“L’Italia può farcela” è l’ultimo saggio di Alberto Bagnai, uno dei pochi economisti che è in grado di scrivere qualcosa di originale (il Saggiatore, dicembre 2014, 461 pagine effettive, euro 20).
Bagnai riferisce molte cose giuste e interessanti ed è molto critico nei confronti dell’euro e della Germania. Inoltre cerca di fornire qualche soluzione politica ai problemi economici e industriali legati alla globalizzazione. Indubbiamente l’Unione Europea in molti casi segue un condotta politica centralista troppo rigida e molto simile al centralismo sovietico. Secondo Bagnai l’attuale assetto dell’euro non durerà a lungo, anche se a mio parere l’euro non scomparirà, almeno nel breve e medio termine (per morire moriamo tutti, uomini e istituzioni). Infatti è forse più probabile la nascita di una nuova moneta nazionale tedesca, oppure di una nuova moneta di riferimento per i paesi dell’Unione Europea non aderenti all’euro (Danimarca, Polonia, Croazia, Ungheria, Repubblica Ceca, Svezia, organizzate insieme alla Germania). La Banca Centrale Europea senza la presenza tedesca potrebbe autoriformarsi per avviare una gestione più elastica dell’euro.
Bagnai non trascura il collegamento tra l’abbassamento dei salari in molti paesi europei e l’ingresso della Cina nel WTO (World Trade Organization), ma ritiene l’impatto secondario rispetto all’ingresso dell’Italia nell’euro. Anche la Germania, seguendo delle politiche razionali o mercantiliste si è dovuta adeguare all’abbassamento internazionale del costo del lavoro in molti settori. Tuttavia la deflazione e la diminuzione generale dei prezzi di vendita comporta l’aumento delle imprese in difficoltà e della disoccupazione è anche collegata all’abbassamento internazionale del costo del lavoro (c’è la crescita economica e demografica di paesi come il Vietnam, in India). A mio parere i grandi problemi dell’Italia sono nati nel mese dicembre 2001, quando la Cina è entrata nel WTO è ha iniziato ha produrre merci di basso costo di tutti i generi. Infatti in precedenza era l’Italia a ricoprire il ruolo della Cina in Europa e in parte anche nel mondo.
Io mi ricordo perfettamente dei numerosi calzaturifici romagnoli e delle aziende che lavoravano nell’abbigliamento e nel relativo indotto. Se un lettore molto attento ripensa alle recessioni segnalate da Bagnai può vedere che nel 2003, nel 2004 e nel 2005, ci sono state le recessioni da due trimestri, probabilmente dovute all’ingresso italiano nell’euro nel 2002 e alla fine dei risparmi di molti italiani che li hanno utilizzati per affrontare l’aumento dei prezzi causato dall’italianità dei commercianti e di molti professionisti, e dei politici che hanno omesso i dovuti controlli (da noi i prezzi sono quasi raddoppiati mentre negli altri paesi gli aumenti rimanevano sotto il 5 per cento). Il cambio lira-euro è stato fissato ad un livello troppo alto, ma l’euro ha consentito di pagare molto meno i vari prodotti energetici, cosa che è risultata molto utile ad un grande paese manifatturiero.
Forse la recessione da tre trimestri avvenuta nel 2001, prima della nascita dell’euro è in grado di spiegare meglio la causa principale della crisi italiana. Infatti è probabilmente legata al primo grande aumento degli investimenti internazionali produttivi in Cina per finanziarie la grande massa di prodotti pronti a conquistare il mondo senza nessun limite a partire dal 2002. Naturalmente molti investimenti esteri sono finiti anche negli altri paesi asiatici come l’India e il Vietnam (da dieci anni in forte crescita e ultimamente definita la Cina del 2015). Negli anni precedenti molte multinazionali preferivano fare i loro investimenti in Italia, uno dei paesi europei con il costo del lavoro più basso e sicuramente meglio situato dal punto di vista logistico per la vendita delle merci in Europa, in America, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. Anche il Giappone ha sofferto della concorrenza della Cina e di paesi molto tecnologici come la Corea del Sud.
Comunque la successiva progressione delle crisi recessive italiane sembra molto definita: le due grandi recessioni da cinque trimestri sono avvenute nel 2008 e nel 2009 e quella da nove trimestri c’è stata dal 2011 al 2013. Naturalmente è molto difficile separare gli effetti dell’ingresso della Cina nel WTO e dell’introduzione dell’euro in Italia, avvenuti entrambi nel 2002. L’introduzione dell’euro ha sicuramente aggravato gli effetti dello scontro frontale con la Cina. Però anche senza l’asfalto bagnato dall’euro, si sarebbero contati innumerevoli feriti, morti e disoccupati.
