla poesia che all’inizio del film il professore ha ordinato loro di strappare dal libro di testo, ma quando Keating entra in classe per prendere le sue cose tutto cambia. Non subito: sfidare l’autorità comporta una dura lotta interiore e le espressioni indecise e tormentate dei ragazzi lo dimostrano con toccante chiarezza. Alla fine però il peso della contraddizione è troppo forte. Prima uno, poi due e infine molti degli studenti salgono sul banco e salutano il loro capitano che se ne va, in un crescendo commovente che il preside, quasi patetico nella sua stizzosa impotenza, non riesce a fermare. Non tutti si alzano ed è giusto così: il contrasto tra i ribelli in piedi e i conformisti rimasti seduti a testa bassa ricorda che la coerenza è una scelta difficile, che riguarda ognuno di noi e non è mai scontata. Eppure il film lascia un senso di speranza: i ragazzi che hanno avuto il coraggio di ribellarsi non dimenticheranno la lezione di vita ricevuta. E nel ringraziamento di Keating, in apparenza sconfitto, c’è la consapevolezza che i semi di libertà da lui gettati prima o poi germoglieranno.