Nei tanti anni di attività umanista in Kenya, abbiamo ben compreso le dinamiche che determinano gli eventi sociali in tutte le loro espressioni. Abbiamo compreso che, dietro ogni accadimento, esiste un piano ben preciso che vuol far rimanere il Sud del mondo, povero, arretrato, affamato e disperato, perché, in questo modo è possibile continuare a depredarne le ricchezze, così imprescindibile per il nostro benessere di occidentali. Andando avanti abbiamo, altresì capito che, non si trattava soltanto di un tema riconducibile allo sfruttamento delle risorse naturali, ma di un vero progetto di colonialismo mentale dei credi e del pensiero generale. Fatto questo esercizio mentale, abbiamo continuato la nostra indagine, mentre camminavamo nelle strade polverose di tanti villaggi keniani, ed abbiamo concluso che, il piano pensato per il Sud del mondo, era assai più vasto, e concerneva tutta l’umanità, unita, si fa per dire, in una gigantesca condizione di neo schiavitù, che mette gli uni contro gli altri, nella più tipica delle lotte tra poveri.
In questo contesto si è fatta avanti la paura, antesignana del caos, e con essa tutti gli antichi rancori mai sopiti, il cui prezzo è pagato dall’ultimo arrivato, dal diverso, dal disperato. In una parola dal migrante: perfetto capo espiatorio per assolvere le nostre debolezze ed ipocrisie, figlie di una civiltà occidentale, ormai in cancrena, ma dura a morire.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un aumento spaventoso dei flussi migratori e delle storie agghiaccianti che, questi, si portano con sé. Storie di persone che, per una ragione o per l’altra, si trovano costrette ad abbandonare la loro terra, sino a trovare la morte, durante i loro viaggi, che sono tutto, fuorché della speranza.
Una mattina ci siamo svegliati e, su tutti i giornali del mondo, appariva la foto del piccolo Aylan, morto su una spiaggia turca, nel tentativo di vivere un infanzia normale. Quella immagine per qualche giorno ci ha fatto capire che, al di là dei proclami e delle ideologie, esiste l’umanità, come insieme, come condivisione e come futuro. Poi, smaltito il dolore, ecco che la maggioranza ha iniziato a dimenticarsi di aver, per un solo istante, cancellato l’odio, ed ha cominciato nuovamente ad odiare. Ed il disco rotto del “razzismo fatto in casa”, ha ripreso a suonare ancora più forte, dando un tappeto sonoro alla parte più giustizialista e violenta della società.
Nel delirio che impone il pensiero debole del “prima gli italiani”, si levano le solite voci che, con un carico di consapevole ipocrisia, affermano la necessità di aiutare i popoli migranti a casa loro.
Considerando tutto questo, l’Associazione umanista Freedom Forever onlus dà il via alla campagna “Aiutarli a casa loro? Fai un atto concreto”, nella quale tenterà, non solo di sensibilizzare sui temi delle ragioni di un momento sociale come questo, ma soprattutto di raccogliere fondi in favore delle sette scuole materne ed elementari che sorgono in Kenya. L’idea è semplice: trasformare le parole ed i concetti teorici, in atti pratici, dando la possibilità, a coloro che credono giusto aiutare i popoli nei loro Paesi di appartenenza, a farlo sin da subito, approfittando del lavoro di Freedom Forever per l’educazione dei più piccoli in Kenya, e supportando, questa, con contributi economici e di attivismo volontario a tutti i livelli.
Facendo ciò, la speranza è quella di andare, per una volta, al di là delle parole e dei comodi proclami, facendo un atto concreto, giusto e pieno di futuro, sia per chi lo compie che per chi lo riceve.
Ivan Marchetti
Segretario Associazione Freedom Forever onlus