I leader delle 16 nazioni isolane del Pacifico che da lunedì scorso si sono incontrati a porte chiuse nel Pacific Islands Forum nella capitale della Papua-Nuova Guinea Port Moresby hanno raggiunto un accordo solo sui punti di dissenso.
In particolare, Australia e Nuova Zelanda hanno bloccato la richiesta dei piccoli Stati oceanici per più ambiziosi obiettivi di salvaguardia del clima. Una lotta strenua, quella delle nazioni isolane, in maggioranza a rischio di perdere parte del territorio se la situazione climatica non dovesse modificarsi in tempi accettabili, che spiega il ritardo del comunicato ufficiale, atteso per martedì ma diffuso solo questa mattina a chiusura dell’incontro. Un comunicato che avrebbe dovuto essere – nelle intenzioni – un concreto contributo regionale ai colloqui sul clima del prossimo dicembre a Parigi, con la proposta di un limite invalicabile di 1,5° di aumento della temperatura media rispetto ai livelli pre-industriali.
Australia e Nuova Zelanda, che con economie in difficoltà non vogliono ulteriori freni alle loro attività produttive, hanno invece confermato la preferenza per il limite di 2° ritenuto invalicabile dall’Onu.
I leader delle Isole del Pacifico hanno “dichiarato che già un incremento di 1,5° aggraverebbe fortemente le sfide particolari con cui si confrontano gli Stati isolani più piccoli e vulnerabili” e hanno chiesto “ogni impegno affinché restino contenuti negli obiettivi globali”.
“Non è il risultato migliore che ci saremmo augurati”, ha segnalato il presidente di Kiribati, Anote Tong. Riguardo le posizioni delle due maggiori economie regionali, ha indicato di volerle rispettare. “Che le accettiamo o no, è un’altra questione”, ha dichiarato alla stampa.