L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom) ha oggi chiesto “piena collaborazione” alle nazioni del Sud-Est asiatico affinché cerchino soluzioni condivise e concrete per affrontare la possibile ondata migratoria, attesa con la fine della stagione dei monsoni e dei tifoni.
L’Iom chiede di trattare i profughi – in fuga dalla persecuzione in Myanamr e alla ricerca di benessere dal Bangladesh – in modo umano ed evitare iniziative improvvisate che li condannino non solo a rischiare la vita, ma anche a mettersi nelle mani dei trafficanti per superare gli ostacoli posti dai governi al loro arrivo o al loro transito.
Lo scorso anno, dopo che la chiusura improvvisa delle frontiere marittime e terrestri da parte della Thailandia aveva costretto al largo per settimane migliaia di boat-people, Malesia e Indonesia avevano accettato di accoglierne almeno 4000 per dodici mesi. Centinaia si ritiene siano annegati in mare, rimasti senza carburante e mezzi di sostentamento.
Nonostante l’impegno dei paesi coinvolti dall’esodo a contrastare le reti di trafficanti che da almeno due anni gestiscono la fuga via mare e via terra di individui perlopiù di fede islamica verso la musulmana e finora accogliente Malesia e, in via subordinata, verso Indonesia, Brunei, Filippine e Australia, i rischi per chi dovesse riprendere il mare restano elevati. Anche per questo, oltre a chiedere ai governi locali di non respingere chi dovesse arrivare sulle loro coste, l’Iom auspica che vengano aperte vie più dirette verso i paesi di destinazione e predisposti campi in cui procedere all’accoglienza, al riconoscimento dello stato di rifugiato e aprire una prospettiva di ricollocazione altrove. Evitando, ad esempio, l’imbarco su natanti dei trafficanti e lo sbarco sulle coste della Thailandia, paese che non ha firmato la Convenzione Onu sui rifugiati e sul cui territorio si trovano centri della tratta transnazionale estesa sul Sud-Est asiatico continentale e oltre, in Cina, Russia, repubbliche centrasiatiche, Medio Oriente.