D’altra parte circa la metà della crisi europea e italiana è dovuta anche alla cattiva distribuzione del reddito che da molti decenni caratterizza tutte le economia più evolute. Come indicato da Bagnai la globalizzazione finanziaria ha favorito le rendite del capitale e i profitti, mentre gli aumenti di produttività del lavoro non hanno premiato equamente i salari e gli stipendi reali dei lavoratori. Di anno in anno i lavoratori clienti si sono trasformati in lavoratori debitori e la domanda di beni è stata finanziata dai debiti a breve e a medio termine (carte di credito e debito pubblico). La moneta (quasi) unica europea ha peggiorato la situazione degli stati con un debito pubblico più elevato e con un sistema economico più debole. Quindi la soluzione principale di Bagnai consiste nel finanziare la domanda aggregata (i consumi) attraverso “una razionale indicizzazione dei salari” calcolata in base all’aumento dei prezzi e agli aumenti di produttività. Tuttavia le migliori soluzioni dovrebbero essere attuate a livello europeo, attraverso “sistemi di condivisione del rischio economico”, ad esempio creando un sussidio di disoccupazione europeo.
Quasi tutto in economia dipende dai punti di vista e dai momenti storici, comunque esiste una verità molto semplice: “la Germania è il pensionato d’Europa. È un paese che affronta una crisi demografica… con un sistema pensionistico, come certifica la Commissione Europea (2012), meno sostenibile del nostro… Come per ogni creditore (e per ogni pensionato), l’atteggiamento politico della Germania è quindi deflazionistico: il creditore è nemico dell’inflazione, perché legittimamente teme l’erosione del potere d’acquisto delle somme che ha dato… Ma anche qui incombe lo spettro del fallimento del mercato: chiedendo rigore ai paesi del Sud e alla Bce, per evitare che l’inflazione intacchi il suo gruzzoletto di crediti esteri, la Germania distrugge valore in tutta l’Eurozona e strozza i suoi debitori, che sono anche gli acquirenti dei suoi beni… la Germania sta segando il ramo sul quale è seduta, e il problema è che sul ramo di sotto ci siamo noi” (p. 19).
Alberto Bagnai insegna Politica economica ed Economia della globalizzazione all’Università Gabriele D’Annunzio (vive a Roma e lavora a Pescara). Collabora con enti di ricerca francesi, inglesi e tedeschi. Scrive su http://goofynomics.blogspot.it e ha un blog sul Fatto Quotidiano. Ha fondato l’associazione www.asimmetrie.org, che promuove lo studio delle asimmetrie economiche e i dibattiti politici. Per approfondimenti accademici: www.bagnai.org.
Nota – La spesa pubblica si trasforma direttamente in reddito privato quando comporta l’acquisto di beni e di servizi dalle imprese private. Gli acquisti dei dipendenti pubblici sono invece una forma indiretta di finanziamento pubblico del reddito privato (ad esempio prendendo un caffè al bar).
Nota storica – In Italia la perdita di Pil “fra il 1929 e il 1934 (il punto di svolta inferiore della crisi) fu di circa il 5 per cento. Dal 2007 al 2013 è stata quasi del 9 per cento” (quasi il doppio). Solo durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale ci fu un crollo maggiore (diminuì del 43 per cento).
Nota politica – “La macelleria sociale si fa dopo aver indossato un bel grembiule rosso, così gli elettori di sinistra non notano gli schizzi di sangue” (p. 445).
Nota di economia politica – Nel 1992 e nel 1993 potrebbe esserci stata una recessione da sei trimestri legata a Tangentopoli (l’arresto di Mario Chiesa avvenne il 17 febbraio 1992). Infatti molti lavori pubblici vennero rallentati o bloccati. Forse questa recessione italiana seguì quella americana del 1991. Di certo l’evasione fiscale non è la causa dell’attuale crisi economica, dato che c’è sempre stata, sempre ci sarà (come negli altri paesi) e che forse in passato era pure maggiore.
Nota europea – “La crisi europea è sorta perché gli investitori [in prevalenza le banche del Nord Europa] hanno valutato male il rischio di investire nell’Europa del Sud” (Hans-Werner Sinn, 2013).
Nota americana – “Non è un’esagerazione dire che lo stile di vita americano è stato comprato a rate” (Daniel Boorstin).
Nota keynesiana – “Keynes difende l’uso del cambio flessibile come strumento per evitare la deflazione (e oggi solo l’Eurozona ha il cambio perfettamente rigido, ed è in deflazione)”. In effetti “Tutte le crisi finanziarie dei mercati emergenti si sono verificate in presenza di una qualche forma di aggancio valutario” (Ghosh et al., 2014). Anche il premio Nobel James Meade ha rivalutato la funzione difensiva della flessibilità del cambio per le varie economie nazionali. L’atteggiamento di Meade verso la flessibilità è simile a quello di Churchill verso la democrazia, definita come la peggiore forma di governo, escluse tutte le altre (1957).
Nota realista – Oramai qualsiasi economista è in grado di capire che nei paesi dove i lavoratori guadagnano troppo poco i mercati nazionali si ingessano e si atrofizzano (p. 445). Inoltre l’eccessiva specializzazione dell’economia di produzione stati, con gli investimenti concentrati in pochi settori troppo limitati espone a grossi rischi concentrati (ad esempio il forte aumento o abbassamento del costo delle materie prime a causa della scoperta di nuovi giacimenti).
Nota neorealista – L’attuale crisi italiana è iniziata nel 2008 e “secondo il Fondo Monetario Internazionale, un ente che ha fatto dell’ottimismo uno stile di vita (come dimostrano le continue revisioni al ribasso delle sue previsioni)”, almeno fino al 2020 non ne saremo fuori.
Nota iperrealista – L’euro ci protegge dalla speculazione monetaria ma non ci può proteggere dalla speculazione finanziaria: oggi non si può vendere la lira ma si possono vendere i titoli pubblici. Un vero speculatore può guadagnare di più comprando le azioni italiane a buon mercato, poiché sono state messe in crisi dall’innalzamento dello spread e dalle politiche di austerità (Bagnai, 2012).
Nota personale – Per Bagnai i soldi risparmiati sugli interessi del debito pubblico grazie all’ombrello dell’euro e all’abolizione del mercato del cambio droga il mercato del credito (p. 164). Comunque questi soldi vengono regolarmente sperperati dai vari governi italiani, di destra e di sinistra (o quelli di UFO, cioè oggettivamente non identificati). Naturalmente oggi esiste anche la degenerazione economica legata al fondo salva Stati: “l’aumento del debito pubblico di 12 punti sperimentato dall’avvento del governo Monti, circa un terzo (3,8 punti di Pil) è dovuto a spese effettuate dallo Stato italiano per salvare gli altri Stati… Per farla breve: l’Imu va in Germania, passando per la Spagna” (cioè va alle banche private, pagina 82).
Nota monetaria – L’euro ha dimostrato che per creare una moneta non serve uno Stato, ma basta una banca. Il Bitcoin ha dimostrato che per creare una nuova moneta basta qualcuno che abbia voglia di comprarla con un’altra moneta (https://it.wikipedia.org/wiki/Bitcoin). Bagnai a volte risulta un po’ troppo antimodernista. Del resto tutte le banche creano moneta quando fanno credito attraverso i mutui (e questo Bagnai lo sa benissimo). Comunque il vero problema sorgerà quando una grande multinazionale deciderà di crearsi una moneta privata.
Note basilari di filosofia economica – “Si fa più attenzione alle cose che costano di più” (p. 102). La speculazione non può essere fermata: “per speculare non occorre la tecnologia, basta la biologia: tutto quello che serve è un cospicuo serbatoio di pirla… è una costante biologica” (p. 116). “Una produzione di massa richiede un consumo di massa” e i lavoratori dovrebbero essere pagati bene, in modo da poter comprare le cose più utili. Però troppe multinazionali pagano poco i lavoratori e preferiscono vendere con il credito al consumo, guadagnando anche dal meccanismo usuraio del debito. I tedeschi sono troppo parsimoniosi per cui preferiscono vendere e non comprare: “il surplus tedesco ha raggiunto nel 2014 l’incredibile e insana cifra di 237 miliardi di euro”. Questa tendenza comportamentale estrema è l’altra importante causa dell’attuale crisi europea.
Nota utile agli speculatori futuristi – Di solito “Si guadagna molto di più cercando di anticipare quello che gli altri prevedono stia per accadere a breve, anziché valutando quale investimento sia più produttivo a lungo… guadagni subito,e guadagni anche se l’impresa profitti non ne fa” (2012).
Nota autoriflessiva – Mi risulta comprensibile l’autorazzismo degli italiani, se penso alla classe dirigente indecente della storia italiana (potevamo rimanere neutrali in entrambe le guerre mondiali, guadagnando di più dal punto di vista umano e territoriale). Oltretutto devo ricordare l’attuale situazione sociale: i milioni di cittadini che pensano solo al calcio, che leggono poco o niente e che spendono troppi soldi nella consultazione dei maghi e nel gioco d’azzardo (in queste classifiche siamo tra i primi al mondo). In Europa almeno sanno riconoscere il valore della cultura.
Nota sul nostro debito pubblico – Il debito pubblico italiano è esploso dopo il divorzio del Ministero del Tesoro dalla Banca d’Italia (luglio, 1981), con l’aumento della spesa per interessi passivi (fatto ammesso dal ministro Andreatta, morto nel 2007, riportato nel libro Il tramonto dell’euro, 2012).
Nota su un debito bancario privato – Con il fallimento della banca d’affari americana Lehman Brothers le perdite sono state “più del doppio dell’ammontare dei titoli pubblici andati in sofferenza nei dodici episodi di default pubblico di un decennio” (Argentina, Russia, ecc.).