Madre Teresa di Calcutta sarà proclamata Santa da parte di Bergoglio, papa Francesco. La canonizzazione della “apostola degli ultimi” avverrà il prossimo 4 settembre: sarà uno degli eventi principali del Giubileo. La dichiarazione della santificazione è coincisa, più o meno, con l’ anniversario di Bophal, India.

Opinioni e giudizi su  Anjeza Gonxhe Bojaxhiu, Madre Teresa non sono tutti positivi. Per esempio Rossana Rossanda in una prefazione agli scritti della teologa Adriana Zarri, pubblicati da Einaudi afferma che questa diffidava del personaggio, probabilmente perché in nome delle credenze cristiane sulla redenzione dei peccati attraverso il dolore fisico, lasciava morire senza cure i malcapitati che entravano nei suoi lazzaretti. Lazzaretti e non ospedali, ricoveri e non ospedali.

Ci sono testimonianze di fotoreporter che hanno visto “l’ospedale” di Madre Teresa. Queste persone hanno visto e documentato cose terribili: «L’ospedale è un hangar con lettini messi in fila sui quali giacciono larve umane in attesa di morire, senza cure, senza assistenza, nella totale indifferenza. Le suore a volte passano per fare iniezioni e usano la stessa siringa per diverse persone, i pochi servizi igienici sono latrine sporche. Madre Teresa diceva che il dolore unisce a Dio, però quando stava male si curava in un lussuoso ospedale americano e i fondi che raggranellava durante i suoi viaggi promozionali servivano per fondare conventi per le sue suore che si occupano solo di convertire al cristianesimo e non per assistere ammalati e bambini» scriveva S. Sollima, un reporter del Guardian, in un commento su AgoraVox.

Anche Christopher Hitchens nelle prime righe del suo libro La posizione della missionaria narra un fatto raccapricciante, documentato nel suo documentario per ‘Channel 4’. Il documento mostra Madre Teresa che dice a un moribondo «Stai soffrendo come Cristo in croce, di sicuro Gesù ti sta baciando!», e lui che risponde «Per favore digli di smettere di baciarmi ». Questo fatto è emblematico perché descrive la natura di Madre Teresa di Calcutta.

MADRE TERESA A BOPHAL

A distanza di oltre trent’anni dalla tragedia di Bhopal non solo la giustizia resta lontana per coloro che sono stati e sono tuttora direttamente coinvolti. L’ India nel suo complesso ed il mondo intero non hanno ancora raggiunto una reale comprensione di quell’evento, che costò 2000 – 2500 vite umane solamente nei primi giorni. La contabilità dei morti è ancora in corso, perché a causa di Bhopal si continua a morire. Il numero finale è lontano da essere definito. Amnesty International, che segue il dramma fin dall’inizio, parla di circa 30.000 vittime ad oggi.

Pochi giorni dopo il disastro, Madre Teresa lasciò Calcutta e scortata da due macchine governative arrivò a Bophal, dove distribuì ai sopravvissuti medagliette d’alluminio con l’immagine della Madonna e disse loro: «Potrebbe essere stato un incidente. È come il fuoco che può sempre divampare. Per questo è importante perdonare. Il perdono ci dà un cuore puro e la gente si sentirà, dopo, cento volte meglio». Papa Giovanni Paolo II si unì poco dopo a Madre Teresa, affermando che Bophal era stato un triste evento causato dallo sforzo dell’ uomo di progredire (sic!).

LA TRAGEDIA DI BOPHAL, CHE NON VA NÉ DIMENTICATA, NÉ PERDONATA.

La notte tra sabato 2 e domenica 3 dicembre 1984, nello stabilimento della Union Carbide India Limited (UCIL, consociata dell’americana Union Carbide) della città di Bhopal, nello stato indiano del Madhya Pradesh, avvenne la più grande tragedia industriale dell’era moderna in India e nel mondo. Nello stabilimento costruito nel 1980 si produceva per il mercato indiano l’insetticida Carbaryl, conosciuto come Sevin, un pesticida  ancora oggi prodotto. Non particolarmente tossico per l’uomo, era ed è un prodotto fitosanitario efficace, preferibile al DDT, che in quegli anni era ancora molto usato in Asia e in India. Per ottenere un profitto l’impianto avrebbe dovuto produrre 5.000 tonnellate all’anno di Sevin. All’ inizio trovarono impiego circa 1.000 operai, ma le cose non andarono bene. Nel primo anno furono prodotte 2.700 tonnellate, che scesero l’ anno successivo a 2.300. Un ruolo importante lo ebbe la siccità che colpì l’India e fece crollare la domanda di insetticidi da parte di contadini e di proprietari di terre. L’Union Carbide decise di ridurre prima gli organici e poi nell’estate del 1983 di terminare la produzione. Va sottolineato che l’Union Carbide non costruì l’ impianto con gli stessi standard di sicurezza del correspettivo americano. Per risparmiare, naturalmente.

