Conferenza sulla sicurezza degli operatori internazionali, dell’umanitario, dello sviluppo e dei CCP,

Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), Roma, 9 settembre 2015.

 

La Conferenza, promossa dalle Reti nazionali di ONG, rispettivamente AOI, CINI, LINK2007, in collaborazione con l’Unità di Crisi della Farnesina e la DGCS (Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo) del MAECI, è stata convocata, in forma pubblica ed aperta a giornalisti ed operatori di settore, invitando ONG, ONLUS, Associazioni e Gruppi di solidarietà internazionale, Organizzazioni per il Servizio Civile all’Estero, Corpi Civili di Pace, operatori ed operatrici della cooperazione internazionale e degli interventi umanitari, media e giornalisti, allo scopo di fare il punto sulla situazione, aggiornare gli strumenti a disposizione e condividere spunti di riflessione, suggerimenti e proposte operative, modalità di impegno e di avanzamento, sul tema cruciale, delicato e sempre più avvertito presso gli operatori e le operatrici di settore, della sicurezza degli attori della cooperazione internazionale, delle emergenze umanitarie e della solidarietà attiva.

 

Nel suo intervento di indirizzo, il Ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha ricordato che il contesto internazionale mostra oggi uno scenario inedito, molto diverso rispetto a quello cui l’opinione pubblica è stata abituata nella seconda metà del XX secolo, e problematico, carico di tensioni e di conflitti, anche per la complessità delle crisi e la sfuggente identificazione di attori, ruoli e funzioni che si muovono nello scenario internazionale. Oggi, nei primi decenni del XXI secolo, la distinzione tra attori statali e non statali, nei conflitti regionali e nelle grandi crisi internazionali, si fa sempre più problematica e controversa, e la stessa differenza tra guerra e non-guerra diventa sfuggente o labile, dal momento che, sempre più, crisi armate prolungate assumono le sembianze di nuove guerre endemiche e durature, che pongono sfide sempre più ambiziose ed esigenti alla comunità internazionale. L’odierno mondo delle “tensioni complesse” ha, tuttavia, bisogno della cooperazione internazionale e dell’aiuto umanitario e, di conseguenza, l’operatore internazionale non può e non deve né essere un irresponsabile, né costituire un fattore di rischio per sé e per gli altri, i costi per il quale finiscano poi per scaricarsi sulla collettività. Serve, pertanto, sempre di più, maggiore professionalità e quindi, laddove è maggiore la professionalità, diventa maggiore anche la responsabilità, nel senso di “fare scuola”, offrire modelli e condividere “buone pratiche” di settore.

 

La collaborazione tra mondo non-governativo, MAECI ed istituzioni si può svolgere su due piani:

 

  1. un piano informativo, nel senso di “conoscere insieme” i contesti e le dinamiche di intervento;
  2. un piano procedurale, nel senso di definire e stabilire insieme una “cornice di regole” condivise.

 

Il MAECI è responsabile dei propri operatori e del proprio personale, che devono attenersi alle regole del MAECI; d’altro canto, le ONG sono responsabili, di concerto con il MAECI, del proprio personale espatriato, laddove impegnato su progetti o interventi promossi o sostenuti dal MAECI. Il tema dalla riflessione da condividere è, dunque, quello di promuovere insieme una responsabilità condivisa; da una parte, il MAECI deve fornire strumenti adeguati a tutelare la sicurezza del proprio personale espatriato e, in generale, dei cittadini italiani all’estero; dall’altra, le ONG devono sempre più ridurre l’area della irresponsabilità e strutturare sempre meglio l’area della responsabilità (specie in termini di formazione, addestramento e cornice professionale per tutti i propri operatori/operatrici).

 

Le iniziative – promosse dal Ministero, in collaborazione con le reti di ONG – sono almeno tre:

 

  1. un protocollo di sicurezza per il personale delle ONG per i progetti sostenuti dal MAECI,
  2. i “codici di autoregolamentazione” delle ONG da fare sottoscrivere a tutte le ONG attive,
  3. un dossier – curato dalle Reti di ONG – con indicazioni sulla sicurezza nella cooperazione.

 

Il Governo ha assicurato il proprio impegno all’incremento delle risorse pubbliche nazionali per la cooperazione allo sviluppo per tornare a essere nel gruppo di testa della cooperazione internazionale.

