Sei mesi dopo il tragico terremoto l’emergenza non è ancora terminata e la crisi dovuta alla chiusura del confine con l’India, peggiora le condizioni socio-economiche del Paese. A poche settimane dall’inizio della rigida stagione invernale, sono ancora migliaia i nepalesi che vivono in strutture provvisorie.
Sei mesi dopo la prima devastante scossa di terremoto di magnitudo 7.6 che ha provocato oltre 9mila vittime e ferito 23mila nepalesi, il processo di ricostruzione procede ma con alcune criticità. Sono moltissime le famiglie ancora alloggiate in strutture temporanee e prive delle risorse economiche per la ricostruzione di abitazioni antisismiche; sui circa 8mila edifici scolastici colpiti dal sisma in 49 distretti, sono molti quelli ancora in macerie, con gravi conseguenze per l’istruzione di migliaia di bambini, che non vanno a scuola o fanno lezione in strutture inadatte.
Nonostante la risposta all’emergenza lo scorso aprile sia stata massiccia a livello mondiale, le sfide che le organizzazioni internazionali si trovano ad affrontare sul terreno, in particolare con l’avvicinarsi delle temperature rigide invernali, sono diverse. Nelle aree montagnose la ricostruzione è andata avanti a rilento, a causa delle difficoltà di far arrivare i materiali da costruzione e le diverse merci; a questo si è aggiunta l’incertezza politica vissuta a fine settembre, con l’adozione di una nuova Costituzione federale, che ha contribuito a rallentare non solo l’economia nazionale ma anche il lavoro di ActionAid soprattutto nelle aree rurali. Inoltre il blocco attuale del confine con l’India che ha interrotto ogni rapporto commerciale con il Nepal, impedendo l’importazione dei materiali necessari alla ricostruzione e ha costretto il Paese a una riduzione delle scorte di carburante con gravi ripercussioni sull’economia.
“Molte famiglie hanno perso tutto quello che avevano e qualsiasi mezzo per vivere – dichiara Marco De Ponte, Segretario Generale di ActionAid –ed ora l’inverno si avvicina. Come avviene in molte regioni colpite dalle emergenze, anche in Nepal si registra un preoccupante aumento della percentuale di vittime di traffico per manodopera forzata, unica soluzione per i più poveri e vulnerabili che cercano di sopravvivere. Inoltre, soprattutto nelle aree rurali, la ricostruzione non è stata rapida come nella capitale e le stesse autorità governative faticano ad intervenire in località più isolate.”
Quasi un terzo della popolazione è stata vittima dei danni provocati dal sisma dello scorso 25 aprile (602.567 le abitazioni completamente distrutte e 285.255 gravemente danneggiate). La risposta al terremoto da parte di ActionAid, che è presente nel Paese da oltre 30 anni, è stata immediata, in particolare nelle zone più colpite come i distretti di Sindhupawlchock e Kavru, e nella Valle di Kathmandu: in questi sei mesi ActionAid ha aiutato oltre 120mila persone, attraverso progetti di aiuto psico-sociale, distribuzione di beni di prima necessità, allestimento di abitazioni e strutture temporanee, creazione di centri educativi, con spazi dedicati soprattutto ai più piccoli e fornitura di kit scolastici. Per esempio nel villaggio di Garimudi, distretto di Dolakha, sulle colline himalayane a 150 km da Kathmandu, la scuola originaria è ancora in fase di ricostruzione; i bambini sono stati costretti a fare lezione in un magazzino freddo e male illuminato, con due o tre classi accorpate per mancanza di spazio. In attesa della completa ricostruzione, ActionAid ha messo in piedi un’aula provvisoria che rispetta le esigenze degli studenti ma anche i criteri antisismici.
ActionAid è stata tra le poche organizzazioni che oltre a fornire i materiali ha inviato ingegneri nepalesi nelle aree più colpite, per assistere con competenze tecniche la popolazione, nelle prime fasi della ricostruzione.
“Ora la nostra organizzazione che ha appena terminato una missione di monitoraggio sul terreno – dichiara Marco De Ponte – intende continuare il proprio lavoro di ricostruzione all’interno di una strategia di più lunga durata, dato che come avviene in questi casi, occorre vedere l’emergenza come una opportunità di cambiamento anche sociale per il Paese. Per questo, oltre alla ricostruzione e assegnazione di edifici permanenti a chi ancora alloggia in strutture temporanee e progetti per scuole e luoghi di lavoro antisismici, l’intervento nel Paese sta proseguendo per tutelare i diritti di categorie svantaggiate, in primo luogo e donne e bambini”.
Nelle fasi successive alle emergenze, le donne sono infatti particolarmente esposte a violazioni dei propri diritti e spesso rimangono escluse dai processi decisionali che riguardano l’emergenza. Tra i diversi progetti dedicati all’empowerment femminile, si segnala la creazione di spazi “women friendly” e il coinvolgimento delle donne in Forum specifici per assicurare la partecipazione delle donne in tutte le fasi della ricostruzione.