Lorenzo Constans, 63 anni, imprenditore e dirigente di corporazioni professionali è il Commissario Generale del Cile per l’Expo che ha chiuso ieri. Grazie alla gentilezza di Silvia Benedetti, che ha seguito la pubblicizzazione delle iniziative di quello stand, abbiamo realizzato questa intervista.
Qual’è il bilancio che voi, come stand cileno, fate di questa Esposizione Universale?
La mia opinione potrebbe non essere pienamente imparziale visto che sono stato coinvolto, in prima persona, in questi ultimi sei mesi dell’Esposizione. Difficile formulare un giudizio sul proprio lavoro: rischiamo di essere poco esigenti ed obiettivi con noi stessi. Per quanto riguarda la partecipazione del Cile all’Expo preferisco dunque basarmi su alcuni fatti e dati reali e lasciare a chi legge la possibilità di farsi un’idea propria.
Abbiamo ricevuto nel nostro Padiglione circa 1.100.000 visitatori dal 1° maggio. Il nostro negozio e il nostro ristorante sono tra i tre più visitati dell’Expo. La stampa internazionale è stata molto generosa con noi. Penso a quella italiana ma anche a quella straniera (es.: Venezuela, Francia, Spagna etc.) Abbiamo organizzato numerosi eventi che sono piaciuti al pubblico e che spaziavano dalla gastronomia all’artigianato, dalla musica alla scultura. Abbiamo voluto mostrare l’immensa diversità del nostro Paese, le sue radici culturali e dar voce alle minoranze etniche. Per quanto riguarda i premi sulla sostenibilità, il padiglione cileno ha ricevuto una nota di merito per tre categorie su quattro. E, ieri sera, il Bureau International des Expositions ci ha assegnato la medaglia d’argento per la categoria Architettura (per i Padiglioni di meno di 2000 metri quadri). Insomma oggi mi concedo il lusso di essere orgoglioso del lavoro compiuto da noi tutti.
Che cosa avete appunto provato dopo la premiazione di ieri sera?
Un’immensa soddisfazione e una grande gioia. Del resto questo è il risultato dell’unione delle forze di una squadra eterogenea ma coesa di persone che condividevano un unico obiettivo. Siamo riusciti a raggiungere, insieme, i nostri traguardi. E il premio per l’Architettura ci fa ancora più piacere visto che l’abbiamo ricevuto in Italia, la culla della cultura e dell’arte.
Il tema dell’alimentazione è un tema ancora grave in molti paesi del mondo: qual’è la prospettiva che voi, gente del Sud, avete su questo problema?
Il Cile è un Paese ancora in fase di sviluppo che affronta quotidianamente sfide importanti. Io penso che le questioni che Lei evoca sono intimamente legate alla tematica dell’educazione e della conoscenza. L’educazione è un tema fondamentale per il nostro Paese, anche in relazione a quello dell’alimentazione, e tramite l’aumento generalizzato dell’offerta di conoscenze e di sapere si cerca di donare migliori opportunità di vita, alternative valide ad un percorso di limiti, stenti o povertà. Bisogna anche rendersi conto della differenza che esiste tra un Paese europeo tradizionalmente, storicamente aperto agli scambi culturali e il Cile, una nazione remota ed isolata da un punto di vista geografico. Penso, ad esempio, ai nostri giovani che hanno meno opportunità dei giovani europei di viaggiare o imparare le lingue straniere, grazie appunto al viaggio e al confronto con l’Altro. Per noi essere qui all’Expo è stato uno sforzo immenso. Basta ricordare che ci vogliono 45 giorni di nave per venire in Italia (es. per le merci) e un giorno intero di viaggio in aereo. L’essere qui presenti per offrire la nostra esperienza, nonostante queste difficoltà, è già una nostra risposta alla questione evocata dall’Expo. E questa può essere ulteriormente e positivamente approfondita attraverso il dialogo, l’interazione tra persone, tecnologie e abitudini diverse.
Il Cile è riuscito a farsi meglio conoscere, nelle sue grandi bellezze naturali e culturali, in questa Expo?
Mi hanno spesso chiesto se valeva la pena partecipare all’Expo visti i grandi investimenti umani e finanziari che sono stati necessari per farlo. Io penso di sì. Siamo riusciti a mostrare che un Paese piccolo e remoto è capace di competere nell’arena dei “grandi”, se le cose vengono fatte con competenza, serietà e… anche con qualche piccolo errore. L’Expo è una vetrina straordinaria per mettere in mostra ciò che un Paese ha di meglio da offrire. Per quanto riguarda il Cile penso alle ricchezze geografiche del nostro variegato territorio, alle risorse umane e ai prodotti della nostra terra. Qui all’Expo, non si tratta di una proposta episodica ed effimera di sé: si viene a vivere in maniera stabile per sei mesi nella città che ospita l’esposizione. Mi piace anche pensare che i nostri anfitrioni (cileni venuti dal Cile, cileni che vivono in Italia ed italiani che conoscono bene il Cile) abbiano, con la loro accoglienza e sorriso, mostrato il volto migliore del nostro Paese.
L’Expo è servita al dialogo Nord Sud? E, se sì, in che modo e quanto?
Il postulato di base per un dialogo tra persone diverse è l’interesse che le parti provano l’una per l’altra. Dobbiamo interessarci a chi è diverso da noi e questa Expo ha aiutato tutti in questo senso. Poi, per avere un dialogo proficuo ci vuole anche una ragione valida per conversare insieme e confrontarsi. I Paesi del Sud devono proporsi come nazioni interessanti, forti e portatrici di speranza e ottimismo. Solo in questo modo il Nord avrà voglia di dialogare con l’emisfero Sud. Per me questa Expo è l’inizio di un dialogo. Il mio desiderio più grande è che, con questo nostro Padiglione, nei visitatori sia germogliata la voglia di venire a scoprire il Cile.
Una delle polemiche più roventi sono state alcune sponsorizzazioni da parte di multinazionali non troppo indicate a parlare di corretta alimentazione: lei come vede il problema? Voi come vi siete regolati con il tema degli sponsors?
Sono un uomo che viene dal settore privato. E credo che un Paese non può svilupparsi senza la presenza di imprese ed imprenditori innovatori, dinamici, proiettati verso il futuro. Certamente tutti devono operare nel pieno rispetto dell’ambiente e della popolazione. Credo anche che la presenza di svariate imprese forti permetta di decentralizzare decisioni delicate che spesso sono nelle mani di un gruppo ristretto di persone. Noi con il Padiglione cileno abbiamo voluto mettere in mostra la forza dei piccoli attori economici del nostro Paese, delle micro-imprese familiari che durante questa Expo hanno potuto promuovere per la prima volta i loro prodotti in Europa. Ed Arauco (impresa cilena specializzata nella fabbricazione di polpa di cellulosa e derivati come il legname segato e i pannelli), nostro sponsor, ci ha permesso di avere un Padiglione ad “Emissioni Zero”. La neutralizzazione delle emissioni si realizza in gran parte mediante l’uso dei Certificati di Riduzione delle Emissioni (cers) dello stabilimento di cellulosa ARAUCO – che genera energia pulita a partire dalla biomassa forestale e il cui processo è registrato nell’ambito del Protocollo di Kyoto – e con un programma di forestazione nella Patagonia realizzato dalla Fondazione “Reforestemos Patagonia”.
Per quanto riguarda la nostra partecipazione, è stato il risultato di un’alleanza pubblico-privato. Si è trattato di un “Progetto-Paese” ed ha funzionato bene.
L’Expo è iniziata con contestazioni. A parte i violenti e gli eccessi, quanto pensa che le critiche abbiano contribuito a migliorare l’Expo?
Sì, mi sono giunte le voci di critiche iniziali. Ma noi eravamo così impegnati a finire il tutto in tempo, rispettando i criteri imposti dall’organizzazione, che abbiamo prestato poco ascolto a queste contestazioni. E’ anche vero che non è assolutamente facile organizzare un’esposizione internazionale di questo tipo. Il cammino di ogni grande impresa collettiva è seminato di ostacoli. Per quanto riguarda l’esperienza diretta del Cile, posso solo dire che ci siamo sempre sentiti capiti ed appoggiati dagli organizzatori italiani e non posso lamentarmi di nulla. Se ci sono stati momenti difficili all’inizio, con questi meravigliosi sei mesi a Milano e il Premio ricevuto ieri sera… sono stati completamente dimenticati.