 

Nino Sergi (a nome delle Reti di ONG) conferma, nel suo intervento, che la complessità dello scenario di rischio richiede un salto di qualità, una innovazione ed uno sviluppo della cornice di sicurezza per la cooperazione internazionale. Com’è noto, le ONG sono mosse dall’imperativo umanitario, vale a dire dal dovere di intervenire a prestare soccorso o sostegno a persone e comunità attraversate da gravi disastri e calamità e dalle conseguenze dolorose delle crisi e dei conflitti. Quindi, nelle pratiche di intervento delle ONG, non si tratta di “incoscienza”, bensì di “intervento”, in nome dei fondamenti stessi dell’azione umanitaria (protezione, dignità, solidarietà, cooperazione). Le ONG devono quindi sapere affermare un corretto equilibrio tra l’“imperativo umanitario”, che obbliga a intervenire, e le esigenze di sicurezza del personale impegnato, per ridurre l’area di rischio:

 

  1. codici di sicurezza, di autoregolamentazione, e maggiore attenzione alle azioni e alle procedure,
  2. confronto tra gli attori della cooperazione e della solidarietà e l’“Unità di Crisi” della Farnesina,
  3. dialogo costante, nella piena, necessaria e reciproca indipendenza ed autonomia nelle decisioni.

 

È bene che le ONG sappiano esprimere ed effettivamente esprimano:

 

  1. capacità professionale,
  2. reti partenariali efficaci,
  3. conoscenza del contesto di intervento, a tutti i livelli, politico, giuridico, sociale, economico, culturale.

 

A propria volta, la cooperazione italiana deve facilitare la formazione degli operatori per la sicurezza e la gestione delle crisi, in modo da sviluppare le capacità di individuazione e prevenzione.

 

I principi della collaborazione, finalizzata alla sicurezza, tra ONG ed Unità di Crisi della Farnesina, cui potranno aderire, su base volontaria, tutte le organizzazioni internazionalistiche, con assenso formale, e, in ogni caso, tutte le organizzazioni non-governative impegnate sui fondi MAECI, sono:

 

  1. imparzialità, neutralità, non-discriminazione,
  2. impegno ad applicare i “codici di sicurezza”,
  3. impegno a registrare il personale espatriato – sul sito ministeriale dovesiamonelmondo.it,
  4. individuazione di un referente per la sicurezza che sia interfaccia dell’ONG con l’UdC stessa.

 

Giampaolo Cantini, Direttore Generale della Cooperazione allo Sviluppo del MAECI, richiama le quattro aree di crisi attuali a massimo livello (livello 3): Siria, Iraq, Sud Sudan, Yemen, l’inedita proliferazione, su scala mondiale e, in particolare, nell’area mediterranea di prossimità, delle crisi e dei conflitti (basti citare il caso della Siria, con almeno 250 mila vittime stimate nel corso degli oltre quattro anni di conflitto), e la crescita significativa degli attacchi contro gli operatori umanitari nel corso degli ultimi anni (nel 2013 si sono registrati almeno 250 attacchi). Da questo panorama risulta chiaramente che è oggi sempre più necessario garantire la sicurezza degli operatori, valutare i rischi cui di volta in volta si va incontro e conoscere sempre più approfonditamente i contesti di intervento valorizzando, al contempo, i principi dell’intervento umanitario, per prevenire le strumentalizzazioni:

 

  1. umanità,
  2. neutralità,
  3. indipendenza,
  4. imparzialità.

 

È stato “generalizzato” il protocollo di sicurezza con le nuove procedure di finanziamento: le convenzioni stipulate con le ONG ed i relativi finanziamenti, da parte del MAECI, impegnano ora le ONG al rispetto del protocollo di sicurezza. Infatti, l’intesa tra le ONG e l’Unità di Crisi della Farnesina è stata finalizzata e il protocollo di sicurezza è stato approvato nel corso dell’aprile 2015:

 

  1. obbligo di registrazione su dovesiamonelmondo,
  2. meccanismo di comunicazione con l’Unità di Crisi,
  3. impegno ad attenersi alle procedure di sicurezza.

