Il grande movimento dei “maestros” di alcuni stati messicani attraversava un periodo di stanchezza. Le troppe marce, gli scioperi, i presìdi lo avevano indebolito e poi il governo aveva lavorato con efficacia e determinazione alla corruzione dei leader. Vasti settori della società, nello Stato di Oaxaca, quello tradizionalmente più combattivo, avevano mostrato chiara avversione nei confronti della protesta contro la riforma dell’educazione imposta dal presidente Enrique Peña Nieto. E’ stato allora che il governo federale e quello statale hanno pensato di poterli schiacciare una volta per sempre, quegli insegnanti votati alla ribellione cronica. Un grave errore. La militarizzazione dei territori e la repressione aperta, con decine di migliaia di poliziotti che costringevano gli insegnanti di Oaxaca e Guerrero a ridicoli esami di valutazione, hanno esasperato la gente. Le organizzazioni indigene, molto forti in quei territori, hanno detto che non lasceranno soli i maestros e il grande movimento ha cominciato pian piano a ricomporsi dal basso. La “Buona Scuola” dei governi autoritari fa miracoli anche dall’altra parte dell’oceano
di Gustavo Esteva – da Comune-info
L’intolleranza e l’intimidazione non saranno mai strade accettabili per imporsi agli altri, ha dichiarato il ministro degli interni il 24 novembre. Nei giorni successivi, decine di migliaia di poliziotti hanno obbligato all‘esame di valutazione i maestri di Oaxaca e Guerrero. E’ già stato superato il punto di rottura di questo modo “orwelliano” di parlare, che martella costantemente sui “media” – affermando che la guerra è pace e la miseria è prosperità – e sostiene che l’odierna caduta nell’abisso è un sicuro cammino verso il paradiso. Quel modo contraddice talmente la realtà da provocare un rifiuto radicale e rende più profonda la svalutazione delle classi politiche messicane, una svalutazione più rapida e accentuata di quella della moneta. La distanza delle classi politiche dalla gente e dalla realtà cresce di continuo.
I governi federale e statale stanno ottenendo in Oaxaca il contrario di ciò che cercavano. La distanza tra la Sezione 22 (dei maestri, ndt) e la società era andata crescendo. La corruzione dei leader, perseguita con attenzione da parte del governo, l’abuso di marce, scioperi e “sit-in”, strategie politiche sbagliate e molti altri fattori avevano provocato un reale rifiuto da parte di vasti settori della società di Oaxaca. Ma le autorità hanno commesso un grave errore, lo stesso di Ulisse Ruiz, nel pensare che era arrivato il momento di sfruttare questo stato d’animo per sottomettere la Sezione con la forza.
Alle autorità risulta incomprensibile la reazione che stanno vedendo. “Non lasceremo soli i maestri“, dicono le popolazioni indios. Nella capitale, perfino chi era stufo delle mobilitazioni e dei “sit-in” che disturbavano il traffico, rifiuta, irato, la militarizzazione della città e gli eccessi della repressione, particolarmente a causa della odierna moderazione dei maestri di fronte alla continua provocazione.
La Sezione 22 comincia a ricomporsi a partire dalle basi. E’ nata da un movimento di maestri che per una decade è rimasto in piedi senza “quote” sindacali [1] e con tutto contro. Le sue radici sociali sono profonde. Il movimento sindacale si è trasformato più tardi in movimento pedagogico, per concertare con i genitori e le comunità il percorso educativo. La sua struttura interna fa sì che i maestri riprendano dal basso il controllo del proprio sindacato e governino le differenze politiche e ideologiche che li hanno mantenuti divisi al loro interno. Possono recuperare le loro relazioni con i genitori e le comunità.
L’aggressiva campagna governativa di discredito ha conseguito qualcosa di più. I maestri stanno raggiungendo una chiara consapevolezza che l’aula scolastica è oggi terreno di lotta fondamentale nella guerra condotta nel paese contro la gente.La “valutazione”, come altri strumenti della riforma educativa, intende formare maestri ubbidienti e sottomessi, disposti a rispettare gli ordini che arriveranno. La campagna sta raggiungendo il risultato opposto; la resistenza e la ribellione si radicano tra i maestri, i quali sanno bene che in classe il rapporto di forze gioca a loro favore.
Lo stile orwelliano viene mantenuto nelle dichiarazioni circa l’ipotizzato trionfo della valutazione, per il fatto che ha partecipato ad essa il 60 per cento dei 4.900 convocati a Oaxaca. Solo un migliaio tra loro erano maestri della scuola primaria della Sezione 22; pochi hanno partecipato. Più di 20.000 sono rimasti all’esterno delle sedi dove si effettuava la valutazione, senza scontrarsi con i quattro cordoni di polizia e resistendo alle provocazioni.
E’ parimenti orwelliano collegare la valutazione alla qualità dell’educazione. Una domanda proponeva: “Che fare se l’impianto del gas è a rischio di scoppio?”, e chiedeva di decidere fra tre opzioni: chiamare l’intendente, allontanare i bambini o chiamare i pompieri. Maestri che hanno già affrontato questo rischio sanno che devono essere fatte tutte e tre le cose (se ci sono i pompieri …), e alcune altre. Ma cosa ha a che fare ciò con la qualità dell’educazione? Secondo i maestri che sono stati sottoposti a valutazione, buona parte delle domande erano… da ridere… o con opzioni equivoche.
La valutazione non è in alcun modo irrilevante. Porta ad un limite non sopportabile la spinta a confrontare e misurare, propria del capitale e dei suoi amministratori governativi, alla ricerca del controllo delle menti e dei comportamenti e a frantumare il tessuto sociale.
Come ha spiegato il palestinese Munir Fasheh alcuni giorni fa a Oaxaca, si tratta di un procedimento peculiare della “tribù europea”. Quasi tutte le tribù creano schiavi di qualche tipo, ma solo quelli della tribù europea si sentono orgogliosi di esserlo. Per questo serve la valutazione: per addomesticare i maestri, per renderli schiavi della burocrazia incompetente che amministra l’educazione… e perché si sentano orgogliosi di questa condizione al servizio del capitale e non dei popoli.
E’ difficile immaginare un insuccesso più completo di questa manovra. A Oaxaca, almeno, nemmeno i valutati si sentono orgogliosi di avervi partecipato. Si è prodotto, in cambio, un risveglio profondo. Dobbiamo essere aperti alla sorpresa.
[1] La quota obbligatoria per legge da versare ai sindacati.
Questo articolo è già uscito su La Jornada
Traduzione a cura di Camminar Domandando
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