Un bilancio di Expo, dietro le cifre, negativo. Una gestione opaca. Un gran ristorante. E pericolosi conflitti di interessi se diverrà sindaco. Il consigliere comunale storico della sinistra non risparmia bordate al candidato, secondo lui, dei neo-affaristi. Unica possibilità fermarli con un referendum sulla destinazione delle aree dopo-Expo.
di Giuseppe Caravita – 28/01/2016
Sala Alessi (piena), Palazzo Marino, martedì scorso. Organizza Costituzione e Beni comuni, l’associazione creata da esponenti storici della sinistra milanese, da Franco Calamida a Vittorio Agnoletto, a Emilio Molinari. Il tema: il bilancio di Expo e il suo dopo. E, manco a farlo apposta, sotto la lente va proprio la gestione di Beppe Sala, che di Expo è stato l’artefice e ora si appresta a correre, in pole position, per la poltrona di sindaco di Milano.
Principale relatore, com’era prevedibile, Basilio Rizzo. Oppositore puntuto in consiglio comunale fin dal 1983, quando contestava la Milano da bere e i suoi infausti corifei. Fresco dalla movimentata audizione di Sala del giorno prima, in cui il commissario Expo ha cominciato a esporre ai consiglieri comunali le prime cifre a consuntivo dell’evento, Rizzo fin da subito le ha contestate in pieno. <Ci hanno raccontato che sono riusciti ad avere il bilancio in pareggio. Anzi con un leggero utile, pari a 14 milioni di patrimonio netto. Sarà anche vero ma questo risultato significa che tutti i bilanci precedenti dell’Expo erano in passivo. Come mai? Semplice. Succede che questa è una strana società in cui qualcuno ha messo tanti soldi che sono stati spesi, e di solito quando questa società si scioglie questi soldi chi ce li ha messi li vorrebbe indietro>.
Secondo alcune stime il totale dei fondi pubblici messi dentro Expo supererebbe il miliardo, a fronte di soli 14 milioni di patrimonio netto restante. <Quanto ci ha messo soltanto il Comune di Milano nella società Expo? 161 milioni e 20 euro, un dato che ho avuto direttamente dagli uffici del Comune. – continua Rizzo – Questo significa che abbiamo perso ben 161 milioni. Una cifra piuttosto grossa, pari a 11mila alloggi popolari recuperati. Invece a cosa sono serviti questi investimenti? Abbiamo ricevuto un bilancio Expo in cui si dice che si sono spesi 185,7 milioni per attività di promozione, comunicazione e commercializzazione. Quanto abbiamo incassato con i biglietti? 373 milioni. Quindi abbiamo speso 185 milioni per far venire 21 milioni di persone che ce ne hanno date solo 373 milioni. Un affare magro.
Al termine di tutto questo discorso ci hanno detto che il successo sta nei 21 milioni di visitatori. Ma 5 milioni sono stati i visitatori serali. Tra cui tanti milanesi che hanno scelto l’Expo come meta gastronomica. Insomma: un grande ristorante, in cui abbiamo speso quello che abbiamo speso. Denari pubblici, di tutti. Per favorire ristoratori e simili>.
E si tratta di quattrini pubblici non solo del Comune. Ma della Regione e dello Stato centrale. Tutti salvo una, la Camera di Commercio, presieduta da Diana Bracco che ha assunto anche la presidenza della società Expo. <Presidente di tutte e due, ma non ci ha messo un euro, contro i 58 previsti>.
La gestione di Expo come, di fatto, grande ristorante ha una conseguenza precisa, secondo Rizzo: <Gli investimenti pubblici fatti avrebbero avuto un senso se portavano a una Milano come capitale mondiale del cibo e dell’acqua. Ne avremmo persino accettati, in questo caso, di più. Un investimento sul futuro>.
Purtroppo però la gestione di Expo 2015 ha completamente disatteso la sua impostazione iniziale. Nutrire il pianeta e energia per la vita è rimasto uno slogan. Poche le occasioni di approfondimento, pochi gli sviluppi tematici, nessun coinvolgimento sulla decarbonizzazione e le energie alternative – rileva Mario Agostinelli – e del tutto marginali quelle sulle filiere agricole sostenibili – spiega Vincenzo Vasciaveo dell’associazione per il parco Sud. In sintesi. Un grande evento a cui le ruote sono state cambiate in corsa, a favore di quelle più facili e scontate delle gastronomie.
<Puntiamo su questo obbiettivo alto, originario finchè siamo ancora in tempo – dice Rizzo – Milano deve essere punto di riferiemto mondiale sul cibo, l’energia, l’acqua. Altrimenti, con l’impostazione attuale del dopo Expo, arriveremo presto a una vicenda simile a quella degli scali ferroviari. Ovvero coloro che hanno ricevuto un’area pubblica, come le ferrovie, si sentono intitolati a farne quello che vogliono. Noi invece vogliamo introdurre elementi di buon senso. E un progetto. Perché questi soldi sono carne viva dei milanesi, e non solo dei ricchi che vanno al ristorante esotico. Questi soldi li abbiamo tolti ai servizi sociali, ai bisogni primari>.
