Elezioni in Tanzania – Cronaca di Leopoldo Salmaso (seconda parte)
Campagna elettorale infuocata, quella che ha agitato la Tanzania per due mesi e si conclude con le elezioni di oggi. Per la prima volta l’esito è dato da tutti come incerto.
Dall’indipendenza dell’originario Tanganyika (1961) e dall’unificazione con l’ex pro-sultanato di Zanzibar (1964) fino al 1985 la Tanzania era governata dal partito unico CCM (Partito della Rivoluzione), sotto la guida saggia e moderata di Julius K. Nyerere, “Mwalimu-Maestro” e “Padre della Patria”. Nyerere lasciò spontaneamente il potere nel 1985, introducendo il multipartitismo e cercando un’apertura all’economia di mercato che fosse la meno traumatica possibile, cioè resistendo il più possibile ai diktat del FMI col suo famigerato aggiustamento strutturale (i soliti tagli a scuola, sanità, sicurezza sociale per affidarsi alla “provvidenziale mano invisibile del mercato”). Certo l’Ujamaa – Socialismo Africano di Nyerere non aveva sottratto la Tanzania dall’arretratezza economica, e certamente per i limiti intrinseci nei sistemi socialisti, ma prima o poi si chiarirà anche il determinante ruolo che esercitò lo sfruttamento neocolonialista e, ancor di più, il feroce e iniquo gioco sul cambio scellino/dollaro…
Resta innegabile il risultato politico che Nyerere raggiunse e consolidò: una nazione pacifica, solidale, multietnica e multireligiosa, unica in tutto il continente a parlare una sola lingua che non sia quella di conquistatori e coloni, numero uno al mondo per estensione di parchi e riserve naturali. Unica ad avere un esercito fatto di studenti con almeno il diploma di scuola superiore, a mezza strada fra difesa e servizio civile, per nulla propensi alla violenza gratuita ma pronti a intervenire in tutta la regione, su vari mandati ONU/OUA, per sventare vari colpi di stato e tentativi di destabilizzazione.
Come tanti altri, la regina Elisabetta rimproverò a Nyerere di governare attraverso un partito unico ma lui rispose che dentro il suo CCM chiunque poteva votare contro la proposta del partito, mentre nel parlamento inglese lui vedeva conservatori e laburisti costretti a votare contro la propria convinzione “per disciplina di partito”. Oggi succede così anche in Tanzania, con tutte le aggravanti tristemente note a noi italiani: cooptazione, corruzione, cariche accessibili solo ai ricchi e/o parenti… Di fatto questa campagna elettorale è stata monotonicamente improntata allo scambio di accuse, tese a classificare chi era più corrotto di chi, e allo scambio di promesse in una spudorata gara a chi le sparava più grosse. Il candidato presidente del partito sfidante (CHADEMA) è Edward Lowassa, già primo ministro nelle file del CCM, costretto alle dimissioni pochi anni fa per un grave fatto di corruzione. Nessuno nega che più implicato di lui era l’intoccabile presidente Jakaya Kikwete, tant’è che ora Lowassa può raccogliere grandi consensi per essere stato uno dei pochi a pagare. Il CCM, costretto sulle difensive, ha candidato un onest’uomo che mi ricorda tanto il nostrano Zaccagnini, che una DC logorata tirò fuori come il proverbiale coniglio dal cilindro qualche decennio fa…
Agnes, 53 anni, cuoca alla foresteria dei Passionisti di Dar es Salaam, mi dice che ai tempi di Nyerere loro potevano scegliere fra tre candidati per ogni carica, e il loro criterio era semplice: possiede due automobili? – bocciato! Ha studiato e ripaga la comunità per l’investimento che essa ha fatto su di lui? – votato!
Le cose, passate e presenti, sono certamente più complesse, ma forse anche noi occidentali, professoroni di democrazia e sempre pronti ad esportarla con portaerei e droni, potremmo imparare qualcosa studiando il caso Tanzania.
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