Senza reticenze, senza ipocrisie, senza eufemismi, il nocciolo della questione e’ questo: che l’invio di 450 soldati italiani alla diga di Mosul verra’ presentato dalla propaganda dell’Isis come “un’invasione crociata” delle truppe di uno degli stati che dagli anni Novanta ha preso parte alla guerra e alle stragi e successivamente all’occupazione militare neocoloniale, devastatrice, rapinatrice, imperialista e razzista dell’Iraq.
E questa propaganda sara’ ovviamente svolta – come e’ proprio della strategia terroristica – attraverso sanguinosi attentati che potranno essere diretti contro i soldati italiani, contro la diga, contro l’Italia.
Ogni persona ragionevole e’ in grado di prevederlo.
Cosi’ come ogni persona ragionevole sa che l’indispensabile prerequisito per una adeguata operazione di polizia internazionale che contrasti realmente l’Isis in modo appropriato ed efficace e’ la cessazione della guerra e di tutti gli atti alla modalita’ della guerra riconducibili.
L’insediamento territoriale dell’Isis in una vasta area tra l’Iraq e la Siria e’ principalmente la conseguenza delle guerre eseguite in proprio o attraverso mandatari dalle potenze euroamericane che hanno provocato – insieme alle stragi, le devastazioni, la disperazione e la barbarie che tutte le guerre implicano e disseminano – la destrutturazione degli ordinamenti giuridici in entrambi i paesi ed il riprodursi, l’imporsi e l’estendersi della violenza terrorista e schiavista su scala sempre piu’ ampia, in forme sempre piu’ pervasive.
Qualunque intervento militare europeo e americano nell’area in quanto prosegue la guerra e le stragi segna ipso facto il trionfo dell’Isis, lo rafforza nell’organizzazione e nell’ideologia, nella strategia e nella propaganda, e ne moltiplichera’ il reclutamento e gli attentati li’ e in tutto il mondo.
Per contrastare la barbarie dell’Isis lo strumento militare e’ peggio che inadeguato, e’ del tutto controproducente; la presenza in loco di truppe europee o americane, cosi’ come la prosecuzione dei bombardamenti che provocano ulteriori stragi di civili, e’ il piu’ grande aiuto che i governi euroamericani forniscono all’Isis, la piu’ sciagurata, infame e insensata forma di complicita’ con il terrorismo.
La tragedia dell’Afghanistan dovrebbe pur aver insegnato qualcosa.
La tragedia della Libia dovrebbe pur aver insegnato qualcosa.
L’analisi razionale degli esiti dello scatenamento di tutte le guerre dovrebbe pur aver insegnato qualcosa.
Il nocciolo della questione e’ questo: l’invio di soldati italiani alla diga di Mosul e’ un ulteriore passo nell’escalation onnicida, e’ un ulteriore passo verso l’estensione della catastrofe.
Occorre invece l’esatto contrario: immediate trattative di pace in Siria, come auspicato dall’Onu; immediate azioni di disarmo e di smilitarizzazione dei conflitti; avvio di un’operazione di polizia internazionale che innanzitutto tagli i rifornimenti all’Isis; immediati ingenti soccorsi umanitari alle popolazioni; azione diplomatica, politica, economica; interventi di pace con mezzi di pace; ricostruzione delle infrastrutture amministrative che forniscano i servizi essenziali alle popolazioni vittime di guerre e dittature, vittime di devastazioni e violenze inaudite, e vittime anche della cinica nostra politica.
Il terrorismo non si sconfigge con le armi; le armi sono gia’ il terrorismo.
Il terrorismo non si contrasta con la guerra; la guerra e’ gia’ il terrorismo.
L’organizzazione criminale dell’Isis va affrontata con gli interventi e gli strumenti civili e di polizia appropriati: il popolo italiano lo sa, poiche’ della violenza terroristica neofascista, della violenza terroristica nichilista, della violenza terroristica mafiosa ha fatto dura esperienza nelle proprie carni; sa che alla mafia non ci si oppone bombardando Palermo o Roma; sa che al neofascismo non ci si oppone dispiegando truppe; sa che il primo dovere di un ordinamento giuridico costituzionale democratico e’ operare per salvare le vite. E per salvare le vite non atti di guerra occorrono, ma di pace, di umanita’, di civilta’.
Occorre convincere il governo a recedere immediatamente dall’annunciata dissennata decisione di inviare 450 soldati a Mosul. Ed occorre che receda subito perche’ nel perverso intreccio tra guerra asimmetrica, societa’ dello spettacolo, terrorismo come propaganda e globalizzazione dei massacri, gli stessi proclami ad uso dei media, gli stessi annunci televisivi, generano immediatamente effetti letali nella realta’: il semplice annuncio dell’invio dei soldati puo’ gia’ scatenare un’escalation, puo’ gia’ provocare attentati, puo’ gia’ portare a nuove stragi altrimenti evitabili.
Occorre convincere il governo a recedere immediatamente dall’annunciata dissennata decisione di inviare 450 soldati a Mosul. Le stupefacenti motivazioni dell’insensata e inammissibile decisione cosi’ come esposte dal presidente delle Consiglio dei ministri e dalla ministra della Difesa prostituiscono i soldati italiani (ripetiamolo: mettendo in gravissimo pericolo le vite loro, di ogni cittadino italiano, e di innumerevoli persone abitanti a valle della diga di Mosul) ad un’operazione di accaparramento di una commessa da parte di un’impresa privata: e non e’ chi non veda la flagrante illegalita’, immoralita’ e follia di questa operazione in cui vite umane vengono messe a rischio dallo stato italiano a mero vantaggio dell’arricchimento di un soggetto privato.
Occorre convincere il governo a recedere immediatamente dall’annunciata dissennata decisione di inviare 450 soldati a Mosul. Il governo deve revocare una decisione che fin d’ora mette in pericolo innumerevoli vite: in tanto un governo democratico in uno stato di diritto e’ legittimato a governare in quanto la sua azione e’ intesa a rispettare, difendere e salvare le vite; la decisione dell’invio dei soldati a Mosul e’ palesemente fuorilegge, e’ palesemente scellerata, e’ palesemente assurda, e’ palesemente in conflitto con il primo dovere del governo stesso: rispettare le leggi, rispettare le vite.
Occorre convincere il governo a recedere immediatamente dall’annunciata dissennata decisione di inviare 450 soldati a Mosul. Il resto e’ silenzio.
Peppe Sini, responsabile del “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani”