Le difficoltà del dopo-terremoto sembrano aggravarsi di giorno in giorno, anche nel campo medico-sanitario. Il blocco delle vie di comunicazione con l’India, a partire dal cruciale valico di Birgunj, come conseguenza della protesta della popolazione locale, Madeshi, per il mancato riconoscimento della sua autonomia nella costituzione in vigore dal 20 settembre, rende assai difficile l’importazione di medicinali, anche di quelli essenziali. Ancora una volta, molto gioca la dipendenza dall’India.
Non solo, infatti, l’ingombrante vicino controlla il flusso della maggior parte dei beni provenienti dall’esterno del paese, attraverso posti di frontiera che costituiscono gli unici passaggi agevoli per l’asfittica economia nepalese, ma anche perché l’India è a sua volta un paese produttore di farmaci.
A prezzi resi accessibili al più piccolo vicino che non ha sbocchi al mare, ma a costo di un protettorato di fatto anche in questo settore.
Il rischio che, oltre ai carburanti, anche i medicinali diventino presto oggetto di razionamento, è alto, mentre i rapporti tra i due paesi vanno facendosi sempre più tesi. Il governo di Kathmandu accusa infatti New Delhi di essere dietro l’autonomismo madeshi, attraverso il quale l’India potrebbe applicare un controllo ancora maggiore sul vicino.
Sarebbero almeno 350 gli automezzi carichi di medicinali bloccati al confine e le medicine necessarie devono essere fatte affluire attraverso un ponte aereo precario e costoso.
Il paese importa abitualmente il 60% delle medicine necessarie, ma la produzione interna – localizzata in maggioranza nelle aree pianeggianti al confine meridionale – è pure ridotta dalle conseguenze del doppio sisma di primavera e dagli scioperi e serrate nel Madesh. Al punto che gli interventi chirurgici negli ospedali del paese sono stati ridotti del 40% per la mancanza di strumenti ma anche di farmaci. Fonti della Croce Rossa informano che il sangue necessario viene ora importato dalla Cina.