In occasione della Giornata internazionale dei migranti, Amnesty International ha chiesto ai governi di agire per proteggere i migranti che fuggono attraverso gli stessi percorsi dei rifugiati e corrono i medesimi rischi.
Il sud-est asiatico e l’America centrale sono stati particolarmente interessati dalla crisi in corso.
A maggio, migliaia di persone partite da Myanmar e Bangladesh hanno subito orribili violenze a bordo di navi nel Golfo del Bengala e nel mar delle Andamane. Dopo aver commesso pestaggi e omicidi e aver tenuto le persone a bordo in condizioni inumane e degradanti, gli equipaggi hanno abbandonato le imbarcazioni lasciando andare alla deriva migranti e rifugiati per lungo tempo prima che potessero trovare un’accoglienza provvisoria in Indonesia e Malesia.
“Mentre l’attenzione mondiale si concentrava sulla crisi globale dei rifugiati, la situazione dei migranti è rimasta in larga parte invisibile” – ha dichiarato Champa Patel, direttrice per l’Asia sud-orientale di Amnesty International.
“I migranti sono spesso costretti a lasciare le loro abitazioni a causa della povertà estrema e delle difficoltà che rendono impossibile aspirare a una vita dignitosa. Come i rifugiati, vanno incontro a sfruttamento da parte dei trafficanti e rischiano di essere arrestati o di morire lungo percorsi pericolosi e irregolari” – ha aggiunto Patel.
I governi della regione danno priorità alle misure di sicurezza piuttosto che alla protezione dei migranti e dei rifugiati, i quali continuano a intraprendere pericolosi viaggi in mare.
Amnesty International chiede ai governi del sud-est asiatico di porre in essere misure concrete per assicurare l’incolumità e la protezione dei migranti in transito nei loro paesi.
Quello lungo il Messico è tra i percorsi terrestri più pericolosi al mondo, attraversato ogni anno da migliaia di migranti – molti dei quali sono minori non accompagnati – provenienti da tutta l’America centrale e diretti negli Usa.
Lungo il percorso messicano, i migranti in fuga da livelli estremi di povertà e violenza sono vittime di rapimenti, sparizioni, violenza sessuale e omicidi. Se da un lato è positiva l’istituzione, da parte del governo di Città del Messico, di una commissione incaricata di esaminare i resti dei migranti vittime di massacri, le indagini su quelli avvenuti tra il 2010 e il 2012 negli stati di Tamaulipas e Nuevo León vanno avanti in modo vergognosamente lento e i responsabili dei rapimenti, delle uccisioni e delle sparizioni vengono raramente processati. Amnesty International chiede dunque al governo messicano misure più incisive per proteggere i migranti lungo il loro percorso verso gli Usa.
Per quanto riguarda l’Europa, Amnesty International sottolinea nuovamente la situazione lungo la cosiddetta “rotta del Balcani”, percorsa da migliaia di migranti e richiedenti asilo: obbligati ad affidarsi a trafficanti per viaggi costosi, pericolosi e illegali e vittime di azioni illegali, compresi i respingimenti alla frontiera, da parte dei governi dell’area. Amnesty International chiede quindi alle istituzioni europee di fare pressione sugli stati membri affinché rispristino condizioni dignitose di accoglienza alle proprie frontiere, garantiscano assistenza adeguata e un’opportunità genuina di presentare domanda d’asilo e collaborino al sistema comune di ricollocazione in maniera tempestiva ed efficace.
A proposito dell’Italia, Amnesty International sin da ottobre ha espresso al governo grande preoccupazione circa l’applicazione del cosiddetto “approccio hotspot”. Amnesty International Italia ha ricevuto molte segnalazioni relative a nuove prassi che violerebbero il diritto europeo dell’asilo e il diritto internazionale dei diritti umani. In particolare, esse riguardano la mancanza di strutture di prima accoglienza adeguate e di sufficienti informazioni sulla procedura di asilo, la centralità del processo di registrazione e identificazione e dei controlli di polizia a discapito dei bisogni delle persone in difficoltà, l’esclusione di molte nazionalità di origine dei richiedenti asilo dal sistema europeo di ricollocazione, nonché il rischio per le stesse di essere sottoposte a espulsioni collettive.