La produzione del Sevin richiede l’utilizzo di un pericoloso componente: l’Isocianato di Metile (MIC), un liquido chiaro, incolore, tossico, con un odore pungente di cavolo cotto. È altamente infiammabile, reattivo e solubile in acqua. Questo prodotto chimico richiede notevoli misure di sicurezza, come detto, non applicate a Bhopal.

Fermata la produzione, trasferite alcuni parti ad altre industrie del gruppo in varie parti del mondo, nell’autunno dell’83 venne deciso, per risparmiare sui costi dell’energia elettrica, di spegnere gli impianti di raffreddamento delle cisterne; tre di queste, la 611,612 e 619, contenevano ancora complessivamente circa 61 tonnellate di Isocianato di Metile, il quale avrebbe dovuto essere conservato a zero gradi centigradi. Poco dopo, sempre per risparmiare, venne spenta anche la fiamma pilota del bruciatore della torre di emissione, che in caso di emergenza, aveva proprio il compito di distruggere il gas in fuga. L’ abbandono totale della fabbrica avvenne il 26 ottobre 1984.

Alla mezzanotte di sabato 2 dicembre 1984, a distanza di sei mesi dall’ultima manutenzione, tre operai provenienti da un’altra fabbrica indiana sempre del gruppo della Union Carbide, ignari del contenuto delle 3 cisterne e delle attività originariamente svolte dall’impianto di Bhopal, iniziarono il loro compito, che consisteva nel pulire le condotte immettendovi acqua; a seguito delle incrostazioni accumulatesi, però, il flusso d’acqua venne deviato proprio nella cisterna 611, quella con 42 tonnellate di Isocianato di Metile.

L’Isocianato di Metile diventa molto reattivo in presenza d’acqua, dando luogo ad una reazione fortemente esotermica.

La pressione nella cisterna aumentò finché le valvole di contenimento saltarono e il gas raggiunse attraverso le condutture  la torre d’emissione, da dove fuoriuscì formando una nuvola mortale, pesante due volte l’aria e contenente una miscela tossica di cianuro, isocianato di metile, fosgene e monometilammina. La nuvola, anche a causa di un leggero vento, ricadde proprio sulla zona popolare della città, una baraccopoli, uccidendo solo quella notte migliaia di persone.

In virtù dell’eterogeneità compositiva della nuvola gli effetti sulle vittime furono molto diversi, per via della differenza in peso dei gas tossici, che arrestarono la loro corsa più o meno lontano dall’impianto a seconda della loro densità; ciò non fu d’aiuto ai medici delle strutture sanitarie della città nell’individuare ed elaborare una procedura clinica. Ma un aiuto non arrivò nemmeno dai tecnici della Union Carbide che, contattati dai responsabili medici di Bombay (oggi Mumbai), si rifiutarono di offrire informazioni sulla natura dei composti stoccati nell’impianto poiché non in possesso dell’autorizzazione a divulgare informazioni sulla composizione d’un prodotto protetto da brevetto (sicǃ).

A seguito dell’incidente, negli Stati Uniti furono intraprese 145 azioni giudiziarie contro la Union Carbide, ma il governo indiano, con la legge Bhopal gas leak Act emanata il 25 marzo 1985 si assunse l’onere “esclusivo” di rappresentare le vittime del disastro, impedendo ai cittadini d’intraprendere iniziative legali indipendenti. La causa contro la Union Carbide iniziò nel settembre 1986 nel foro di Bhopal. Le corti americane non ammisero nessuna delle cause anteriormente promosse, in base al principio del “forum non conveniens”, cioè della loro incompetenza di giurisdizione, dichiarando che la Union Carbide doveva sottostare alla giurisdizione della corte indiana.