 

 

Claudio Taffuri, Capo dell’Unità di Crisi della Farnesina, pone la riflessione sull’asse tra la consapevolezza e la responsabilità. Cresce, infatti, la domanda di sicurezza: per limitarsi ad un singolo esempio, l’ISIS, oggi IS, è nato l’8 aprile 2013, il cosiddetto “califfato” è stato istituito il 28 giugno 2014. Il terrorismo internazionale si dota oggi di una tempistica rapida e di una articolazione di rete estesa, tale da fare parlare di un vero e proprio “terrorismo 2.0”, quindi il paradigma del rischio e della sicurezza è notevolmente cambiato proprio nel corso degli ultimi anni, se non degli ultimi mesi. Deve, di conseguenza, crescere un’etica della responsabilità, basata su diritti, doveri e responsabilità. Un limite alle procedure di sicurezza è dato dalla valutazione soggettiva e variabile del contenuto di rischio; tuttavia, è possibile individuare un sotto-insieme comune, all’interno del quale il rischio (un determinato rischio) viene percepito da tutte e tutti in modo identico o simile.

 

È necessario puntare sulla totale indipendenza ed autonomia di ruoli e funzioni tra ONG ed istituzioni, ma anche, al contempo, su un minimo comune denominatore riconosciuto e condiviso. A differenza del passato, quando non esisteva una vera e propria “istituzionalizzazione” del confronto tra le ONG e l’Unità di Crisi, sebbene un dialogo e un confronto in tema di sicurezza per prevenire il rischio e gestire le crisi vi sia sempre stato, oggi vi è una più approfondita “istituzionalizzazione”.

 

Il MAECI ritiene fondamentale la raccolta delle informazioni, per valutare gli scenari e individuare i rischi, usando informazioni provenienti dai Paesi partner, dalla intelligence ed eventualmente anche dalle ONG. Il potenziale delle ONG viene quindi filtrato dal sistema di lettura proprio del MAECI.

 

Tra gli interventi del dibattito si segnalano, per i contenuti utili agli scopi della presente riflessione*:

 

Primo Di Blasio (Consulta Nazionale degli Enti del Servizio Civile):

  • il radicamento nel territorio di intervento e nella comunità di riferimento sono indispensabili
  • il piano di analisi, valutazione e gestione dei rischi è una componente essenziale dei progetti
  • la formazione degli operatori alle condotte di sicurezza è quanto mai opportuna e necessaria
  • la sperimentazione – prevista dalla Finanziaria 2014 – sui CCP va implementata al più presto
  • lavorare per la sicurezza nelle situazioni di crisi e di conflitto comporta – sempre – dei rischi.

 

Sergio Bassoli (Rete della Pace):

  • l’operatore internazionale è un soggetto della cooperazione ed un attore della pacificazione (recuperare il nesso necessario tra cooperazione economica internazionale e lavoro di pace)
  • il rispetto degli accordi, del diritto internazionale e della legalità internazionale è una condizione necessaria, sia nel senso di un quadro riconosciuto, sia per il lavoro di pace in sé
  • il rischio può essere rappresentato anche solo dalla presenza di un operatore internazionale in un dato contesto a difendere un diritto, a tutelare un soggetto o a proteggere una comunità
  • lo sfondo è quello costituito dalla politica italiana per la cooperazione internazionale e la cooperazione allo sviluppo, per la quale è sempre più necessaria la coerenza delle politiche
  • la messa a rete e la costruzione di sinergie tra gli attori del lavoro di pace e per i diritti umani e gli attori della cooperazione internazionale e dell’aiuto umanitario è un fattore necessario.

 

Luisa Morgantini (Assopace Palestina):

  • interazione positiva, rispettosa ed efficace, tra istituzioni e organizzazioni della società civile
  • esigenza di un opportuno e necessario equilibrio tra la “sicurezza” e l’“efficacia” dei progetti
  • necessità di gestire il rischio (valutare e prevenire) senza danneggiare i progetti (sostenibilità)

 

Nelle conclusioni all’importante rassegna, il Segretario Generale della Farnesina, Michele Valensise, richiama la specificità della cooperazione internazionale del nostro Paese come “sistema” di una pluralità di attori, di soggetti e di competenze, e la necessità del dialogo per fare emergere le così dette “best practices”. L’approccio alla sicurezza si fonda sulla consapevolezza dei rischi e sulla conoscenza dei contesti locali (in termini politici, sociali, culturali etc.). Pertanto, la responsabilità – etica della responsabilità – va adottata e incoraggiata in termini di consequenzialità di scelte e azioni.

 

* Questa relazione non intende essere una vera e propria “minuta” degli interventi, quanto piuttosto una ricapitolazione di contenuti utili ai fini del lavoro degli operatori e delle operatrici internazionali.