Il percorso di Expo, con la sua catena di litigi e poi emergenziale ha generato un altro frutto avvelenato. <Abbiamo vissuto negli ultimi anni una sorta di animazione sospesa delle regole – dice Rizzo – Sono state fatte cose che ad altri non sarebbero state perdonate. Un esempio. La vicenda Eataly>.
Qui l’autorità nazionale anticorruzione ha espresso pesanti dubbi sulla mancata osservanza della disciplina degli appalti quando è stato affidato in modo diretto ad Oscar Farinelli il servizio pubblico di ristorazione per due edifici del decumano, a condizioni particolarmente vantaggiose e di maggior favore, se paragonate a quelle più rigorose per altri. <Mentre gli altri hanno dovuto sottostare a una gara, Eataly ha avuto l’affido diretto. E mentre gli altri hanno dovuto pagare il 12% di tasse sui ricavi, a lui solo il 4%. E in più la società Expo si è accollata i costi di elettricità, acqua, servizi. Se un qualsiasi sindaco avesse fatto una cosa del genere sarebbe stato cacciato>.
I giudici però hanno deciso di non procedere. Manca l’elemento psicologico, intenzionale, richiesto dal reato di abuso d’ufficio. Anche se però il vantaggio concesso a Eataly è indiscutibile. <Risultato: Sala è stato indagato, lui dice a sua insaputa, non è mai stato interrogato, nessuno di quelli intorno a lui gliel’ha detto – dice Rizzo- Poi il 12 gennaio è stata firmata l’archiviazione, per mancanza di quest’elemento psicologico di cooperazione>. E questo è solo un episodio. <Ma il punto è, ed è quello che preoccupa, che questa logica dei grandi eventi la si vuol trasferire alla gestione dell’intera città di Milano. Questa – temo – è l’operazione in corso>.
E poi il confuso capitolo delle due società pubbliche Expo. L’Arexpo, che detiene la proprietà dell’area. E Expo spa che ha gestito l’evento. La seconda ha pagato le bonifiche, 72 milioni, e poi richiede alla prima 75 milioni come incremento di valore (infrastrutture…) delle aree. <Qui parliamo degli stessi identici soci di Arexpo, con la sola eccezione di Fondazione Fiera. La società Arexpo risponde: se vi do questi 75 milioni fallisco. Morale. Tra qualche giorno vi sarà un fatto divertentissimo, per cui il Comune di Milano, che è socio sia dell’una che dell’altra società, andrà a votare il bilancio di Expo in cui è scritta questa rivendicazione di 75 milioni, oltre ai 72 milioni per le bonifiche. Due giorni dopo il Comune dovrà andare all’assemblea di Arexpo per votare a favore di non dare questi stessi soldi>.
Ma il peggio potrebbe venire tra qualche mese, quando verrà definitivamente votato il bilancio di Expo. Questo verrà messo sotto scrutinio, in un (normale) dibattito consiliare per l’uso degli ingenti contributi comunali e pubblici ottenuti. <Ma se fosse Sala il sindaco? Si metterebbe davanti allo specchio la mattina, Sala-sindaco a chiedere conto a Sala-commissario expo del suo operato? E di converso Sala-commissario rivendicherà allo specchio le cifre mancanti ad Arexpo, di cui è azionista-sindaco? Pensate che potrà reggere una situazione di questo genere, che in italiano si chiama conflitto di interessi?>. Una situazione abnorme.
<Vedrete come metteranno a posto la faccenda – prevede Rizzo – fonderanno le due società. In questo modo si insabbierà tutto>. Si metterà la spazzatura sotto il tappeto.
Ma il deus ex machina finale sarà Cassa depositi e Prestiti. Dove Sala ha pure un seggio in consiglio di amministrazione. Quindi quando si discuterà di Expo, Sala uscirà dalla stanza>. Oppure si dimetterà, come ha annunciato.
<Sento il profumo – conclude Rizzo – il sentire di un ritorno agli anni 80. Vedo, perché li ho conosciuti, alcuni personaggi che ritornano. Sembrano gioire di quello che sta succedendo nella nostra città. Si sta ricementando il rapporto che vi era negli anni 80-90 tra i settori affaristici dei grandi partiti, Pci e Dc con Psi come corollario. Gli eredi dei miglioristi d’affari insieme agli eredi dell’affarismo della Compagnia delle Opere sono pronti a ristabilire il vecchio sistema, anche nelle persone che vi stanno dietro. Quindi, se non saremo attenti, ci troveremo di nuovo in una pesante condizione involutiva. Il post-Expo è una partita decisiva per difendere le regole della democrazia>.
Essenziale, per Rizzo, un referendum consultivo (che può essere chiesto da tre consigli di zona) sulla destinazione delle aree del post-expo. <Si può fare. E questo è l’unico modo per mettere un freno a quel che si profila. Per evitarci una nuova tangentopoli, un’altra crisi da cui ci vorranno parecchi anni per risollevarci>.
Qui l’articolo originale dal sito www.z3xmi.it