Nel novembre 1987 furono rinviati a giudizio la Union Carbide, la Union Carbide Eastern Inc., la Union Carbide India Limited e l’ex amministratore delegato della Union Carbide Warren Anderson (andato in pensione l’anno prima) assieme ad otto dirigenti indiani della Union Carbide India Limited. Le accuse: “omicidio colposo, lesioni gravi e  danni permanenti attraverso l’esercizio irresponsabile di attività e di tecnologie altamente pericolose”.

Due anni e mezzo dopo il processo passò alla Corte Suprema indiana, che raggiunse un accordo extragiudiziale tra il governo indiano e la Union Carbide, la quale s’impegnava a pagare un risarcimento definitivo di tutte le pretese, diritti e responsabilità nascenti del disastro di Bhopal: 470 milioni di dollari, una cifra ridicola per i morti, gli invalidi ed i danni causati, che tra l’altro non sono stati ancora interamente pagati e solo con infinite difficoltà burocratiche.

BOPHAL OGGI

L’India post-Bhopal ha migliorato, sulla carta, la propria legislazione riguardo a disastri provocati dalle industrie chimiche e anche la sicurezza dei lavoratori, ma nella pratica si tratta di un impegno ampiamente incompleto. Trent’anni dopo si è lontani da una soluzione del dramma di Bhopal non solo per quanto successo quella tragica notte, ma perché la risposta è stata incompetente e insensibile. Il risultato è che Bhopal vive una doppia tragedia: quella immediata del 1984 e un’altra che si è sviluppata negli anni.  La fuga di gas tossico di trent’anni fa è stato il maggiore disastro industriale dell’India. Fino ad allora, i governi avevano gestito alluvioni, cicloni e terremoti. Di conseguenza si trovarono impreparati. Da allora sono stati redatti leggi e regolamenti, ma ciononostante l’India continua a perdere la battaglia riguardo la produzione e la gestione di sostanze pericolose per la salute e per l’ambiente. Gli incidenti industriali continuano a ripetersi con frequenza, spesso non denunciati e la contaminazione di terreni e falde acquifere è un problema crescente. Nel 2010 il Ministero per l’Ambiente e le foreste ha individuato dieci siti con migliaia di tonnellate di scarichi nocivi. Oggi le conseguenze della tragedia di trent’anni fa che ancora coinvolgono la popolazione di Bhopal, nel frattempo raddoppiata, arrivando a sfiorare i due milioni di abitanti, riguardano 120.000 superstiti con tracce indelebili della contaminazione e oltre mezzo milione di abitanti complessivamente interessati da quella fuga di Isocianato di Metile. Tuttora, la città è minacciata da una catastrofe almeno equivalente. Sono migliaia e migliaia gli abitanti che vivono a ridosso dell’impianto inutilizzato, ma mai realmente bonificato.  Nel 2009 una ricerca indipendente in loco ha riscontrato elevati livelli di contaminazione del suolo e dell’acqua sul sito della Union Carbide e nelle aree circostanti. Elementi contaminanti come pesticidi, composti di cloro e di benzene e metalli pesanti, tutti riferibili ai processi produttivi. Nonostante un gran numero di procedimenti legali, denunce e impegni, la bonifica non ha responsabili e finanziatori.

L’ accordo extragiudiziale della Union Carbide con il governo di New Delhi avvenne, come scritto, nel 1989. L’Union Carbide fu acquistata da Dow Chemical, che nel 1994 cedette l’ impianto e le sue attività indiane a una consociata, che a sua volta cambiò nome e struttura, ma senza mai produrre nulla nell’impianto che ancora domina la città. Una doppia beffa per le vittime ancora in vita della catastrofe, per i nati negli anni con gravi malformazioni e per la cittadinanza a rischio di quella che per gli ambientalisti è “Bhopal 2.0”, ovvero una catastrofe annunciata, in corso e che peggiorerà.

Di Bophal sI è impadronita sia la letteratura, Mezzanotte e cinque a Bophal di Dominique Lapierre e Javier Moro, che il cinema, Bophal a prayer for rain ed altri. Si sono prodotti anche vari documentari.

L’ attore e autore di teatro Paolini molti anni fa ha magistralmente spiegato e raccontato il dramma di Bophal in un monologo che può essere visto su You Tube:

http://www.youtube.com/watch?v=UMeOmAgt1qU&feature=youtube_gdata_player

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