Ogni giorno siamo sommersi di notizie sull’arrivo di migliaia di migranti in Italia, Grecia, Ungheria, Macedonia, Bulgaria e sul trattamento spesso inumano che ricevono. L’impressione è che l’Europa sia sopraffatta dall’ampiezza di un fenomeno peraltro del tutto prevedibile: chi non scapperebbe da una feroce guerra civile come quella siriana, dall’obbligo di un servizio militare eterno come succede in Eritrea, dalla miseria e dalle fame di tanti paesi africani?
Le risposte dei governi variano: l’Ungheria e la Bulgaria costruiscono muri di confine, la Repubblica ceca manda incontro ai migranti diretti in Germania agenti che scrivono sui loro avambracci numeri di registrazione (vi ricorda qualcosa?), la Slovacchia accetta solo profughi cristiani, per paura che un afflusso massiccio di musulmani snaturi la sua cultura e i suoi lavori. La Germania e l’Austria litigano sulla validità o meno del regolamento di Dublino, secondo cui la domanda d’asilo viene esaminata dal paese di arrivo e intanto la Merkel alterna l’apertura ai profughi siriani alla richiesta di ripristinare i controlli alla frontiera con l’Italia. Il Regno Unito si irrigidisce addirittura contro gli europei che osano arrivare nel paese senza avere già un contratto di lavoro.
Un quadro desolante, se non fosse per notizie di tutt’altra natura che arrivano dalla gente. A Budapest cittadini e associazioni di volontariato, spesso nate grazie a Facebook, portano cibo, coperte, sacchi a pelo, giocattoli e medicine ai migranti accampati in un parco in attesa di partire per l’Europa del nord. Alla stazione centrale di Vienna centinaia di persone aiutano i profughi in transito per la Germania offrendo cibo, vestiti e giocattoli e raccogliendo fondi per contribuire all’acquisto dei biglietti ferroviari. A Berlino famiglie e gruppi di volontari accolgono i profughi, distribuiscono acqua, generi di prima necessità e indumenti e allestiscono mense, i medici si organizzano per fornire assistenza sanitaria e club sportivi espongono allo stadio enormi striscioni di benvenuto. In Islanda dodicimila cittadini (il 4% della popolazione) aderiscono a una petizione lanciata su Facebook e offrono ospitalità nelle proprie case ai profughi siriani, dopo che il governo si era dichiarato disposto ad accoglierne solo cinquanta. Il successo dell’iniziativa ha obbligato il governo a fare marcia indietro e a predisporre un piano di accoglienza molto più ampio. Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo già parlato della rete di volontari che accoglie i profughi alla Stazione Centrale di Milano, sommersa da un’ondata di donazioni e solidarietà da parte dei cittadini e dell’aiuto fornito a Catania ai migranti in difficoltà durante la traversata del Mediterraneo.
In qualche caso (pochi, purtroppo) si muovono anche le istituzioni: il sindaco di Barcellona, Ada Colau, lancia un appello per creare una rete di città-rifugio per i profughi, offrendo ospitalità a 400 persone e i comuni di Sant Feliu de Llobregat, Sabadell e Valenza si uniscono all’iniziativa, con l’obiettivo di accogliere in Catalogna 7.000 rifugiati. Le istituzioni lavorano a stretto contatto con una rete di associazioni di difesa dei diritti umani, che stanno organizzando iniziative di protesta e pressione sul governo spagnolo, che afferma di non avere i mezzi necessari ad ampliare le quote di accoglienza. L’obiettivo è chiaro: dimostrare che la società è disposta ad accogliere i profughi e che sono i governi a non volerlo. Una volontaria ungherese esprime il concetto con semplicità: “Lo facciamo perché è la cosa giusta da fare”.